Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25748 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25748 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/09/2025
Oggetto: accise
–
produzione
di
energia
per
mezzo di
biomasse
–
regime
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 7395/2023 proposto da
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAIL
-ricorrente principale e controricorrente a ricorso incidentale -contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOMEcon indirizzo PECEMAIL ) con domicilio eletto presso l’avv. NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAIL)
– controricorrente e ricorrente incidentale –
per la cassazione della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia-Giulia n. 214/03/2022 depositata in data 06/10/2022;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 25/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le conclusioni depositate dal Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso principale, l’accoglimento del primo e del quinto motivo di ricorso incidentale e il rigetto del secondo e del quarto motivo del ricorso incidentale in quanto inammissibili.
Rilevato che:
-l’Amministrazione Doganale notificava avviso di pagamento accertando, sulla base delle contestazioni prodotte nel precedente processo verbale, una maggiore accisa su energia elettrica pari ad euro 94.284,80 per gli anni 2013 e 2014, oltre interessi, indennità di mora e spese; seguiva verbale di irrogazione sanzioni riferite al suddetto avviso di pagamento, nonché atto denominato ‘atto di integrazione della motivazione e conferma dell’avviso di pagamento’. In sostanza, l’Ufficio disponeva la conservazione e sanatoria con effetti retroattivi degli atti impositivi emessi dall’Ufficio e ciò a seguito di una nota con la quale la ricorrente evidenziava che l’Ufficio non aveva in alcun modo tenuto conto delle osservazioni fatte ai rilievi mossi;
la società contribuente impugnava gli atti in questione;
la CTP di Trieste accoglieva il ricorso;
-appellava l’Ufficio;
-con la sentenza gravata il giudice dell’appello ha parzialmente riformato la sentenza appellata e accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Trieste limitatamente ai
rilievi 1 (mancato aggiornamento della licenza di esercizio in violazione dell’art. 53 -bis, comma 1, TUA , ai fini dell’applicazione dell’art. 52, comma 2, lett. a) TUA ), 2 (omissione dell’autodenuncia come primo soggetto consumatore dell’energia elettrica autoprodotta, e poi di acquirente/soggetto obbligato con espressa manleva del soggetto fornitore), e 5, collegato al n. 2 (mancata presentazione della cauzione, divenuta necessaria) di cui all’avviso di pagamento n. 21/2015; ha poi confermato la sentenza appellata in relazione ai rilievi 3 (tenuta infedele dei registri, in violazione dell’art. 53, comma 8, del TUA) e 4 (omessa comunicazione mensile di superamento dei 1.200.000,00 Kwh di consumo, in violazione dell’art. 3 -bis, comma 4, d.l. n. 16/12) di cui al medesimo avviso di pagamento n. 21/2015; -ricorre a questa Corte l’Agenzia delle Dogane con un unico motivo di impugnazione;
la società contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato a cinque motivi e illustrati da unica memoria;
-a tale ricorso incidentale l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso.
Considerato che:
-in via pregiudiziale, RAGIONE_SOCIALE eccepisce l’improcedibilità del ricorso dell’Amministrazione Doganale per omessa allegazione in atti della copia autentica della sentenza impugnata, quale violazione dell’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c.;
-l’eccezione è infondata;
invero, è effettivamente in atti una copia informatica e non analogica della sentenza impugnata con riguardo alla quale parte ricorrente non risulta aver attestato la conformità della stessa all’originale;
nondimeno, ritiene il Collegio che, se dal fascicolo informatico si estraggono i file nello stesso presenti quali duplicati informatici, ‘gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta ‘, come si evince dall’art. 23 c. 2 del d.lgs. n. 82 del 2005 (c.d. codice dell’Amministrazione digitale o CAD);
