Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23824 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23824 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17391/2019 R.G. proposto da:
NOME , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE -RISCOSSIONE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 1051/2020 depositata il 24/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
Elevato processo verbale di constatazione (PVC) in relazione alla posizione fiscale della RAGIONE_SOCIALE, già cancellata dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese, a seguito di invito a comparire NOME COGNOME, socia sino al 12.10.2009, assumeva in data 14.12.2012 il debito tributario della società risultante dal PVC, comprensivo di sanzioni e interessi, da pagarsi in dodici rate, stipulando ‘atto d’accollo’ ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 212/2000.
La COGNOME onorava solo una parte del piano e l’Ufficio emetteva cartelle di pagamento per il residuo con sanzioni calcolate ai sensi dell’art. 8 comma 3 bis del d.lgs. n. 218/1997.
La RAGIONE_SOCIALE impugnava la cartella di pagamento n. 09720150106631262, relativa a debiti fiscali (IVA e altri tributi) della società per il 2008 deducendo, tra l’altro, il difetto di contradittorio preventivo, la nullità dell’atto d’accollo, la mancata escussione del debitore originario e contestando le sanzioni applicate.
La Commissione Tributaria Provinciale RAGIONE_SOCIALECTP) di Roma rigettava il ricorso e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Lazio, con la sentenza in epigrafe, respingeva l’appello della contribuente, ritenendo non più contestabile, né per l’ an né per il quantum , il debito assunto dalla RAGIONE_SOCIALE con l’accollo sottoscritto a seguito di invito ai sensi del d.lgs. n. 218/1997 e corretta l’applicazione dell’art. 8 comma 3 bis dello stesso decreto legislativo quanto alle sanzioni.
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE mentre resta intimata l’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., « violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in combinato con l’art. 1273 e l’art. 2495 c.c. in riferimento all’atto di accollo del debito di una società cessata e cancellata dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese. Violazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova». Secondo la ricorrente, l’atto di accollo, stipulato quando la società a cui si riferiva il debito tributario era già estinta, è invalido, così come il precedente PVC relativo ad un soggetto inesistente.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., « violazione e falsa applicazione dell’art. 8 comma 3 bis del D.Lgs. n. 218/1997, in combinato con l’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997 in riferimento al divieto di applicazione analogica in ambito tributario, con particolare riferimento all’irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni. Violazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova», osservandosi che l’art. 8 comma 3 bis del d.lgs. n. 218/1997 – secondo cui, nella versione vigente ratione temporis , « In caso di mancato pagamento anche di una sola RAGIONE_SOCIALE rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE provvede all’iscrizione a ruolo RAGIONE_SOCIALE residue somme dovute e della sanzione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1987, n. 471, applicata in misura doppia, sul residuo importo dovuto a titolo di tributo » – riguarda l’accertamento con adesione e non è suscettibile di applicazione analogica.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., « violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge 27 luglio 2000, in combinato con l’art. 1273 c.c. con particolare riferimento alla mancata escussione del debitore originario. Violazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova» , rilevandosi che, stante la responsabilità cumulativa di accollante e
debitore originario prevista dall’art. 8 cit., è necessaria la preventiva escussione di quest’ultimo e l’Ufficio non poteva agire esclusivamente e direttamente nei confronti dell’accollante.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., « violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione in riferimento al difetto di contraddittorio preventivo. Violazione dell’art. 2697 c.c. in tema di onere della prova» , perché l’emissione della cartella non era stata preceduta da alcuna forma di contraddittorio preventivo.
Il primo e il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente riguardando direttamente l”atto d’accollo’, sono inammissibili per difetto di autosufficienza del ricorso, in violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., non essendo stati riportati in termini puntuali né il contenuto dell’atto né quello del PVC e dell’invito a comparire che l’hanno preceduto, sicché mancano tutti gli elementi occorrenti per valutare le censure sulla base del solo ricorso (cfr. Cass. n. 12481 del 2022).
In ogni caso, per quel che è dato comprendere anche sulla scorta di quanto precisato dalla controricorrente, le censure sono infondate.
