Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25049 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25049 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30188-2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME COGNOME (pec: EMAILavvmateraEMAILit), elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio legale dell’avv. NOME COGNOME (pec. EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto:
TRIBUTI –
verifica fiscale – accesso domiciliare –
autorizzazione del P.M.
avverso la sentenza n. 156/03/2018 della Commissione tributaria regionale della BASILICATA, depositata in data 15 marzo 2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’11 aprile 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso nei confronti di NOME COGNOME esercente l’attività di ‘altri studi medici’ , con cui l’amministrazione finanziaria , sulla scorta di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. a seguito di accesso domiciliare e verifica dei conti correnti bancari intestati al contribuente, accertava un maggior reddito professionale ai fini IRPEF, IVA ed IRAP con riferimento all’anno d’imposta 2012.
Il contribuente proponeva impugnazione dinanzi alla CTP di Matera che accoglieva il ricorso ed annullava l’atto impositivo per violazione del contraddittorio endoprocedimentale nonché per la rilevata incongruenza dei ricavi accertati con le concrete modalità di svolgimento dell’attività libero professionale.
L ‘appello proposto dall’Agenzia delle entrate veniva parzialmente accolto dalla CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Basilicata con la sentenza in epigrafe indicata.
3.1. Sostenevano i giudici di appello:
-) che, alla stregua di quanto affermato da questa Corte nell’ordinanza n. 15783 del 2017, avevano errato i giudici di primo grado nel ritenere obbligatorio il contraddittorio endoprocedimentale;
-) che era infondata la dedotta violazione dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972 per essere « stata allegata la copia dell’autorizzazione della Procura della Repubblica di Matera con le indicazioni previste e cioè: Comando della G F o ufficio di appartenenza; generalità e/o dati identificativi del contribuente e tipo di intervento e fonti normative che legittimano i poteri. Inoltre dal pvc (fl 3) risulta che il contribuente è
stato edotto dei motivi dell’indagine »;
-) che, pertanto, anche l’ulteriore contestazione di violazione dell’art. 7, L. 212/2000 per mancata allegazione dell’autorizzazione del PM all’accesso domiciliare doveva ritenersi infondata;
-) che infondata era anche la contestata violazione dell’art. 222 c.p.p. alla stregua del principio affermato da Cass. n. 4919/2015;
-) che, alla stregua di Cass. n. 16874/2009 e n. 16579/2013, doveva ritenersi infondata anche la contestata violazione di norme a garanzia della legalità e correttezza dell’azione amministrativa ai fini dell’indagine bancaria , in quanto la mancata esibizione, in sede di contraddittorio o in giudizio dell’autorizzazione a tale tipo di indagine, non inficiava la legittimità dell’avviso di accertamento;
-) che la motivazione della sentenza di primo grado era «inconsistente» là dove aveva dichiarato « l’illegittimità dell’accertamento per incompatibilità dei redditi accertati con il tempo effettivo di svolgimento dell’attività da parte del contribuente, senza considerare che l’accertamento era basato su indagini finanziarie assistite da una presunzione legale relativa prevista dall’art. 32 del d.P.R. n. 633 del 1972 e soprattutto, in presenza di continui versamenti in contanti » effettuati sui conti correnti verificati, in relazione ai quali « la parte si è limitata ad affermazioni semplici e ragionamenti che non hanno trovato alcun riscontro contabile e documentale », ad esclusione di un versamento di 100.000,00 euro effettuato in favore del contribuente dai genitori;
-) che era infondata la richiesta di riconoscimento dei costi presunti in quanto non risultanti da elementi certi e precisi e comunque perché «l ‘accertamento riguarda maggiori ricavi desunti analiticamente dalla mancata giustificazione delle poste desunte dai conti correnti bancari »;
-) che, in applicazione del favor rei di cui al d.lgs. n. 158 del 2015,
le sanzioni andavano applicate nella misura prevista da tale disposizione.
Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui replica l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Il ricorrente con nota del 24/03/2025 ha depositato due sentenze penali, quella di questa Corte n. 30440/2024 e quella della Corte di appello di Salerno n. 1324/24, depositata in data 15.11.2024, divenuta irrevocabile in data 12/12/2024. Successivamente, in data 31/03/2025, ha depositato memoria ex art. 380-bis1 cod. proc. civ. in cui dà atto dell’intervenuto giudicato penale al medesimo favorevole , costituito dalla sentenza penale della Corte di Appello di Salerno sopra indicata, di assoluzione con la formula ‘ perché il fatto non sussiste ‘, dal reato di ‘ dichiarazione infedele’ di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000, relativamente agli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel presente giudizio tributario , chiedendone l’applicazione ai sensi del l’ art. 21-bis del citato decreto legislativo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, per omesso espletamento del contraddittorio nella fase amministrativa.
