Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24964 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24964 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
Oggetto IVA -attività intrattenimento – attività di ristorazione -marginalità – accessorietà – principi di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8435/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 4242/15/2015 depositata il 30/9/2015 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 9 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 4242/15/2015 veniva parzialmente accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 5546/44/2014 con la quale erano stati riuniti e rigettati i ricorsi proposti dalla contribuente contro l’avviso di accertamento per II.DD. e IVA e l’ atto di irrogazione sanzioni relativi al periodo di imposta 2006.
Si legge nella sentenza impugnata e negli atti che, a seguito di controllo con accessi presso la contribuente e p.v.c., veniva contestato lo svolgimento di attività di intrattenimento non conforme a legge. Ritenuta inattendibile la contabilità della società, venivano ricostruiti con metodo induttivo i ricavi ex art.39, comma 2, d.P.R. n.600 del 1973 e venivano irrogate le corrispondenti sanzioni.
Il giudice di prime cure confermava le riprese, ritenendo che la società, oltre all’attività di ristorazione, esercitasse, in modo continuativo, anche attività di intrattenimento musicale soggetta alla disciplina del d.P.R. n.640/72 e alla relativa imposta, non assolta in applicazione della aliquota IVA ordinaria bensì con aliquota indebitamente ridotta.
Il giudice d’appello, disattese le questioni preliminari, riteneva che l’attività di intrattenimento musicale svolto in concreto dalla società non potesse essere considerato marginale per l’attività di impresa e che le carenze della contabilità aziendale fossero tali da giustificare l’applicazione del metodo di accertamento induttivo. La CTR annullava unicamente la ripresa per euro 4.412 relativa alla serata del 12.11.2006 ritenendo che i corrispettivi relativi fossero stati regolarmente registrati e indebitamente contabilizzati dai verificatori e, per il resto, confermava le riprese.
Avverso la sentenza d’appello la contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Considerato che:
Preliminarmente, va dato atto dell’eccezione di inammissibilità formulata dalla controricorrente poiché con i tre motivi del ricorso la contribuente pretenderebbe un riesame del merito della controversia, già effettuato dai giudici di secondo grado, in adesione agli elementi probatori dedotti dall’Ufficio, e smentendo la prospettazione della società secondo cui l’attività di intrattenimento svolta dalla contribuente avrebbe avuto carattere occasionale e la contabilità da essa tenuta non sarebbe stata totalmente inattendibile, tale da giustificare il ricorso all’accertamento induttivo puro. L’eccezione è scrutinabile unitamente alla disamina delle singole censure.
Con il primo motivo la società ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 3, comma 1, primo periodo, del d.P.R. n. 544/1999 per avere il giudice di seconde cure, condividendo quanto affermato dal giudice di primo grado, ritenuto non occasionale l’attività di intrattenimento musicale, anziché saltuaria rispetto a ll’attività principale di ristorazione svolta dalla contribuente, ai fini dell’imposta sugli intrattenimenti.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
3.1. Il collegio osserva che la norma di cui si invoca la violazione, relativo all’imposta sugli intrattenimenti, è l’art. 3, comma 1, primo periodo, del d.P.R. n. 544/1999, rubricato ‘prestazioni occasionali e prestazioni accessorie alle attività di intrattenimento’ , che dispone: « I soggetti che organizzano occasionalmente attività da intrattenimento unitamente ad attività soggette alla certificazione dei corrispettivi ai sensi del d.P.R. 21 dicembre 1996, n.696, certificano con uno dei documenti fiscali previsti dallo stesso decreto anche i corrispettivi relativi all’intrattenimento e alle eventuali operazioni accessorie. I soggetti non esercenti impresa che organizzano occasionalmente le attività di cui alla tariffa allegata al d.P.R. n.640 del 1972, come modificata dall ‘art.1 del d.lgs. n. 60 del 1969, producono la dichiarazione di cui all’articolo 19 dello stesso decreto n. 640 del 1972, anteriormente all’effettuazione dell’evento e presentano al concessionario di cui all ‘art.17 del d.P.R. n.640 del 1972, ovvero all’ufficio delle entrate competente, entro il quinto giorno successivo al termine della data della manifestazione, un’apposita dichiarazione recante gli elementi identificativi dei soggetti e l’indicazione dei corrispettivi percepiti ».
3.2. Si rammenta che ( ex multis , v. Cass. n. 26110 del 2015 e giurisprudenza ivi citata) il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea
ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione.