6.1. Va premesso che, secondo l’art. 2495 c.c., la cancellazione della società dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese non determina l’estinzione dei debiti sociali ma un fenomeno lato sensu successorio perché nel rapporto obbligatorio subentrano gli ex soci, che rispondono di quei debiti nei limiti di quanto riscosso in sede di bilancio finale di liquidazione (Cass. sez. un. n. 6070 del 2013); secondo le Sezioni Unite, il « successore che risponde solo intra v í res dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore », cosicché gli ex soci sono comunque legittimati con riguardo ai rapporti che facevano capo alla società, a prescindere dal fatto che siano responsabili per le obbligazioni societarie ai sensi dell’art.2495, comma 3, cod. civ., dovendosi tenere distinta la
legittimazione in quanto successori della società estinta dalla responsabilità per i debiti societari (cfr. Cass. n. 22014 del 2020). Non solo. In materia tributaria vale il principio secondo cui « l’accertamento con adesione da parte dell’ex socio e liquidatore di società di capitali già estinta e cancellata dal registro RAGIONE_SOCIALE imprese in epoca anteriore all’emanazione dell’atto impositivo è valido ed efficace e determina l’intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato tra le parti, risultando conseguentemente esclusa per il contribuente la possibilità di impugnare tale accordo o l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia ma solo a garanzia del Fisco, fino all’integrale pagamento dell’obbligazione scaturente dal concordato » (Cass. n. 26109 del 2020). Quindi, non è precluso lo svolgimento di attività istruttoria con riguardo alla posizione fiscale della società estinta, nei cui rapporti succedono gli ex soci, attività culminata in questo caso nel PVC riguardante operazioni compiute al tempo in cui NOME COGNOME era ancora socia (v. quanto precisato in controricorso) e da questa sottoscritto; nel contempo, deve ammettersi la possibilità per l’ ex socio di avvalersi degli istituti deflattivi previsti dal d.lgs. n. 218/1997 in relazione alla posizione debitoria della società estinta.
6.2. Va poi osservato che le doglianze della ricorrente, secondo cui non può esservi accollo del debito di un soggetto non più esistente e comunque il creditore deve escutere preventivamente il debitore originario, si fondano sul nomen iuris attribuito dalle parti all’atto; peraltro, secondo i principi generali in materia, tale dato non assume valore decisivo e non vincola il giudice che, ai fini della qualificazione dell’atto, deve accertare le effettive caratteristiche dello stesso, quali desumibili anche dalle modalità della sua attuazione, sì da apprezzarne l’aderenza ad una fattispecie astratta, tra quelle preventivamente delineate dal legislatore (cfr. Cass. n. 11176 del 2024; Cass. n. 9944 del 2000). A questa stregua va evidenziato che, a seguito di invito a comparire per
« definire la posizione debitoria » della società, « ai sensi degli artt. 41 bis D.P.R.600/1973 e 54, comma 4, D.P.R. 633/1972 », da ricondursi al d.lgs. n. 218/1997 (v., in particolare, art. 5), con l’atto in questione la RAGIONE_SOCIALE aveva assunto le obbligazioni tributarie della società risultanti dal PVC – da cui, oltretutto, era emersa la fittizietà dell’ente e la riconducibilità RAGIONE_SOCIALE violazioni ai soci appartenenti alla famiglia RAGIONE_SOCIALE che avevano operato dietro lo schermo sociale – « con rinuncia ad ogni futura azione di ripetizione RAGIONE_SOCIALE somme corrisposte alla scrivente Amministrazione Finanziaria» , in modo da evitare ogni attività accertativa dell’Amministrazione (v. controricorso). Anche nella sentenza di primo grado, trascritta in ricorso, si osservava che « dalla documentazione versata in atti dalla ricorrente e dall’Ufficio risulta che la sig.ra COGNOME ha comunicato in data 14.12.2012 l’adesione al processo verbale di constatazione e chiesto di versare gli importi scaturenti in n. 12 rate ».
