Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3930 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3930 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/02/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 20023-2023, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE soc. RAGIONE_SOCIALE , c.f. 12439711008, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, al INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale, unitamente all’avv. NOME COGNOME è rappresentata e difesa –
Controricorrente avverso la sentenza n. 1560/13/2023 della Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, pubblicata il 21.03.2023;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere dott. NOME COGNOME nell’ adunanza camerale del 7 novembre 2024;
Rilevato che
Debito d’imposta Accollo -Compensazione da parte dell’accollante con propri crediti -Esclusione
Dalla sentenza e dagli atti difensivi delle parti si evince che l’Agenzia delle entrate emise l’atto di recupero n. CODICE_FISCALE del l’importo di € 78.967,90, in relazione agli anni d ‘ imposta 2016/2018, assumendone l’indebita utilizzazione in compensazione. Nello specifico contestò alla società l’indebita compensazione di crediti d’imposta con debiti derivanti da accolli intervenuti con soggetti terzi, e ciò ai sensi dell’art. 17 , d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241.
Seguì la proposizione del ricorso della società dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 5663/11/2020 ne accolse le ragioni. L’appello dell’ufficio dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio fu respinto con la sentenza n. 1560/13/2023 , ora all’esame della Corte. Il giudice d’appello, rilevando che l’accollo fosse riconosciuto dall’art. 8, comma 1, l. 27 luglio 2000, n. 212, ha ritenuto che non poteva trovare applicazione la Risoluzione 140/E, secondo cui il debito oggetto di accollo non poteva essere estinto mediante compensazione con crediti vantati dall’accollante nei confronti dell’Erario, perché la Risoluzione è priva di forza di legge; neppure poteva applicarsi al caso di specie l’art. 1 del d.l. n. 124 del 2019, che aveva sancito l’espresso divieto di compensazione con debiti di terzi accollati, trattandosi di normativa successiva e non retroattiva rispetto agli anni d’imposta de quo . Ha confermato pertanto la statuizione di primo grado.
Con ricorso affidato ad un unico motivo l’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza, chiedendone la cassazione. Ha resistito con controricorso la società.
Nell’adunanza camerale del 7 novembre 2024 la causa è stata trattata e decisa.
Considerato che
L ‘Agenzia delle entrate ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 8, l. 212 del 2000, e 17, d.lgs. n. 241 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. Il giudice regionale avrebbe erroneamente valorizzato atti di prassi, quali la Risoluzione, o richiamato norme, quali la legge del 2019, estranee alla ricostruzione delle ragioni giuridiche, in forza delle quali l’ufficio ave va ritenuto di contestare la
possibilità della compensazione di crediti d’imposta dell’accollante con debiti di terzi accollati.
Deve intanto escludersi che il motivo sia inammissibile, come eccepito dalla controricorrente, che sostiene come l’ufficio si sia limitato a riprodurre in sede di legittimità le censure formulate già in appello con l’atto d’impugnazione.
La società afferma che « Il ricorrente, infatti, per evitare l’inammissibilità del motivo, deve indicare le ragioni di fatto poste alla base, rispettivamente della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando come le stesse siano tra loro diverse». Ritiene che questo onere non sia stato rispettato dall’Agenzia delle entrate.
L’eccezione è priva di pregio , perché le critiche rivolte alla pronuncia del giudice d’appello, e prima ancora alla sentenza di primo grado, afferiscono ad una ricostruzione giuridica dell’istituto della compensazione in materia tributaria nella sua possibile interferenza con l’accollo esterno di debito, così che, anche ove le motivazioni poste a fondamento delle decisioni di merito in entrambe i gradi di giudizio fossero state sovrapponibili, nulla impedisce al ricorrente in sede di legittimità di insistere nella sua interpretazione delle norme, denunciando la falsa o l’erronea applicazione delle stesse. Non si tratta, cioè di sollecitare una ‘reiterpretazione’ di ‘fatti’, ma di prospettare una diversa ricostruzione giuridica della disciplina applicabile alla vicenda controversa.
Nel caso di specie la questione sulla quale le parti controvertono è la compensabilità, nell’ipotesi di accollo negoziale del debito d’imposta, tra un debito erariale del terzo accollato ed un credito d’imposta vantato dall’accollante .
Si tratta, come evidente, di fattispecie che di per sé implica la distinzione soggettiva dei titolari originari delle rispettive posizioni giuridiche, e pertanto la questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità è squisitamente giuridica, risultando dunque del tutto estranee le ragioni della eccepita inammissibilità del ricorso.
Nel merito il ricorso erariale è fondato.