-in argomento, poi, questa Corte ha chiarito (Cass. sez. 3, n. 24885 del 21/08/2023) che in tema di giudizio di cassazione, neppure il deposito da parte del ricorrente di copia della sentenza impugnata, redatta in formato digitale, priva degli elementi grafici idonei a consentire l’individuazione del numero e della data di pubblicazione non determina l’improcedibilità del ricorso, ove il controricorrente, nel costituirsi anche tardivamente, abbia depositato una copia della sentenza medesima, completa di tutti gli elementi identificativi, tali da consentire alla Corte di controllare se e quando il provvedimento impugnato sia venuto ad esistenza, di verificare la tempestività del ricorso e di formulare un corretto dispositivo, individuando con esattezza l’oggetto dell’impugnazione;
-e nel presente caso, se è vero che difetta l’attestazione di conformità, nondimeno sono presenti -nella copia digitale depositata da parte controricorrente -i sopra indicati elementi, che consentono di verificare positivamente la tempestività del ricorso (notificato in data 22 marzo 2023, nel rispetto del termine semestrale per l’impugnazione risultando la sentenza di merito depositata in data 6 ottobre 2022);
in ogni caso, questa Corte ha già ancor meglio chiarito che in via generale (Cass. Sez. 3, n. 12971 del 13/05/2024) nel regime di
deposito telematico degli atti, l’onere del deposito di copia autentica del provvedimento impugnato, imposto a pena di improcedibilità del ricorso dall’art. 369, comma 2 n. 2, c.p.c., è assolto non solo dal deposito della relativa copia informatica, recante la stampigliatura dei dati esterni concernenti la sua pubblicazione (numero cronologico e data), ma anche dal deposito del duplicato informatico di detto provvedimento, il quale ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, dell’originale informatico e che, per sue caratteristiche intrinseche, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione che ne determinerebbe, di per sé, l’alterazione;
– in ultimo, va rilevato che le sopra esposte conclusioni risultano del tutto conformi alla giurisprudenza CEDU (sentenza del 23 maggio 2024, n. 37943/17 e altri 2, NOME e altri c. Italia); in tale pronuncia il giudice di Strasburgo ha dapprima valorizzato il parere n. 14 (2011) del Consiglio consultivo dei giudici (CCJE) sulla giustizia e le tecnologie dell’informazione (IT), secondo il quale ‘le IT dovrebbero essere uno strumento o un mezzo per migliorare l’amministrazione della giustizia, per facilitare l’accesso degli utenti ai tribunali e per rafforzare le garanzie stabilite dall’articolo 6 CEDU: accesso alla giustizia, imparzialità, indipendenza del giudice, equità e ragionevole durata dei processi (…) Le IT non devono diminuire i diritti procedurali delle parti. I giudici devono stare attenti a tali rischi in quanto spetta loro la responsabilità di assicurare la tutela dei diritti delle parti’; la Corte, in particolare, accoglie in tale sentenza alcuni dei ricorsi italiani che le sono pervenuti basandosi sul criterio del ‘formalismo eccessivo’. Essa ribadisce infatti che, nell’applicare le norme procedurali, i tribunali nazionali devono evitare il formalismo eccessivo che è contrario all’obbligo di assicurare il diritto concreto ed effettivo di accesso a un tribunale previsto dall’art . 6-1 della
Convenzione. Tale diritto, ritiene la Corte richiamando propri precedenti, è compromesso quando le norme non servono più a conseguire i fini della certezza del diritto e della retta amministrazione della giustizia e formano una specie di barriera che impedisce ai litiganti di ottenere una determinazione nel merito della causa da parte di un tribunale competente. I tribunali interni devono evitare il formalismo eccessivo tenendo conto degli ostacoli pratici che i ricorrenti possono incontrare nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Nell’attuale contesto di crescente digitalizzazione della giustizia degli Stati contraenti, le nuove tecnologie dovrebbero essere utilizzate come strumenti per migliorare l’accesso effettivo e concreto alla giustizia e dovrebbe esservi la supervisione dei giudici sulla loro messa in opera in modo da garantire i diritti procedurali delle parti; Cassazione di verificare nella fase iniziale del
