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Accettazione eredità: onere della prova sul creditore

Un contribuente ha ricevuto una richiesta di pagamento per un’imposta di registro relativa a una sentenza a carico del padre defunto. La Cassazione ha stabilito che spetta al creditore, in questo caso l’Agenzia delle Entrate, dimostrare l’avvenuta accettazione dell’eredità da parte del figlio. La mera qualità di ‘chiamato all’eredità’ non è sufficiente per essere ritenuti responsabili dei debiti del defunto, poiché è necessaria una specifica accettazione, anche tacita. La Corte ha quindi annullato la pretesa fiscale.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accettazione Eredità: la Cassazione chiarisce chi ha l’onere della prova

L’apertura di una successione può portare con sé non solo beni, ma anche debiti. Una delle questioni più delicate per i familiari di un defunto è capire se e quando diventano responsabili per le passività lasciate. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 2940 del 2024, offre un chiarimento fondamentale sul tema dell’accettazione eredità e, in particolare, su chi gravi l’onere di dimostrare che tale accettazione sia effettivamente avvenuta, specialmente quando un creditore, come l’Agenzia delle Entrate, bussa alla porta.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di liquidazione notificato dall’Agenzia delle Entrate al figlio di un contribuente deceduto. L’amministrazione finanziaria richiedeva il pagamento dell’imposta di registro relativa a una sentenza che vedeva il defunto padre come parte soccombente. Il figlio si opponeva alla richiesta, sostenendo di non aver mai accettato l’eredità paterna e, di conseguenza, di non aver mai acquisito la qualità di erede.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato torto al contribuente, affermando che fosse suo onere dimostrare di non aver accettato l’eredità. In sostanza, i giudici di merito avevano invertito l’onere della prova, ponendolo a carico del presunto debitore.

La Decisione della Cassazione sull’Accettazione Eredità

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente le decisioni dei gradi precedenti, accogliendo il ricorso del contribuente. I giudici supremi hanno riaffermato un principio consolidato: in un giudizio instaurato nei confronti del presunto erede per debiti del de cuius, l’onere di provare l’avvenuta accettazione eredità da parte del convenuto spetta a chi agisce in giudizio, ovvero al creditore.

Secondo la Corte, la qualità di erede non si acquisisce automaticamente per il solo fatto di essere un familiare del defunto (ad esempio, un figlio). La legge distingue nettamente la figura del “chiamato all’eredità” da quella dell'”erede”. Si diventa eredi solo a seguito di un atto di accettazione, che può essere espresso (con un atto formale) o tacito (compiendo un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare e che non si avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede). Di conseguenza, la mera chiamata all’eredità non è sufficiente a far sorgere la responsabilità per i debiti ereditari.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte fonda la sua decisione sul principio generale dell’onere della prova, sancito dall’art. 2697 del codice civile. Secondo tale norma, chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nel caso specifico, il diritto del creditore (l’Agenzia delle Entrate) a riscuotere il debito dal figlio del defunto si fonda sulla sua presunta qualità di erede. Pertanto, questa qualità è un “elemento costitutivo” della pretesa del creditore, e come tale deve essere da quest’ultimo dimostrata.

I giudici hanno specificato che non esiste alcuna presunzione legale per cui un figlio debba essere considerato erede. L’assunzione della qualità di erede è una conseguenza diretta e unica dell’accettazione, espressa o tacita. Il creditore che intende agire contro il chiamato all’eredità deve quindi fornire la prova di tale accettazione, senza potersi limitare a invocare il legame di parentela.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza rafforza in modo significativo la tutela dei chiamati all’eredità. Essa chiarisce che i creditori, inclusi gli enti pubblici come l’Agenzia delle Entrate, non possono semplicemente presumere che un parente del defunto sia erede e quindi responsabile dei suoi debiti. Prima di poter avanzare qualsiasi pretesa, il creditore deve svolgere un’attività probatoria per dimostrare che il soggetto convenuto ha posto in essere atti concreti che configurino un’accettazione dell’eredità.

In conclusione, chi riceve una richiesta di pagamento per debiti di un familiare defunto, senza aver mai accettato l’eredità, può legittimamente contestarla. L’onere di provare la sua qualità di erede ricadrà interamente sul creditore, e la semplice relazione di parentela non sarà sufficiente a fondare la pretesa.

Chi deve provare che una persona ha accettato l’eredità in un giudizio per debiti del defunto?
Secondo la sentenza, l’onere di provare l’avvenuta accettazione dell’eredità spetta al creditore che agisce in giudizio per il recupero del proprio credito, e non al presunto erede.

Essere il figlio del defunto è sufficiente per essere considerato erede e dover pagare i suoi debiti?
No. La sentenza chiarisce che la mera chiamata all’eredità, che deriva dal rapporto di filiazione, non è sufficiente. La qualità di erede, e la conseguente responsabilità per i debiti, si acquisisce solo con un atto di accettazione, espresso o tacito.

Cosa deve fare il creditore per poter agire contro il potenziale erede del suo debitore?
Il creditore deve dimostrare che il chiamato all’eredità ha effettivamente accettato l’eredità. L’assunzione della qualità di erede da parte del convenuto è un elemento costitutivo del diritto del creditore, e come tale deve essere provato da quest’ultimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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