Inoltre, si ribadisce che la Corte di Cassazione (cfr., ad es. Cass. sentenza del 28/11/2014 n. 25332) non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti.
3.3. Orbene, la ricorrente sostiene che le contestate 29 manifestazioni di intrattenimento, se rapportate al periodo d’imposta (cioè ad un arco temporale di 365 giorni), inciderebbero per meno del 10% del totale delle serate, e ciò conferirebbe loro la natura di occasionalità. Inoltre, la ‘non marginalità’ dell’attività di intrattenimento non potrebbe basarsi sul solo numero delle fatture e il giudice d’appello avrebbe potuto quantomeno verificare la data di emissione o il loro importo.
È allora evidente che, sotto lo schermo del prospettato vizio di violazione di legge, si deduce in realtà un vizio motivazionale, che si traduce in un ulteriore profilo di inammissibilità, per indebita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie già valutate dal giudice, come eccepito dalla controricorrente.
3.4. Nel caso di specie la CTR, con motivazione ampia e articolata, ritenendo corretta l’argomentazione già svolta dal giudice di prime
cure, ha valutato il fatto e posto in evidenza riferimenti circostanziati che emergono dal quadro istruttorio, stabilendo secondo un’argomentazione logica che «la marginalità di un’attività è tale se questa viene compiuta del tutto occasionalmente, ovvero ‘semel in un anno’; la circostanza che le fatture di pagamento dei diritti Siae siano state 29 significa che l’intrattenimento musicale aveva cadenza costante. E se è così, come provano le fatture di pagamento dei diritti Siae, allora se ne deve, necessariamente, dedurre che tale attività non era marginale ma era strettamente connessa e complementare all’attività di ristorazione » (cfr. p. 4 sentenza).
A fronte di ciò, la società con il mezzo in disamina impinge nell’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, che è logicamente argomentato e pienamente condiviso dal collegio.
3.5. Il mezzo di impugnazione è inoltre anche infondato, perché la marginalità non è un presupposto per l’applicazione della norma oggetto della censura autonomo e distinto da quello della ‘occasionalità’ cui la normativa si riferisce: come sopra visto, l’ art.3, comma 1, primo periodo, del d.P.R. n. 544/1999, rubricato ‘prestazioni occasionali e prestazioni accessorie alle attività di intrattenimento’, fa riferimento a «I soggetti che organizzano occasionalmente (…) ».
Con il secondo motivo la ricorrente censura, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione de ll’art. 39, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 per avere il giudice di seconde cure ritenuto legittimo il ricorso allo strumento di determinazione induttiva dei ricavi in assenza dei presupposti di legge per il suo utilizzo.
Il motivo non può trovare ingresso.
5.1. Secondo la ricorrente «la sola circostanza, rilevata dai giudici di secondo grado, secondo cui la società non ha rilasciato validi documenti
d’ingresso e, per il 6.1.2006, non aveva registrato dei corrispettivi non è sufficiente per ritenere inattendibile l’intera contabilità, con conseguente illegittima adozione del metodo induttivo ex art. 39, comma 2, d.P.R. n.600/1973» (cfr. p. 17 ricorso).
Così argomentando, la ricorrente non considera che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi,
(ad es., v. Cass. sentenza n. 16528 del 13/06/2024) il giudizio di complessiva o intrinseca inattendibilità delle scritture contabili, ancorché formalmente corrette, costituisce il presupposto per procedere sia con il metodo analitico-induttivo, che consente valutazioni sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, sia con l’accertamento induttivo “puro”. Quest’ultimo è quello che il giudice d’appello ha accertato essere stato applicato nel caso in esame, ed è fondato su presunzioni cd. “supersemplici”, ossia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in presenza di una delle tassative condizioni previste dallo stesso art. 39 comma 2. Inoltre, costituendo una facoltà per l’Amministrazione, l’Agenzia può prescindere anche solo in parte dalle scritture contabili e dal bilancio e non richiede alcuna specifica motivazione per l’utilizzazione di dati indicati in contabilità o in dichiarazione o, comunque, provenienti dallo stesso contribuente, anche a fronte di un giudizio di complessiva inattendibilità della contabilità, nel rispetto di una ricostruzione operata sempre secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto del parametro costituzionale della capacità contributiva.