– sulla base di tali considerazioni, nella sentenza in esame la Corte ha ritenuto che proprio l’assenza dell’attestazione di conformità delle copie cartacee e della relazione di notificazione non impedisse alla procedimento l’osservanza del termine breve per il deposito del ricorso. Dichiarare improcedibili i ricorsi, per di più senza offrire ai ricorrenti una ragionevole possibilità di presentare l’attestazione in un successivo momento, specialmente nella fase di transizione dal procedimento cartaceo al procedimento telematico, ha perciò ha ecceduto il fine di garantire la certezza del diritto e la retta amministrazione della giustizia, creando una barriera che ha impedito ai ricorrenti di ottenere una determinazione nel merito della loro causa da parte della Cassazione e compromesso la sostanza stessa del loro diritto di accesso a un tribunale;
-proseguendo, in disparte per ora l’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 360-bis c.p.c. che sarà esaminata oltre, vanno ora
dapprima scrutinate in quanto pregiudiziali le altre eccezioni di inammissibilità del ricorso principale, incentrate l’ una sulla violazione dell’art. 366 c.p.c. e l’altra sulla formazione del giudicato interno ai sensi dell’art. 329 c.p.c. in ordine all’annullamento del rilievo n. 3), nonché sull’avvenuta rinuncia circa l’eccezione (proposta dall’Ufficio) di asserita inammissibilità del motivo di ricorso introduttivo avverso l’atto di irrogazione sanzioni;
-quanto all’asserita inammissibilità del motivo di ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., la stessa è infondata poiché dall’articolazione del mezzo di censura si evince con sufficiente chiarezza la questione di diritto posta;
quanto alla ritenuta formazione del giudicato interno riguardo l’annullamento del rilievo n. 3, effettivamente si è prodotto il giudicato, posto che il ricorso principale si riferisce al solo rilievo n. 4; -infine, con riguardo all’eccezione relativa all’avere l’Ufficio rinunciato alla censura di inammissibilità del motivo di ricorso introduttivo avverso il verbale di irrogazione sanzioni prot. n. 16465/2015, tale eccezione risulta sollevata dall’Ufficio nel corso del primo grado di giudizio e riproposta in appello ma poiché nella sentenza qui impugnata nulla esprime sul punto la CTR, pur riportandone l’esistenza nel processo nella parte della sentenza che illustra lo svolgimento del processo, la stessa deve intendersi implicitamente rigettata; in ogni caso alla luce della decisione che segue non sussiste qui interesse in capo alla parte che ne eccepisce il mancato esame, alla sua trattazione;
-concludendo allora l’esame delle eccezioni di inammissibilità proposte da RAGIONE_SOCIALE va in ultimo trattata l’eccezione riguardante la asserita inammissibilità del ricorso per cassazione per violazione dell’art. 360 -bis, c.p.c.; si sostiene, in sintesi, che il
Collegio di appello abbia reso la propria decisione in frontale contrasto con la giurisprudenza del tutto consolidata di questa Corte secondo la quale va attribuita natura soltanto formale alle dichiarazioni mensili di consumo ove sia riscontrabile la dimostrabilità dei consumi mensili stessi tramite la dichiarazione annuale;
-l’eccezione è infondata; va applicato il principio già enunciato da questa Corte (Cass. n. 28070/18), secondo il quale la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nell’art. 360-bis, comma 1, n. 1 c.p.c. non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l’orientamento contestato si fonda;
nel presente caso, in ricorso si citano precedenti e argomenti addotti a sostegno dell’orientamento contrario; ne discende l’ammissibilità dell’impugnazione, per quanto come si vedrà -la stessa risulti infondata;
venendo al contenuto del motivo di ricorso principale, lo stesso si duole della mancata trasmissione da parte di RAGIONE_SOCIALE per poter fruire dell’esenzione ai fini delle accise ex art. 52 c. 2 d. Lgs. n. 504 del 1995 (c.d. Testo unico accise o TUA) relativa ai consumi superiori ai 1.200.000 KWh, al competente Ufficio delle Dogane, entro il 20 di ogni mese, dei dati relativi ai consumi del mese precedente;
il motivo è, come anticipato, infondato;
questa Corte ha più volte chiarito come (cfr. Cass., Sez. V, 15 luglio 2020, n. 14983; Cass., Sez. V, 22 ottobre 2019, n. 26922; Cass., Sez. V, 9 ottobre 2019, n. 25275; Cass., Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 1985, che enuncia anche il relativo principio di diritto; Cass., Sez. V, 6 dicembre 2018, n. 31618; di recente Cass. n. 11081/2023 e Cass.
