Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33755 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33755 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
Oggetto: tributi -accise -affidamento -tributi -insussistenza – autoproduttore -consorzio -vendita ai consorziati -prescrizione -decorrenza – PVC
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24438/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (C.F. P_IVA), già RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, e dall’Avv. Prof. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE) in virtù di procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente principale – contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA),
in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 345/07/17, depositata in data 13 marzo 2017
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 6 novembre 2024;
udita la relazione del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale ;
udito l’Avv. COGNOME in sostituzione degli Avv.ti COGNOME e COGNOME per il ricorrente;
FATTI DI CAUSA
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE, impresa di autoproduzione di energia operante nel settore delle fonti di energia rinnovabili, a sua volta consumata dai propri consorziati, ha impugnato due avvisi di pagamento, relativi ai periodi di imposta dal 2003 al 2010, con il quale -a seguito di verifica sfociata in PVC del 14 luglio 2011 -veniva assoggettata ad accisa l’energia prodotta e consumata dai consorziati. La società ha dedotto che l’energia distribuita alle consorziate fosse esente da accisa quale autoproduttore, come da autorizzazioni già pervenute dall’Ufficio.
La CTP di Treviso ha accolto il ricorso.
La CTR del Veneto con la sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello , che l’omessa corresponsione delle accise su indicazioni dello stesso Ufficio deve ascriversi a errore dell’Ufficio medesimo, che non esime dal pagamento delle imposte. Sul punto, la sentenza impugnata ha rilevato che la
cessione dell’energia ai consorziati costituisce cessione di energia al pari della cessione ai consumatori finali, restando irrilevante ai fini fiscali la disciplina di cui all’art. 2 d. lgs. 16 marzo 1999, n. 79. Il giudice di appello ha, inoltre, ritenuto di fare applicazione della prescrizione quinquennale con decorrenza dalla notificazione degli avvisi di pagamento in data 30 dicembre 2013.
Ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a tre motivi. Resiste con controricorso l’Ufficio , che propone a sua volta ricorso incidentale affidato a un unico motivo. La causa, originariamente fissata per la decisione in adunanza camerale, è stata rimessa alla pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione ed errata applicazione dell’art. 10 l. 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso che dal legittimo affidamento del contribuente possa derivare l’inesigibilità del tributo. Osserva parte ricorrente che l’Ufficio, in più di una occasione, aveva qualificato la società contribuente come impresa di autoproduzione, come ribadito da diverse decine di diversi Uffici doganali, confermando che anche i consorzi e le società consortili rientrano nelle suddette imprese ai fini de l pagamento dell’imposta erariale di consumo, ancorché l’energia elettrica venga fornita ai propri consorziati. Osserva il ricorrente che il principio del legittimo affidamento opera non solo per le sanzioni e gli interessi, ma anche per la prestazione tributaria.
Il primo motivo è infondato in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, secondo cui -salv a l’incidenza su gli aspetti sanzionatori – il legittimo affidamento non possa costituire legittima aspettativa circa l’interpretazione delle norme tributarie, dovendo tale principio essere valutato avendo
riguardo all’inderogabilità delle norme tributarie ed all’indisponibilità della relativa obbligazione (Cass., Sez. V, 27 marzo 2019, n. 8514; Cass., Sez. V, 20 febbraio 2020, n. 4411). L’obbligazione tributaria è, difatti, indifferente alle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi (Cass., Sez. V, 21 settembre 2022, n. 27707; Cass., Sez. V, 25 marzo 2015, n. 5934).
3. Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione ed errata applicazione del combinato disposto degli artt. 52, comma 3, d. lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (TUA) e dell’art. 2, comma 2, d. lgs. 16 marzo 1999, n. 79, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso che l’attività svolta dalla società contribuente possa qualificarsi come autoproduzione di energia. Osserva il ricorrente che la natura di impresa di autoproduzione non viene meno nella specie per il fatto che l’energia sia prodotta con fonti rinnovabili e abbia la funzione di essere distribuita ai propri soci consorziati. Tale funzione sarebbe stata attuata con il cd. « decreto Bersani » (d. lgs. n. 79/1999), che ha considerato autoproduttore di energia la persona fisica o giuridica che la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio, ovvero per uso degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili, con conseguente estensione dell’esenzione da accise sull’imposta di consumo anche a parte ricorrente. Ne consegue, ad avviso del ricorrente, che la disposizione del TUA relativa al l’estraneità al regime dell’imposta di consumo sull’energia elettrica prodotta da impianti azionati da fonti rinnovabili (art. 52, comma 3, lett. a) andrebbe letta in combinato disposto con la disciplina prevista dall’art. 2, comma 2, d. lgs. n. 79/1999 ai fini dell’esenzione dal pagamento delle accise.
4. Il secondo motivo è infondato. L’art. 52, comma 3, lett. b) TUA prevede che è esente da accisa l’energia elettrica « prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni ».
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la società che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con impianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kw, beneficia dell’esenzione limitatamente all’energia prodotta e consumata in proprio, ma non anche a quella prodotta e ceduta ai singoli consociati (Cass., Sez. V, 12 gennaio 2024, n. 1349; Cass., 9 gennaio 2024, n. 791; Cass., Sez. V, 22 agosto 2023, n. 25048; dello stesso tenore inter partes Cass., Sez. VI, 16 gennaio 2023, n. 1023; Cass., Sez. VI, 23 dicembre 2022, nn. 37603, 37631; Cass., Sez. VI, 4 maggio 2022, n. 14045; Cass., Sez. VI, 12 aprile 2022, n. 11871; Cass., Sez. VI, 24 febbraio 2022, n. 6122).