1.1. Il ricorrente censura la statuizione resa sul punto dai giudici di appello, in quanto in contrasto con i principi giurisprudenziali anche unionali dettati in materia di contraddittorio preventivo.
1.2. Il motivo è infondato anche se per motivi diversi da quelli affermati nella sentenza impugnata, la cui motivazione va pertanto corretta ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., fermo restando il dispositivo che è, invece, corretto in diritto.
1.3. I giudici di appello, richiamato il principio affermato da Cass.
n. 15783/2017, e ritenendo insussistente, « in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale », hanno dapprima affermato che « Il caso di specie, poi, non rientra tra quelli previsti dalla norma italiana » e quindi escluso la sussistenza sub specie dell’obbligo di espletare il contraddittorio endoprocedimentale.
1.4. Omettono, però, i giudici di appello di valutare, non solo che oggetto di ripresa tassazione era anche l’IVA, ovvero un tributo armonizzato in relazione al quale il contraddittorio endoprocedimentale è sempre obbligatorio, alle condizioni indicate da Cass., Sez. U, n. 24823/2015, ovvero che, in mancanza di espletamento, il contribuente abbia assolto all’onere di fornire la cd. prova di resistenza (in termini, da ultimo, Cass., Sez. U, n. 21271/2025), quanto piuttosto che nel caso in esame si verteva in ipotesi di accertamento condotto a seguito di accesso, ispezione e verifica sia nei locali destinati all’esercizio dell’attività professionale (nella specie, studio medico) sia nell’abitazione del contribuente , disciplinato dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, vigente ratione temporis (sull’applicabilità della norma anche in caso di accertamento misto, ossia comunque fondato anche sulla documentazione acquisita in sede di accesso, ispezione o verifica, v., da ultimo, Cass. n. 14997/2025; nel caso in esame, lo stesso contribu ente deduce che «… la G.d.F. non si limitava, successivamente, ad un semplice controllo bancario, ma effettuava una meticolosa verifica generale » presso lo studio e presso l’abitazione: pag. 33 del ricorso).
1.5. La norma in questione prevede che « Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.
L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza ».
1.6. Al riguardo Cass. n. 701/2019 (in termini, tra le più recenti, Cass. n. 13851/2025) ha affermato che, « In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio ».
1.7. Pare opportuno precisare che la disposizione in esame assicura al contribuente una garanzia anticipatoria e generale per ogni tipo di tributo e per ogni forma di accesso, ispezione e verifica, comprensivi, quindi, degli accessi brevi o istantanei, finalizzati all’acquisizione di documenti (Cass. n. 15624/2014; Cass. n. 1007/2017; Cass. n. 30026/2018), sicché, una volta decorso quel termine dalla data di consegna al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni di verifica, non si rende necessar io l’espletamento da parte dell’amministrazione finanziaria di ulteriori diverse forme di contraddittorio.
1.8. Il principio giurisprudenziale sopra enunciato si applica non solo agli accessi, ispezioni e verifiche effettuate presso i locali adibiti all’esercizio dell’attività imprenditoriale e professionale, che, alla
stregua di quanto affermato dalla Corte Europea del Diritti dell’Uomo (CEDU) nella recente sentenza del 6 febbraio 2025, in causa n. 36617/18 più 12, RAGIONE_SOCIALE ed altri -di cui si dirà più diffusamente in prosieguo-, vanno intesi in senso ampio e quindi comprensive anche delle eventuali succursali, ma anche all ‘ ipotesi, pure sussistente nel caso di specie, di accesso presso l’abitazione privata del contribuente (v. Cass. n. 5325/2024) , che già l’ordinamento sottopone a maggior tutela preve dendo, all’art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 (in materia di IVA) e all’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di imposte dirette, che rinvia espressamente al citato art. 52), una specifica autorizzazione del procuratore della Repubblica, ed in relazione alle quali è sempre necessaria la redazione di un processo verbale delle attività espletate, prevista espressamente dal comma 6 del citato art. 52 che impone all’organo accertatore la redazione di detto verbale per «ogni accesso» (in relazione a tale ultimo profilo cfr. Cass. n. 15624/2014; conf., Cass. n. 17818/2022; Cass. n. 12094/2019).