1554/2024) in tema di accise sull’energia elettrica, l’omessa comunicazione mensile dei consumi all’Amministrazione finanziaria entro il termine previsto non comporta la decadenza dall’agevolazione ( rectius: esenzione) di cui all’art. 52, comma 3, lett. f), d.lgs. n. 504 del 1995 (nel testo applicabile “ratione temporis”), non essendo tale sanzione prevista da alcuna disposizione e costituendo detta comunicazione un adempimento formale i cui dati sono comunque riportati nelle comunicazioni annuali, le quali soltanto assumono effettivo rilievo ai fini della liquidazione e dell’accertamento dell’accisa;
in particolare, va osservato come questa Corte abbia più volte statuito a chiare lettere che «in tema di accise sull’energia elettrica, l’omessa comunicazione mensile dei consumi all’Amministrazione finanziaria entro il termine previsto non comporta la decadenza dall’agevolazione di cui all’art. 52, comma 3, lett. f), del d. Lgs. n. 504 del 1995 (nella formulazione applicabile “ratione temporis”), non essendo tale decadenza prevista da alcuna disposizione e costituendo detta comunicazione un adempimento formale i cui dati sono comunque riportati nelle comunicazioni annuali, le quali soltanto assumono effettivo rilievo ai fini della liquidazione e dell’accertamento dell’accisa» (così Cass. Sez. 5, n. 31618 del 06/12/2018; conf. Cass. Sez. 5, n. 14983 del 15/07/2020);
ancora, si è ribadito, enunciando come già detto sul punto il principio di diritto, che ‘in tema di accise sull’energia elettrica utilizzate in opifici industriali aventi un consumo mensile superiore a 1.200.000 kWh (cd. imprese auto produttrici energivore), non determina la decadenza dal beneficio il fatto che il contribuente non abbia trasmesso, al competente Ufficio dell’Agenzia delle dogane, entro il giorno 20 di ogni mese, i dati relativi al consumo del mese
precedente, ove la misura del consumo risulti in altro modo dimostrata’ (così si esprime Cass. Sez. 5, n. 1985 del 24/01/2019);
-pertanto, il ricorso dell’Amministrazione doganale va rigettato;
va quindi ora esaminato il primo motivo di ricorso incidentale, che denuncia la illegittimità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha confermato il rilievo n. 1), per violazione e falsa applicazione dell’art. 52, comma 2, lett. a) e dell’art. 53 -bis, comma 1, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504, nonché dell’art. 2, d. lgs. n. 28 del 2011, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.;
il motivo è fondato;
si stabilisce in sentenza che ‘nell’anno 2000, RAGIONE_SOCIALE era intestataria di una licenza di officina di produzione da altre fonti rinnovabilienergia elettrica, poi, in seguito al rinnovo dell’impianto, fu rilasciata (16/09/2004) una licenza per l’esercizio di officina di produzione da altri fonti rinnovabili-energia elettrica. Si sostiene dunque che con la normativa di cui all’art. 1, co. 1120 della Legge finanziaria del 2007, n. 296/2006, il legislatore, intervenendo a modifica delle precedenti disposizioni che recepivano anche direttive comunitarie, escluse espressamente i rifiuti solidi urbani dal novero delle fonti rinnovabili, per cui è evidente che a decorrere da tale data, a prescindere dal tipo di licenza in possesso, RAGIONE_SOCIALE non poteva più operare in qualità di produttore da altri fonti rinnovabili. In sostanza, a tutela dell’ambiente, si venivano così ad escludere i rifiuti non totalmente biodegradabili dal beneficio degli incentivi riservati alle fonti rinnovabili, con la conseguenza che la licenza del 16/09/2004 posseduta da Acegas non poteva più avere valore alla luce della normativa così modificata’;
-l’art. 52, comma 2, lett. a) , del d.lgs. 504/95 stabilisce che ‘ non è sottoposta ad accisa l’energia elettrica:
Cons. Est. NOME COGNOME
prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza non superiore a 20 kW’;
quanto alla ricognizione della normativa vigente in materia, deve precisarsi che le fonti energetiche rinnovabili sono state definite inizialmente nel decreto n. 387/03, di recepimento della direttiva europea 2001/77/CE. L’art. 2 della direttiva in questione definiva: a) “fonti energetiche rinnovabili”, le fonti energetiche rinnovabili non fossili (eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomassa , gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas); b) “biomassa”, la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani (enfasi aggiunta);
la successiva direttiva n. 2009/28/CE, che ha abrogato quella dinanzi richiamata, ha riprodotto, nell’art. 2, le suddette definizioni , stabilendo che «Ai fini della presente direttiva si applicano le definizioni della .