5.2. Perciò, premesso che anche solo un indizio, se di peso, è idoneo a fondare un accertamento come quello di specie,
renze contabili riscontrate dai verificatori avevano una tale rilevanza da far ritenere la contabilità poco credibile. La società, infatti, non ha rilasciato validi documenti d’ingresso e, per il 6.1.2006, non aveva registrato dei corrispettivi. Non coglie nel segno l’affermazione della società che, per detto giorno, i registratori di cassa erano stati chiusi alla mezzanotte del 6.1.2006 per cui i corrispettivi risultavano registrati in detto giorno poiché i verificatori erano intervenuti ben dopo la mezzanotte e la registrazione dei corrispettivi, per gli avventori presenti nei locali della società (il cui numero era stato concordato nel corso del pvc) avrebbe potuto essere effettuata il 7.1.2006 previa riattivazione dei registratori» cfr. p. 5 sentenza).
A fronte del preciso accertamento del giudice di seconde cure, per il quale, tra gli altri indizi valutati, anche la mancata emissione di titoli fiscalmente validi rende inattendibile la contabilità ex art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973 e legittima l’Ufficio a ricostruire in via induttiva l’ammontare dei ricavi realizzati dalla società, la ricorrente si limita a criticare l’operato dell’ufficio piuttosto che contrastare la pronuncia d’appello, in ulteriore difetto di specificità e chiedendo a questa Corte, in definitiva, una rivalutazione delle risultanze istruttorie che esulano dal giudizio di legittimità.
La doglianza è così anche inammissibile perché le argomentazioni della ricorrente mirano a criticare le valutazioni che il giudice di seconde cure, secondo il suo prudente apprezzamento, ha maturato sul l’ampio corredo probatorio, sollecitando dunque una nuova disamina del merito della controversia.
Al contrario, le argomentazioni del dissenso che la parte intende sollevare nei riguardi della decisione impugnata debbono essere formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di
riferibilità a quanto pronunciato. Il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ. n. 4.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., con riferimento alla ripresa IVA, la violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 633/1972 in relazione al n. 121) Tabella A, parte III, allegata, per avere il giudice di seconde cure ritenuto corretta l’applicazione dell’aliquota IVA del venti per cento determinata dall’Ufficio , in luogo dell’aliquota agevolata prevista dal disposto citato.
6.1 La ricorrente si duole del fatto che l’attività di intrattenimento avrebbe dovuto essere considerata accessoria all’attività principale di ristorazione, con conseguente estensione del l’aliquota IVA agevolata applicabile all’attività principale, in quanto consistente nella mera riproduzione di musica di sottofondo durante la somministrazione di alimenti e bevande avendo come finalità quella di integrare quest’ultima attività.
Il motivo non è inammissibile come eccepito dall’Agenzia, in quanto non pone una questione di rivalutazione del merito, ma di sussunzione della fattispecie concreta nella rilevante previsione di legge e, dunque, di sua falsa applicazione, ed è fondato.
7.1. Il Collegio osserva che, per decidere sulla censura, è necessario innanzitutto stabilire se escludere l” occasionalità ‘ dell’attività di intrattenimento, in quanto attività non sporadica o occasionale come ritenuto dal giudice d’appello che accerta il fatto che « aveva cadenza costante » (cfr. p.4 sentenza), comporti anche l’esclusione della sua natura accessoria ai fini IVA. In buona sostanza, il giudice considera ai
fini dell’individuazione dell’aliquota IVA applicabile decisivo il fatto che l’attività di intrattenimento musicale è stata non occasionale, anziché saltuaria rispetto all’attività principale di ristorazione svolta dalla contribuente.
7.2. È opportuna una breve ricostruzione normativa per correttamente governare il caso. Innanzitutto, quanto al rapporto tra prestazione principale e accessoria ai fini IVA, quando un’operazione è costituita da una serie di elementi e di atti, si devono prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l’operazione considerata per determinare se tale operazione comporti, ai fini IVA, due o più prestazioni distinte o un’unica prestazione (v., CGUE, 10 marzo 2011, C-497/09, C-499/09, C-501/09 e C-502/09, Bog e a. , punto 52 e giurisprudenza ivi citata).
In linea di principio (cfr. articolo 2 della sesta direttiva) ciascuna prestazione dev ‘ essere considerata distinta e indipendente ai sensi dell’ articolo 1, para 2, della Direttiva 2006/112/CE, ma siffatta regola generale è derogabile allorquando l’operazione si componga di più elementi, dovendosi allora stabilire, caso per caso, se gli stessi siano distinti tra loro oppure compongano un’unica prestazione.