Sotto questo profilo si è ritenuto irrilevante il richiamo all’art. 2, comma 2, d.lgs. n. 79/2009, in quanto, regolando il mercato interno dell’energia elettrica ed i comportamenti dei principali operatori, si tratta di disposizione estranea alla materia fiscale (Cass., Sez. V, 17 gennaio 2024, n. 1856; Cass., Sez. V, 23 agosto 2023, n. 25143, 25111; Cass., Sez. V, 10 luglio 2023, n. 19504; Cass., Sez. V, 23 maggio 2023, n. 14116; Cass., Sez. V, 11 settembre 2020, n. 18863), giurisprudenza che qui si conferma.
Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, costituito dalle specifiche indicazioni date dall’Agenzia delle Dogane alla società contribuente , quali il rilascio della licenza di esercizio, corredata da nota con cui si esentava la società contribuente dal pagamento dell’imposta erariale di consumo, nonché dalle successive attività compiute dall’Ufficio, tra
cui le risposte ad interpello, tutte improntate ad attribuire all’attività della società contribuente la natura di autoproduttore di energia da fonti rinnovabili.
Il motivo è inammissibile. La sentenza impugnata ha effettivamente esaminato il fatto storico dedotto dal contribuente, ossia la dedotta presentazione di un interpello, negando che nella specie fosse rinvenibile una risposta ad interpello (« al tempo stesso si deve, però rilevare che dagli atti esaminati non vi è stato un vero e proprio interpello »). L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. consente di dedurre sotto uno specifico motivo di ricorso l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo; se il fatto storico è stato preso in esame (come nella specie), l’omesso esame di elementi istruttori non integra il vizio suddetto, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. VI, 8 novembre 2019, n. 28887; Cass., Sez. II, 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., Sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053), risolvendosi in questo caso il vizio di supposto omesso esame di un fatto storico (in tesi, effettivamente esaminato), presupposto per una inammissibile nuova valutazione dei fatti operata dal giudice del merito (Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476).
Con l’unico motivo del ricorso incidentale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma , n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 57 TUA, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto di fare applicazione della prescrizione con decorrenza dalla notificazione degli avvisi di pagamento e non dalla notificazione del precedente PVC (notificazione avvenuta, come risulta dalla sentenza impugnata, il 14 luglio 2011) . Osserva l’Ufficio , ricorrente incidentale, che il co mma 4 dell’art. 57 TUA prevede la
prescrizione è interrotta dalla constatazione della violazione; deduce che la constatazione della violazione avviene, propriamente, con il verbale di constatazione (art. 19, comma 3, TUA), che avrebbe pertanto natura di atto interruttivo della prescrizione.
Il ricorso incidentale è fondato. Dispone l’art. 57, comma 4, TUA: « la prescrizione del credito d’imposta è interrotta quando viene constatata la violazione e ricomincia a decorrere dal giorno in cui diventa definitivo l’atto che conclude il procedimento penale o amministrativo intrapreso per la violazione accertata ». La norma prevede sia un evento interruttivo (la constatazione della violazione), sia un evento sospensivo della prescrizione (l’esistenza di un procedimento amministrativo o penale innescata dalla suddetta constatazione ).
L’utilizzo del verbo « constatare» evidenzia come il processo verbale di constatazione delle violazioni sia atto elettivo ai fini dell’interruzione della prescrizione, come evidenziato dall’art. 19 TUA, che attribuisce ai processi verbali di constatazione delle violazioni la funzione di accertamento delle violazioni. Parimenti, va osservato che l’art. 15, comma 4, TUA attribuisce, in materia di deficienze eccedenti i cali consentiti per i prodotti che si trovano in regime sospensivo, la decorrenza del termine prescrizionale « dalla data del verbale di constatazione delle deficienze medesime ».
Ne consegue che, come da giurisprudenza di questa Corte, « non può dubitarsi della concreta idoneità dell’atto di constatazione a svolgere un simile effetto interruttivo. È ben vero che tale atto mira ad acquisire gli elementi utili ai fini dell’accertamento; ove, peraltro, detto verbale si traduca in una constatazione di irregolarità con specificazione dell’accisa da recuperare, dell’infrazione, del tributo evaso e della stessa pretesa sanzionatoria, con l’avviso che “seguirà l’emissione di avviso di pagamento”, l’atto mira inequivocabilmente
anche a costituire in mora il debitore ex art. 2943 c.c., per il quale assume rilievo «ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore» (Cass., Sez. V, 22 novembre 2021, n. 35903; in termini analoghi Cass., Sez. V, 3 novembre 2020, n. 24396; implicitamente Cass., Sez. V, 16 ottobre 2019, n. 25145).
12. La sentenza impugnata, nella parte in cui ha fatto decorrere la prescrizione dal successivo avviso di accertamento anziché dalla precedente notificazione del PVC, non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e va cassata con rinvio per nuova determinazione da parte del giudice del rinvio. Al giudice del rinvio è rimessa la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente principale.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in seconda composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente principale , ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 6 novembre 2024