Si applicano inoltre le seguenti definizioni:
‘energia da fonti rinnovabili’: energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa , gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas;
(…)
‘biomassa’: la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani (enfasi aggiunta)’ ;
conseguentemente il d.lgs n. 28 del 2011, di recepimento della ridetta direttiva europea 2009/28/CE, ribadisce (art. 2, comma 1, lett. e), che per biomassa s’intende ‘la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura, (comprendente sostanze vegetali e animali) dalla silvicultura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, gli sfalci, e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani (enfasi aggiunta)’ ;
-l’art. 1, comma 1120, l. 296/06 ha effettivamente disposto l’abrogazione dei commi 1, 3 e 4 dell’art. 17 del d. Lgs. n. 387/03, nonché la soppressione delle parole: “e da rifiuti” contenute nell’art. 20 del medesimo decreto;
-ma il comma 1 dell’art. 17 ammetteva a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche rinnovabili i rifiuti , ivi compresa, anche tramite il ricorso a misure promozionali, la frazione non biodegradabile ed i combustibili derivati dai rifiuti , i commi 3 e 4 si riferivano all’adozione di un decreto volto all’individuazione degli ulteriori rifiuti e combustibili derivati dai rifiuti ammessi a beneficiare, anche tramite il ricorso a misure promozionali, del regime giuridico riservato alle fonti rinnovabili ; laddove l’art. 20 detta le disposizioni transitorie della nuova disciplina;
-in definitiva, la disposizione abrogata estendeva il regime anche alla frazione non biodegradabile dei rifiuti solidi urbani, per cui l’abrogazione riguarda giustappunto -soltanto- tale estensione;
coerentemente, come la stessa Agenzia sottolinea nel controricorso al ricorso incidentale, il comma 1117 dell’art. 1 L. 296/06 stabilisce che ‘ dalla data di entrata in vigore della presente legge i finanziamenti e gli incentivi pubblici di competenza statale finalizzati
alla promozione delle fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica sono concedibili esclusivamente per la produzione di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, così come definite dall’articolo 2 della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001 (enfasi aggiunta) sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili’;
di conseguenza ritenere -come ha ritenuto la sentenza impugnata che allora la società non avesse più la qualifica di produttore da altre fonti rinnovabili in quanto utilizzatrice, nel proprio impianto, di ‘rifiuti non totalmente biodegradabili’ risulta affermazione erronea in diritto, a fronte della continuità normativa relativa alla definizione di fonte energetica rinnovabile e di biomassa, sempre comprensiva -almenodella frazione biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani;
-al riguardo, il Giudice dell’Unione (CGUE, 20 aprile 2023, causa C-580/21, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE ha chiarito che ‘dalle definizioni di cui all’articolo 2, lettere a) ed e), della direttiva 2009/28 risulta che, sebbene l’energia ottenuta mediante il recupero della biomassa costituisca energia prodotta da fonti rinnovabili, solo la parte biodegradabile, in particolare, dei rifiuti industriali e urbani rientra nella nozione di «biomassa», come definita da tale direttiva. L’energia prodotta mediante trattamento termico di urbani è quindi considerata, parte biodegradabile di tali rifiuti e ad esclusione della composta da rifiuti convenzionali, come energia da fonti rinnovabili – rifiuti industriali e per l’elettricità prodotta a partire da tale loro parte enfasi aggiunta-; (punto 35); benché la pronuncia si riferisca alla direttiva n. 2009/28/CE, assume senz’altro rilievo anche in relazione
alla direttiva precedente, in considerazione dell’identità delle definizioni d’interesse;
-con riguardo alla direttiva 2001/77/CE, d’altronde, la giurisprudenza unionale aveva già segnalato, per un verso, che: ‘l a direttiva 2001/77 intende, da parte sua, ai sensi del proprio articolo 1, promuovere un maggior contributo delle fonti energetiche rinnovabili alla produzione di elettricità nel relativo mercato interno e creare le basi per un futuro quadro comunitario in materia’ e, per l’altro, che ‘ le diverse categorie di biomassa elencate all’articolo 2, lettera b), della direttiva 2001/77 comprendono segnatamente vari tipi di rifiuti. Al riguardo, il considerando 8 della direttiva 2001/77 sottolinea, peraltro, che il sostegno che gli Stati membri concedono alle fonti energetiche rinnovabili dovrebbe essere compatibile con gli altri