L’articolo 78, para. 1, lettera b), della Direttiva 2006/112/CE esemplifica attività comprese nella base imponibile IVA perché accessorie individuandole in « spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di assicurazione addebitate dal fornitore all’acquirente o al destinatario della prestazione ».
7.3. Nella interpretazione del giudice del Lussemburgo, si deve considerare che si è in presenza di un’unica prestazione quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo al cliente sono a tal punto strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere
artificiale (cfr. sentenze COGNOME e a. , cit., punto 53 e giurisprudenza ivi citata; CGUE 10 novembre 2016, C-432/15, Baštová , punto 70 e giurisprudenza ivi citata).
Pertanto, al di là del caso di una prestazione unica come nel caso in cui uno o più elementi debbono essere considerati costitutivi della prestazione principale, vi è accessorietà quando le operazioni economiche rese siano tra loro connesse su di un piano oggettivo al punto da costituire una sola prestazione economica la cui scomposizione sarebbe artificiosa. Dall’analisi della giurisprudenza unionale (v., CGUE 22 ottobre 1998, C-308/96 e C-94/97, COGNOME e COGNOME , punto 30; CGUE 29 marzo 2007, C-111/05, RAGIONE_SOCIALE NN , punto 28) si desume inoltre che una prestazione dev’essere considerata accessoria ad una prestazione principale quando essa non costituisce per la clientela un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore.
7.4. Nell ‘ambito della normativa interna, il principio di accessorietà ai fini dell’individuazione della base imponibile IVA è contenuto ne ll’articolo 12, del d.P.R. 633/1972 (rubricato ‘ Cessioni e prestazioni accessorie’) , che dispone: « Il trasporto, la posa in opera, l’imballaggio, il confezionamento, la fornitura di recipienti o contenitori e le altre cessioni o prestazioni accessorie ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, effettuati direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese, non sono soggetti autonomamente all’imposta nei rapporti fra le parti dell’operazione principale. Se la cessione o prestazione principale è soggetta all’imposta, i corrispettivi delle cessioni o prestazioni accessorie imponibili concorrono a formarne la base imponibile».
8. Dalla disamina che precede, innanzitutto si desume in diritto che la nozione tecnica decisiva per l’individuazione dell’aliquota IVA applicabile è quella dell’accessorietà della prestazione rispetto alla prestazione principale ai fini dell’applicazione dell’IVA, mentre non lo è la nozione tecnica di ‘ occasionalità ‘ , rilevante quanto alla diversa imposta sugli intrattenimenti di cui all’art.3, comma 1, primo periodo, del d.P.R. n. 544/1999. Al proposito, il principio desumibile è il seguente:
« Ai fini dell’individuazione d ell’aliquota imponibile IVA applicabile ad un’operazione di intrattenimento, non è decisivo il profilo della sua ‘occasionalità’ rispetto all’attività di ristorazione, invece rilevante in materia di imposta sugli intrattenimenti di cui al l’art.3, comma 1, primo periodo, del d.P.R. n. 544/1999, bensì quello dell”accessorietà’, ai sensi dell’art. 12 del d.P.R. n. 633/1972. » .
9. Passando ora a ll’individuazione dei parametri per verificare in concreto la sussistenza del rapporto di accessorietà o meno tra le due operazioni ai fini della base imponibile IVA, la Corte (sia pure con riferimento all’esenzione dall’IVA, cfr. Cass. n. 3893/2023) ha già stabilito che vanno considerate accessorie quelle operazioni che, pur formalmente distinte, sono connesse alla prestazione principale al punto da formare una sola prestazione economica indissociabile, non sulla base del significato meramente formale del negozio, bensì alla stregua del concreto atteggiarsi degli interessi coinvolti, i quali si identificano nella causa del contratto.
A ciò si aggiunge (ragionando da Cass. n. 49725/2021, la quale fa riferimento al caso delle prestazioni accessorie esenti dall’imposta) che devono intendersi accessorie le operazioni economiche poste in essere dal medesimo soggetto in necessaria connessione con l’operazione
principale, a cui accedono con la funzione di integrarla, completarla o renderla possibile.
10. Ciò premesso sul piano oggettivo, su quello soggettivo va registrato un parziale disallineamento tra la normativa interna e la disciplina comunitaria, dal momento che il comma 1 dell’articolo 12, d.P.R. 633/1972, nel testo in vigore ancora in vigore dal 01/01/1973 dispone che le prestazioni accessorie devono essere effettuate « direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese», mentre l’articolo 78 della più recente Direttiva 2006/112/CE non richiede che le operazioni economiche accessorie siano effettuate direttamente dal fornitore, ovvero per suo conto e a sue spese.