6.3. Per contenuto e funzione l’atto va ricondotto agli istituti deflattivi di cui al d.lgs. n. 218/1997: si tratta, infatti, di un atto di volontà della contribuente che implica adesione alla pretesa dell’Ufficio di cui al PVC e definisce la procedura avviata con l’invito a comparire ex art. 5 del d.lgs. n. 218/1997, evitando l’emissione dell’avviso di accertamento. Orbene, in disparte il principio generale secondo cui l’adesione al processo verbale di constatazione dell’Ufficio preclude la possibilità di impugnare l’accordo (v., tra le ultime, Cass. n. 4566 del 2020; Cass. n. 29036 del 2021), le specifiche questioni sollevate dalla ricorrente sono senza pregio: l’inesistenza del debitore originario, se esclude la possibilità di un accollo in termini di accordo tra debitore e terzo (v. art. 1273 c.c.), non priva di validità ed efficacia l’atto di volontà, qualificabile sul piano civilistico -sempre nella prospettiva dell’altruità dell’obbligazione – come atto di espromissione, con cui il terzo (la COGNOME), senza delegazione del debitore, ha assunto
verso il creditore il debito altrui (v. art. 1272 c.c.); d’altro canto, la preventiva escussione del debitore originario non è prevista dall’art. 8 della l. n. 212/2000 il quale stabilisce soltanto che il debitore accollato non possa essere liberato – né dalla normativa civilistica in tema di modificazioni dal lato passivo dell’obbligazione e neppure dall’accordo in questione, secondo cui, in caso di inadempimento della COGNOME, l’Ufficio poteva senz’altro procedere nei confronti di quest’ultima (v. controricorso).
7. Infondato è anche il secondo motivo. La disciplina sanzionatoria va rinvenuta nel d.lgs. n. 218 del 1997 e, in particolare, nel suo articolo 8, che non si applica soltanto all’accertamento con adesione. La disposizione, titolata ‘Adempimenti successivi’, è posta sotto il Capo II titolato ‘Procedimento per la definizione degli accertamenti nelle imposte sui redditi e nell’imposta sul valore aggiunto’, che segue il Capo I dedicato all”Accertamento con adesione’ e prevede altri istituti deflattivi: all’art. 5, gli inviti a comparire e l’adesione ai contenuti dell’invito, con rinvio all’art. 8 quanto alle modalità di pagamento (comma 1 ter); all’art. 5 bis, l’adesione al PVC, con rinvio all’art. 8 quanto ai termini e alle modalità di pagamento (comma 3). La collocazione della disposizione, il suo titolo, i rinvii contenuti nelle altre norme dello stesso Capo II danno all’art. 8 cit. un rilievo generale nell’ambito della normativa in oggetto (nello stesso senso, Cass. n. 13133 del 2018 che ha applicato il comma 3 bis all’atto di adesione a PVC). Di ciò si trova conferma nella normativa transitoria che ha accompagnato la modifica dell’art. 8 cit. disposta con l’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 24 settembre 2015 n. 159 e che ha escluso l’applicazione della novella « agli atti di adesione (…) già perfezionati alla data di entrata in vigore del presente decreto » (v. art. 15, comma 3, d. lgs. n. 159/2015), lasciando intendere l’ampia portata applicativa della disposizione nell’ambito degli istituti deflattivi di cui al d.lgs. n. 218/1997, non limitata agli accertamenti
con adesione, sicché il suo comma 3 bis rappresenta la norma sanzionatoria di riferimento, salvo che non sia diversamente disposto, in caso di inadempimento degli obblighi derivanti dall’atto di adesione.
Infine, è infondato il quarto motivo.
8.1. L’ordinamento interno non prevede un generale obbligo del contraddittorio endoprocedimentale (Cass. sez. un. n. 24823 del 2015) mentre con riguardo ai tributi armonizzati, come l’IVA, vige il generale obbligo di derivazione unionale che impone all’amministrazione di instaurare un’interlocuzione preventiva con il contribuente, la cui inosservanza determina invalidità dell’atto impositivo quando quest’ultimo assolve alla c.d. ‘prova di resistenza’, cioè ove dimostri che « in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso » (Corte giust., 4 giugno 2020 , RAGIONE_SOCIALE , in C – 430/19, punti 35 e 37; v. anche Corte giust., 3 luglio 2014, Kamino , C129/13 e C-130/13., punti 80 e 82).
8.2. La cartella di pagamento è stata emessa a seguito di iscrizione a ruolo secondo quanto previsto dall’art. 8 comma 3 bis cit., che la subordina soltanto all’inadempimento anche di una sola rata successiva alla prima; non è prevista, quindi, alcuna preventiva interlocuzione con il debitore e non rileva il principio unionale posto che non è stata data la ‘prova di resistenza’.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 18.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 10/04/2024.