Deve premettersi che l’accollo negoziale del debito di imposta, con il quale una parte si obbliga a tenere indenne l’altra da ogni pretesa fiscale relativa ai debiti erariali accollati, è rilevante esclusivamente tra le parti, per cui l’Amministrazione finanziaria non può esercitare i poteri di accertamento ed esazione nei confronti dell’accollante, ma solo verso l’accollato, tenuto per legge a soddisfare il credito fiscale per la sua qualità di soggetto passivo del tributo (Cass., 8 aprile 2024, n. 9353). Tale principio trova a sua volta fondamento in quello secondo il quale, nel caso di accollo negoziale del debito di imposta, la volontaria assunzione dell’impegno di pagare le imposte non determina, per l’accollante, l’assunzione della posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma solo quella di obbligato in forza del titolo negoziale (Sez. U, 26 novembre 2008, n. 28162; cfr. anche Sez. U, 8 marzo 2019, n. 6882).
Da tale interpretazione la Corte di legittimità ha anche tratto il conseguente principio, secondo cui nel caso di accollo negoziale del debito di imposta, anche prima dell’introduzione dell’espressa previsione di cui all’art. 1, comma 2, d.l. n. 124 del 2019, conv ertito con modificazioni dalla l. n. 157 del 2019, all’accollato era precluso l’assolvimento del debito mediante l’utilizzo in compensazione di un maggior credito dell’accollante, atteso che tale possibilità, di per sé di carattere eccezionale, non era prevista da alcuna disposizione di legge, difettando oltretutto i presupposti della compensazione di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997 per non afferire i debiti e crediti al medesimo soggetto (Cass., 5 settembre 2024, n. 23934).
Dal percorso interpretativo, qui sinteticamente illustrato, discende che la regola di non compensabilità tra crediti d’imposta nella titolarità dell’accollante e debiti erariali , che l’accollante ha acquisito da terzi mediante accollo, non trae fondamento dalla Risoluzione 140/E, né, tanto meno, dall’applicazione retroattiva dell’ 1 del d.l. n. 124 del 2019, che, pur espressamente vietando la compensazione con debiti di terzi accollati, è disciplina introdotta successivamente agli anni d’imposta relativ i alle operazioni de quo -. Trae invece fondamento da principi già vigenti, per difettare dei presupposti della compensazione richiesti dall’art. 17 del d.l. n. 241 del 1997, e nello specifico della identità soggettiva nella titolarità del
credito e del debito, il quale ultimo, anche per l’ipotesi di accordo negoziale di accollo esterno, resta sempre e solo nella titolarità dell’accollato, senza trasferirsi dunque, quanto ai rapporti con l’erario, in capo all’accollante. In ciò la compensazione tra debiti e crediti fiscali è più circoscritta rispetto ai principi civilistici dettati dagli artt. 1241 cod. civ. e segg.
In merito, giurisprudenza di legittimità ormai consolidata già aveva rilevato che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge. Aveva anche evidenziato che tale principio non poteva ritenersi superato per effetto dell’art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. “statuto dei diritti del contribuente”), il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, aveva lasciato ferme le disposizioni vigenti (demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno d’imposta 2002), ovvero l’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, il quale, nell’ammettere la compensazione in sede di versamenti unitari delle imposte, ne aveva limitato l’applicazione all’ipotesi di crediti dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti e risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data della sua entrata in vigore (cf. Cass., 30 giugno 2006, n. 15123).
R ispetto all’amministrazione finanziaria , pertanto, l’accollo di debiti erariali assume solo ed esclusivamente efficacia di accollo interno, con due conseguenze: la prima è che soggetto debitore nei confronti dell’erario resta sempre l’accollato; la seconda è che, ancorché relativo a crediti e debiti d’imposta afferenti alla medesima annualità, l’assenza di identità soggettiva comporta che né l’accollante può compensare con i propri crediti d’imposta i debiti tributari di terzi che si è accollato, né quest’ ultimo può pretendere dall’erario che i propri debiti si compensino con i crediti d’imposta dell’accollante.
La Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio non si è attenuta a tali principi, al contrario ritenendo corretta la compensazione operata dall’accollante tra propri crediti d’imposta e debiti erariali dell’accollato.
La sentenza deve essere pertanto cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, che, in diversa composizione, oltre che liquidare le spese del giudizio di legittimità, deciderà la controversia tenendo conto del seguente principio di diritto: « In tema di compensazione di obbligazioni tributarie , poiché l’accollo di debiti erariali assume solo efficacia di accollo interno nei confronti dell’amministrazione finanziaria , ne deriva che soggetto debitore nei confronti del l’erario resta sempre l’accollato , e che, pur relativamente a crediti e debiti d’imposta afferenti alla medesima annualità, l’assenza di identità soggettiva , presupposto già prescritto dall’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, comporta che anche per le annualità precedenti l’entrata in vigore dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 124 del 2019, convertito con modificazioni, dalla l. n. 157 del 2019, né l’accollante può compensare con i propri crediti d’imposta i debiti tributari erariali negozialmente accollati, né che l’accollato p uò pretendere dall’erario che i propri debiti si comp ensino con i crediti d’imposta dell’accollante ».
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 7 novembre 2024