Da tempo la giurisprudenza unionale ha superato una prima interpretazione restrittiva secondo cui l’accessorietà presupporrebbe l’identità dei soggetti che effettuano, rispettivamente, la prestazione principale e quella secondaria (v. CGUE 15 giugno 1989, C-348/87, Stichting ) e al contrario ha affermato (cfr. già CGUE 25 febbraio 1999, causa C349/96, Card Protection Plan , punto 22, poi sempre confermata) che il rapporto di accessorietà non viene meno allorquando l’operazione secondaria viene realizzata da un soggetto diverso, essendo sufficiente che sia addebitata al cliente.
Di ciò è del resto consapevole anche l’Agenzia delle Entrate che con la circolare n. 37/E/2011 al punto 3.1.4 ha affermato quanto alle prestazioni di servizi relative ad attività culturali, artistiche e simili che, in considerazione dell’attuale formulazione del testo normativo e dell’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in materia, si deve ritenere che il concetto di accessorietà nell’ambito dei servizi culturali, scientifici e simili debba essere inteso, con riferimento al profilo soggettivo dell’operazione, in senso più ampio rispetto a quanto in precedenza previsto.
11. Ciò ricostruito in linea generale, si tratta ora di vedere specificamente come il principio di accessorietà ai fini della base imponibile operi in relazione al punto 121 della Tabella A parte III allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, relativa ai beni e servizi soggetti all’aliquota del 10%, il quale prevede l’aliquota IVA agevolata per le «somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande».
11.1. Al proposito, la Corte di giustizia (CGUE 18 gennaio 2018, causa C-463/16, Stadion Amsterdam , poi sempre confermata) ha chiarito che la sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di ‘ armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari -Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme ‘ , come modificata dalla direttiva 2001/4/CE del Consiglio, del 19 gennaio 2001, deve essere interpretata nel senso che una prestazione unica, composta da due elementi distinti, uno principale e l’altro accessorio, che, se fossero prestati separatamente, sarebbero assoggettati ad aliquote di imposta sul valore aggiunto differenti, dev ‘ essere tassata alla sola aliquota di imposta sul valore aggiunto applicabile a tale prestazione unica, determinata in funzione dell’elemento principale, anche qualora il prezzo di ciascun elemento che compone il prezzo totale versato da un consumatore per poter beneficiare di tale prestazione possa essere identificato.
Il profilo è rilevante ai fini della presente fattispecie, in cui, ad esempio, potrebbe esserci la presenza di un biglietto di ingresso al ristorante nelle serate in cui vi è anche l’attività di intrattenimento musicale: benché alla luce della giurisprudenza unionale ( Stadion Amsterdam , cit) il fatto che sia individuabile un prezzo per ciascun elemento che compone il prezzo totale versato dal consumatore non sia di per sé decisivo, si
tratta di un profilo rilevante per stabilire, valutato l’intero compendio probatorio se la prestazione non costituisce per la clientela un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore ( COGNOME e COGNOME , cit.; RAGIONE_SOCIALE , cit.)
Tirando le fila da quanto precede, in diritto il giudice del rinvio terrà conto del fatto che si applica alla prestazione di intrattenimento l’aliquota IVA agevolata solo in quanto sia accertata la sua accessorietà rispetto alla prestazione di ristorazione, indipendentemente dal fatto che avesse « cadenza costante » come afferma la sentenza impugnata , allorquando sia accertato, considerate tutte le circostanze concrete del caso, tra le quali la presenza o meno un costo di ingresso nel ristorante in occasione dei soli intrattenimenti musicali, un rapporto di accessorietà, che in concreto ponga in oggettiva necessaria connessione la prima rispetto alla seconda, a cui acceda con la funzione di integrarla, completarla o renderla possibile .
Infine, sebbene non rubricata, resta assorbita la doglianza in calce al ricorso (cfr. p.20) relativa alla rifusione delle spese di lite in forza del criterio della soccombenza, la quale deve essere individuata (così, tra le tante, Cass. Ordinanza del 18/05/2021 n. 13356) avuto riguardo al processo considerato unitariamente ex post all’esito della lite, che sarà riesaminata in sede di rinvio.
In accoglimento del terzo motivo, rigettati i restanti, la sentenza impugnata è perciò cassata nei limiti suddetti e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il terzo motivo del ricorso, rigettatati i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2025
Il Presidente
NOME COGNOME