1.9. Osserva, inoltre, il Collegio che questa interpretazione si pone in sintonia con i principi espressi dalla Corte Europea del Diritti dell’Uomo (CEDU) nella sopra citata sentenza, che ha esteso la nozione di locali adibiti ad attività commerciali o professionali dei contribuenti anche ad eventuali sedi secondarie rispetto a quella principale.
1.10. Ciò precisato e tornando alla fattispecie concreta, il motivo in esame va rigettato in quanto risulta ampiamente rispettato il termine dilatorio di cui al comma 7 dell’art. 12 citato. Invero, è pacifico tra le parti che il processo verbale di constatazione, che aveva riguardato sia l’accesso nello studio medico che nell’abitazione privata del contribuente, era stato redatto dalla G.d.F., in esito all’espletamento delle indagini bancarie scaturite dalla verifica, e sottoscritto per ricevuta di consegna in data 7 ottobre 2013 (come si evince dalla copia
del predetto p.v.c. allegato al ricorso) e che l’avviso di accertamento (pure allegato al ricorso) era stato emesso a distanza di oltre due anni, ovvero in data 11 dicembre 2015 (addirittura a pag. 4, p. 4, del ricorso il contribuente sostiene che sarebbe stato ‘emesso’ il 16/12/2015).
Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere i giudici di appello ritenuto legittimo l’avviso di accertamento impugnato nonostante lo stesso abbia tratto origine da un accesso operato dalla G.d.F. di Matera presso i locali adibiti ad uso di abitazione del contribuente, senza che la relativa autorizzazione del Procuratore della Repubblica fosse stata subordinata alla sussistenza ed alla previa prospettazione di gravi indizi di violazione di norme tributarie.
2.1. Occorre premettere che il ricorrente nel motivo in esame riproduce il contenuto dell’autorizzazione di cui all’art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, che pure allega al ricorso (all. n. 12), in cui si legge che « Il Pubblico Ministero – letta la nota in riferimento del Nucleo P.T. della Guardia di Finanza di Matera, con la quale si fa presente che deve essere avviata una verifica fiscale per controllare il regolare assolvimento della normativa vigente in materia di imposte sui redditi, di imposta sul valore aggiunto ed altri tributi nei confronti del professionista , -letto l’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, 633, nella parte in cui stabilisce che per accedere ai locali adibiti ad abitazione privata è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica; autorizza l’accesso presso gli immobili sopra indicati adibiti ad abitazione e relative pertinenze, domicilio dell’attività professionale e ogni altro immobile ritenuto utile ai fini dell’accertamento nei cui confronti deve essere av viata la verifica, al fine di consentire la legittima esecuzione di ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e di ogni altra rilevazione anche se contenuti
su supporti informatici ritenuta utile per l’accertamento delle imposte e per l’eventuale repressione dell’evasione e di possibili altre violazioni ».
2.2. Sostiene, quindi, che i giudici di appello avevano violato la disposizione censurata essendosi limitati ad affermare che la predetta autorizzazione conteneva « le indicazioni previste e cioè: Comando della G F o ufficio di appartenenza; generalità e/o dati identificativi del contribuente, tipo di intervento e fonti normative che legittimano i poteri », ma non avevano verificato se la stessa contenesse la motivazione circa i gravi indizi di violazione di norme tributarie.
2.3. Il motivo è fondato e va accolto.
2.4. L’art. 52, comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, richiamato dall’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, prevede che l’accesso in locali diversi da quelli destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, può essere eseguito « previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni ».
2.4.1. Secondo Cass., Sez. U, n. 3182/2022, « Il sistema prevede diverse ipotesi che, nei primi due commi, riguardano la possibilità stessa dell’ufficio di ‘accedere’ nei locali destinati all’esercizio dell’attività, o dell’abitazione promiscuamente adibita anche a tale attività o presso l’abitazione stessa del contribuente » (par. 5.1.)
« Discipline che, pur offrendo garanzie diverse in relazione alle specifiche ipotesi ivi prese in considerazione, sono accomunate dal richiedere, per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento, un’autorizzazione preventiva dell’Ufficio che ne indica lo scopo per consentire l’accesso, ovvero un provvedimento autorizzatorio del P.M.
