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Accollo debito tributario: no alla compensazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che un’impresa non può estinguere un proprio debito IVA mediante la compensazione con crediti fiscali di un’altra società che se ne è fatta carico tramite un contratto di accollo debito tributario. La sentenza chiarisce che la compensazione in ambito fiscale è un’eccezione e richiede la perfetta coincidenza tra il soggetto debitore e quello creditore, presupposto che viene a mancare nell’accollo. Viene inoltre specificato che la legge del 2019, che ha formalizzato questo divieto, ha solo codificato un principio già esistente e non ha introdotto una novità normativa.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

L’accollo debito tributario non ammette compensazione: la parola alla Cassazione

L’istituto dell’accollo debito tributario rappresenta uno strumento con cui un soggetto si impegna a pagare il debito fiscale di un altro. Tuttavia, sorge una domanda cruciale: l’accollante può utilizzare i propri crediti fiscali per compensare il debito altrui che ha assunto? Con l’ordinanza n. 23934/2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta netta e chiara, ribadendo un principio fondamentale del diritto tributario: la compensazione è ammessa solo tra i medesimi soggetti. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Una società in liquidazione si era vista notificare una cartella di pagamento dall’Agenzia delle Entrate per il mancato versamento dell’IVA relativa all’anno d’imposta 2016. La contribuente aveva tentato di estinguere tale debito attraverso la compensazione, utilizzando però non i propri crediti, ma quelli di un’altra società. Quest’ultima, in forza di un contratto di accollo stipulato nel novembre 2016, si era impegnata a farsi carico dei debiti tributari della prima.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, non ha riconosciuto valida tale operazione, procedendo al recupero delle somme. La questione è giunta dinanzi alle Commissioni Tributarie, che hanno dato ragione all’Amministrazione Finanziaria, sostenendo che la compensazione fiscale presuppone un’identità soggettiva tra debitore e creditore, requisito assente nel caso di accollo.

La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che, all’epoca dei fatti (2016), non esisteva una norma che vietasse espressamente tale tipo di compensazione, introdotta solo nel 2019. Secondo la sua tesi, in assenza di un divieto esplicito, l’operazione doveva considerarsi legittima.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’accollo debito tributario

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della contribuente, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno enunciato un principio di diritto chiaro: anche prima dell’introduzione del divieto esplicito nel 2019, al debitore accollato era precluso l’assolvimento del debito mediante l’utilizzo in compensazione di un credito dell’accollante.

Questo perché la possibilità di compensazione in materia tributaria è di per sé eccezionale e richiede sempre la sussistenza di un presupposto fondamentale: i debiti e i crediti devono afferire al medesimo soggetto giuridico, come previsto dall’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione su argomentazioni solide e coerenti con il suo orientamento consolidato.

In primo luogo, è stato ribadito che la compensazione nel diritto tributario è ammessa solo nei casi espressamente previsti dalla legge, in deroga alle norme civilistiche. Il principio generale è che ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso è regolata da norme specifiche e inderogabili. L’accollo è un accordo negoziale tra privati che non modifica la soggettività passiva del rapporto tributario. L’accollato rimane l’unico contribuente agli occhi del Fisco, mentre l’accollante è semplicemente un terzo obbligato in forza di un titolo negoziale. Di conseguenza, l’accollante non assume la posizione di contribuente e non può utilizzare i propri crediti per estinguere un debito che, dal punto di vista fiscale, non è suo.

In secondo luogo, la Corte ha chiarito la portata della norma introdotta con il D.L. n. 124/2019. Tale disposizione, che ha sancito espressamente il divieto di utilizzo in compensazione di crediti dell’accollante per pagare debiti accollati, non ha un carattere innovativo. Piuttosto, essa ha una funzione di codificazione, ovvero ha messo per iscritto un principio già immanente nel sistema tributario: l’impossibilità di compensare debiti e crediti facenti capo a soggetti diversi. Pertanto, la tesi della ricorrente sulla presunta assenza di un divieto nel 2016 è stata ritenuta infondata, poiché il divieto derivava già dai principi generali dell’ordinamento.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio in materia di riscossione e pagamento dei tributi. L’accollo debito tributario, pur essendo uno strumento contrattuale valido tra le parti, non può essere utilizzato per aggirare il requisito fondamentale della coincidenza soggettiva richiesto per la compensazione fiscale. Le imprese devono essere consapevoli che i patti privatistici non possono alterare la struttura del rapporto d’imposta con l’Amministrazione Finanziaria. La decisione della Cassazione serve come monito: il pagamento di un debito fiscale tramite compensazione è una facoltà rigidamente disciplinata, e l’utilizzo di crediti di un soggetto terzo, anche se accollante, è una pratica non consentita dall’ordinamento, né oggi né in passato.

È possibile pagare un debito fiscale di un’altra società utilizzando i propri crediti d’imposta tramite un contratto di accollo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la compensazione fiscale è possibile solo se debiti e crediti appartengono allo stesso soggetto giuridico. L’accollo è un accordo privato che non trasferisce la posizione di contribuente all’accollante, quindi quest’ultimo non può usare i propri crediti per estinguere il debito dell’accollato.

La legge del 2019 che vieta la compensazione in caso di accollo si applica anche a fatti precedenti?
La Corte ha chiarito che la legge del 2019 non ha introdotto una nuova regola, ma ha semplicemente codificato un principio già esistente nell’ordinamento. Pertanto, il divieto di compensazione in caso di accollo era già operante anche prima della sua esplicita previsione normativa, basandosi sui principi generali che regolano la compensazione tributaria.

Per quale motivo la compensazione in ambito tributario è soggetta a regole così restrittive?
La compensazione in materia tributaria è considerata un’eccezione al principio generale secondo cui i debiti fiscali devono essere pagati. Essendo una deroga, è ammessa solo nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 17 D.Lgs. 241/1997) e richiede il presupposto inderogabile dell’identità soggettiva tra il titolare del debito e quello del credito, per garantire la certezza e la trasparenza nei rapporti tra contribuente e Fisco.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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