obiettivi dell’Unione, specie per quanto riguarda la gerarchia dei rifiuti. Orbene, è assodato, per esempio, che, per quanto attiene a detta gerarchia, come precisata, da ultimo, dall’articolo 4 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU L 312, pag. 3), sostanze quali la parte biodegradabile proveniente dai rifiuti industriali e urbani, che sono essenzialmente destinate allo smaltimento, o alla valorizzazione energetica, in particolare per cogenerazione, non possono essere considerate paragonabili né al legno che può essere usato come materia prima, né ai rifiuti del legno dato che questi possono essere riutilizzati o riciclati nelle filiere industriali ad esso collegate e che tali trattamenti, nell’ambito di tale gerarchia, possono dover essere privilegiati rispetto alla valorizzazione energetica’ ; per conseguenza, aveva stabilito, ‘Allo stato attuale del diritto dell’Unione, il principio di parità di trattamento e di non discriminazione, sancito in particolare dagli
articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, non osta a che, quando istituiscono regimi nazionali di sostegno alla cogenerazione e alla produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili, come quelli di cui agli articoli 7 della direttiva 2004/8 e 4 della direttiva 2001/77 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, gli Stati membri prevedano una misura di sostegno rinforzata, come quella di cui al procedimento principale, della quale possono fruire tutti gli impianti di cogenerazione che valorizzano principalmente la biomassa, con l’esclusione degli impianti che valorizzano principalmente legno e/o rifiuti di legno ‘ (CGUE 26 settembre 2013, causa C-195/12, RAGIONE_SOCIALE (IBV) SA , rispettivamente punti 55, 56 e 78; sui criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, v. l’art. 179 del d.lgs. n. 152/06 );
– ancora, secondo CGUE in causa C-580/21 (punto 22 e seguenti), la direttiva 2001/77 definiva al suo articolo 2, lettera c), l’«elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili» come «l’elettricità prodotta da impianti alimentati esclusivamente con fonti energetiche rinnovabili, nonché la quota di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili nelle centrali ibride che usano anche fonti di energia convenzionali»; la direttiva 2009/28, che ha sostituito la direttiva 2001/77, non ha ripreso tale definizione; peraltro, ha aggiunto la CGUE , ‘gli obiettivi relativi al massimo ricorso all’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili e a un aumento sostanziale della trasmissione e distribuzione di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili rischierebbero di essere compromessi se un impianto di produzione di elettricità che non utilizza esclusivamente fonti energetiche rinnovabili fosse, per tale motivo, assimilato a un
impianto che utilizza solo fonti energetiche convenzionali e, di conseguenza, escluso dall’accesso prioritario previsto all’articolo 16, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2009/28 ‘ (punto 31);
– e neppure va sottaciuto, come ancora osserva sempre la Corte di giustizia (punto n. 28), che ‘…per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2009/28, quest’ultima, come risulta dal suo articolo 1, ha lo scopo di stabilire un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili, fissando, specificamente, obiettivi nazionali obbligatori per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia. Inoltre, dal considerando n. 60 di tale direttiva risulta che essa mira, attraverso l’integrazione dell’elettricità da fonti energetiche rinnovabili nel mercato a pronti, a promuovere al massimo l’uso di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili. Il considerando 61 della medesima direttiva enuncia che l’obiettivo di quest’ultima è un aumento sostanziale della trasmissione e distribuzione di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili e che, a tal fine, gli Stati membri dovrebbero adottare misure appropriate tese a permettere una maggiore penetrazione di energia da fonti rinnovabili’;
-dall’insieme delle sopra svolte considerazioni deve allora concludersi facendo applicazione al caso concreto proprio dell’affermazione di chiusura del giudice u nionale, in forza della quale ‘….gli obiettivi relativi al massimo ricorso all’elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili e a un aumento sostanziale della trasmissione e distribuzione di elettricità prodotta da fonti energetiche rinnovabili rischierebbero di essere compromessi se un impianto di produzione di elettricità che non utilizza esclusivamente fonti energetiche rinnovabili fosse, per tale motivo, assimilato a un impianto che utilizza solo fonti energetiche convenzionali e, di
conseguenza, escluso dall’accesso prioritario previsto all’articolo 16, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2009/28’ (coerentemente, in relazione al ‘principio secondo cui deve riscontrarsi l’effettiva produzione di energia da parte degli impianti rinnovabili, al netto anche del consumo di energia derivante da combustibili fossili, strumentale al funzionamento stesso dell’impianto’, vedi Cass., Sez. U., n. 10110 del 16/04/2021);
ciò che conta, quindi, anche nell’evoluzione della normativa e della giurisprudenza unionali, è che, sia pure in parte, siano utilizzate fonti energetiche rinnovabili e la parte biodegradabile dei rifiuti solidi urbani continuava a esserlo ratione temporis;
da ciò si desume come abbia errato la sentenza impugnata, con riguardo alla frazione biodegradabile, poiché dall’esegesi sopra svolta -alla quale il giudice di merito non ha provveduto correttamente -si desume come tale frazione biodegradabile sia sempre rimasta annoverata fra le fonti di energia rinnovabile;
alla luce delle sopra esposte conclusioni in diritto, alle quali il giudice del rinvio dovrà attenersi, è anche necessario un nuovo accertamento in fatto, che pure occuperà il rinnovato giudizio di merito;
se infatti in diritto l’art. 52, comma 2, lett. a) si applica anche agli impianti che utilizzano parzialmente fonti rinnovabili, sotto il profilo soggettivo qualitativo, (quindi ‘ biomasse ‘ nella definizione di cui sopra si è detto), nondimeno, sotto il profilo oggettivo -quantitativo esso riguarda solo la porzione di energia prodotta dalla frazione biodegradabile dei rifiuti;
-deve quindi concludersi come, ferma restando l’idoneità a produrre energia rinnovabile, in quanto utilizzanti anche materie di combustione rinnovabili, in capo agli impianti -con conseguente
regolarità dell’autorizzazione a suo tempo rilasciata, stante il rispetto dei requisiti previsti per la sua concessione -la disciplina in questione si applica a quella sola parte di energia prodotta dalle frazioni biodegradabili dei rifiuti;
-c onseguentemente, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e) del d. lgs. del 2011 di recepimento della direttiva europea 2009/28/CE (che reca la definizione di ‘biomassa’ recepita nell’ordinamento interno), letto in combinazione con l’art. 52 comma 2 lett. a) del TUA (secondo il quale non è sottoposta ad accisa l’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia con potenza non superiore a 20 kW), la norma si applica anche agli impianti che utilizzano solo parzialmente fonti energetiche rinnovabili quali le ‘biomasse’;
-al tempo stesso, quanto al secondo profilo, ove l’impianto beneficiario della esenzione utilizzi in parte fonti rinnovabili, in parte fonti non rinnovabili, la norma trova applicazione alla sola porzione di energia elettrica derivante dall’utilizzo delle fonti rinnovabili;
-a determinare quindi in concreto l’applicabilità della disciplina in questione in parte qua provvederà il giudice del rinvio, accertando in fatto quanta energia elettrica è stata prodotta per mezzo dell’utilizzo, nel ciclo produttivo dell’impianto della società contribuente, di biomasse , in applicazione del seguente principio di diritto: ‘ Posto che, in tema di imposte sulla produzione di energia elettrica, la normativa unionale definisce la nozione di «energia da fonti rinnovabili» come riferita, segnatamente, alla «biomassa» e la nozione di «biomassa» come comprendente, in particolare, «la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani», l’art. 52 comma 2 lett. a) TUA – sotto il profilo dell’oggetto dell’energia prodotta, sulla quale va quantitativamente determinata l’esenzione va applicato, dovendo la
previsione di diritto interno interpretarsi in conformità alle disposizioni unionali, unicamente alla quantità di energia prodotta con l’utilizzo della frazione biodegradabile dei rifiuti’;
il secondo motivo di ricorso incidentale si duole della illegittimità della sentenza, nella parte in cui ha confermato il rilievo n. 3) recte , n. 2-, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per avere il giudice dell’appello ritenuto erroneamente che il comportamento del contribuente non avrebbe consentito ‘un adeguato controllo, oltre alla non ottemperanza degli obblighi di cui alla citata normativa’ , ignorando il contenuto delle denunce di officina verificate sin dal 2004;
il motivo è inammissibile per due ordini di ragioni;
in primo luogo, esso non identifica un fatto in senso storiconaturalistico;
-inoltre, il motivo non intercetta l’intera ragione del decidere, che fa riferimento anche al successivo cambiamento della situazione della contribuente, allorquando, si legge in sentenza, ha agito prima, a partire da ottobre 2013, quale consumatore dell’energia autoprodotta e poi, nel 2014, quale soggetto obbligato, in luogo della società RAGIONE_SOCIALE; né col motivo si allega la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 52, comma 3, TUA (v., al riguardo, Cass. n. 2042 del 28/01/2025, punto 6.7, secondo cui ‘gli esercenti delle officine di produzione di energia elettrica per uso proprio, oltre a dover denunciare preventivamente la propria attività, ottenere il rilascio di una licenza di esercizio e depositare annualmente una dichiarazione di consumo, sono soggetti comunque obbligati al pagamento delle accise da cui, però, sono esentati, ai sensi dell’art. 52, comma 3, TUA, in presenza delle seguenti concorrenti condizioni: a) che la
produzione avvenga con impianti azionati da fonti rinnovabili; b) che detti impianti abbiano una potenza disponibile superiore a 20 kw; c) che l’energia autoprodotta venga anche autoconsumata per usi differenti da quello abitativo’ );
-il terzo motivo deduce l’illegittimità della sentenza, nella parte in cui ha confermato il rilievo n. 5), collegato, per espressa affermazione in sentenza, al rilievo n. 2 (e non, come sostiene la società, ai rilievi nn. 1 e 2) per violazione e falsa applicazione dell’art. 53, comma 5, d.lgs. 26 ottobre 1995 n. 504, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
il quarto motivo censura la sentenza impugnata lamentandone la nullità nella parte in cui ha confermato il rilievo n. 5), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 d. Lgs. n. 546 del 1992, quanto alle eccezioni rispettivamente calibrate sul contenuto delle denunce di officina verificate dal 2004 e sulla prescrizione decennale del diritto, decorrente da quella data, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.;
-al riguardo, si legge in sentenza che ‘ne consegue anche la conferma del rilievo 5 relativo alla mancata corresponsione delle cauzioni ex art. 53 comma 5 TUA, cauzione che non era dovuta nel caso in cui nel 2014 RAGIONE_SOCIALE agiva come soggetto conferente tutta l’energia prodotta, ma necessaria quando, nel 2013, la stessa agiva come consumatore dell’energia elettrica autoprodotta’;
le considerazioni spese in relazione ai motivi concernenti il rilievo n. 2 valgono anche in relazione a questi motivi, inammissibili per le medesime ragioni;
il quinto motivo (rubricato sub. n. 10) lamenta ancora la nullità della sentenza, nella parte in cui non si è pronunciata sull’annullamento delle sanzioni, anche per carenza dell’elemento soggettivo, per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e
degli artt. 36, comma 2, n. 4 e 61 d. lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; secondo la società contribuente il Collegio di appello non si sarebbe pronunciato sulla domanda della società di annullamento delle sanzioni, derivante anche dall’assenza dell’elemento soggettivo, richiesto dall’art. 5, d. Lgs. n. 472 del 1997;
il motivo, in relazione alle violazioni rimaste accertate, va respinto quanto al profilo concernente l’elemento soggettivo, in base al principio consolidato (tra varie, vedi Cass. 30/01/2020, n. 2139) secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall’art. 3 l. n. 689 del 1981, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza; laddove l’aspetto dell’esimente non è argomentato;
per il resto, la censura è assorbita;
in conclusione, quindi, il ricorso principale va rigettato; il primo motivo del ricorso incidentale è invece accolto nei termini sopra detti; il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo, per il profilo indicato,
dell’impugnazione incidentale sono rigettati; il quinto è assorbito per il resto;
la sentenza impugnata è di conseguenza cassata limitatamente al profilo di cui al motivo oggetto di accoglimento, nei termini di cui in motivazione, con rinvio al giudice del merito per nuovo esame alla luce dei principi sopra illustrati, nonché per la regolamentazione delle spese, anche del giudizio di legittimità;
p.q.m.
rigetta il ricorso principale; accoglie il primo motivo di ricorso incidentale nei termini di cui in motivazione; rigetta il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso incidentale, quest’ultimo nei limiti in motivazione, assorbito per il resto; cassa la sentenza impugnata limitatamente ai profili di cui al motivo oggetto di accoglimento e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli Venezia -Giulia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2025.
La Presidente NOME–NOME COGNOME