(al quale si riconosce pacificamente natura amministrativa- cfr. Cass.n.23824/2017, Cass.n.15230/2001- sindacabile da parte del giudice tributario quanto al suo contenutocfr. Cass. S.U. n.16424/2002, Cass. n. 21974/2009-) nelle ipotesi di compimento di tali attività all’interno di abitazione ad uso promiscuo del contribuente, con l’ulteriore necessaria specificazione, nell’autorizzazione anzidetta, dei gravi indizi di violazione delle norme fiscali per il caso di accesso in locali diversi da quelli indica ti nel c.1 dell’art.52, cit. » (par. 5.2.).
« Il quadro così sommariamente ricordato offre all’interprete le scelte adottate dal legislatore fiscale, volte a contemperare l’esigenza dell’amministrazione fiscale di esercitare proficuamente i poteri ispettivi necessari a garantire la pretesa impositiva con quella del contribuente (e di eventuali terzi occasionalmente coinvolti), di evitare che un potere di indagine incontrollato, immotivato ed eccessivo possa cagionare un pregiudizio alle libertà costituzionali che vengono volta per volta in rilievo. Tale esigenza viene dunque realizzata attraverso un articolato sistema di autorizzazioni » (par. 5.4).
2.5. Pertanto, in ipotesi di accesso domiciliare a fini fiscali, oltre all’effettiva sussistenza del provvedimento, è la sussistenza dei gravi indizi di violazione tributaria ad essere soggetta alla verifica di legittimità formale e sostanziale della pretesa impositiva, che coinvolge la legittimità del procedimento accertativo su cui la stessa si fonda (Cass. n. 26829/2014).
2.6. E questa Corte ha da tempo chiarito non solo i presupposti per la regolarità dell’accesso presso l’abitazione, ma anche il contenuto del provvedimento autorizzatorio ed il tipo di controllo che su di esso deve esercitare il giudice tributario.
2.7. Già con sentenza n. 8062/1990, le Sezioni unite di questa corte hanno affermato che « L’autorizzazione del procuratore della
Repubblica, che l’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 istitutivo dell’IVA (con disposizione corrispondente a quella dell’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 in tema di accertamento delle imposte sui redditi) esige per l’accesso della polizia tributaria in locali adibiti ad uso esclusivamente abitativo, integra un atto amministrativo, non penale, come tale sindacabile nella contesa tributaria che insorga in esito a detto accesso, e postula una valutazione positiva della ricorrenza di gravi indizi di violazioni alla disciplina dell’IVA, sì da giustificare la ricerca in quei locali di libri, registri, documenti ed altre prove delle violazioni stesse. Detta valutazione deve essere motivata, ma il relativo obbligo, anche alla luce di esigenze di segretezza, può essere osservato pure con espressioni sintetiche, o di significato implicito, come nel caso di richiamo della nota con cui la polizia tributaria abbia fatto riferimento a quegli indizi (senza che ciò possa implicare un contrasto con l’art. 14 della Costituzione in tema d’inviolabilità del domicilio )».
2.8. Successivamente, con la sentenza n. 16424/2002 (Rv. 558641 – 01) sempre le Sezioni unite di questa Corte hanno ribadito che « L’autorizzazione del procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prevista, in presenza di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie, dall’art. 52, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di imposta sul valore aggiunto (reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), costituisce un provvedimento amministrativo, il quale si inserisce nella fase preliminare del procedimento di formazione dell’atto impositivo ed ha lo scopo di verificare che gli elementi offerti dall’ufficio tributario (o dalla guardia di finanza nell’espletamento dei suoi compiti di collaborazione con detto ufficio) siano consistenti ed idonei ad integrare gravi indizi. Da tale natura e funzione
dell’autorizzazione discende – anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost. sull’inviolabilità del domicilio -che il giudice tributario, davanti al quale sia in contestazione la pretesa impositiva avanzata sui risultati dell’accesso domiciliare, può essere chiamato a controllare l’esistenza del decreto del pubblico ministero e la presenza in esso degli indispensabili requisiti, tenendo conto, quanto al requisito motivazionale, che l’apprezzamento della gravità degli indizi è esternabile anche in modo sintetico, oppure indiretto, tramite il riferimento ai dati allegati dall’autorità richiedente » (in termini anche Cass. n. 28577/2021, n. 28651/2021, n. 33399/2023 e n. 763/2024).
2.9. Sulla scorta di tale insegnamento nomofilattico è stato affermato che il giudice del merito deve verificare la presenza di una motivazione sulla sussistenza di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, ma anche la correttezza di tale apprezzamento (cfr. Cass. n. 17957/2012). In particolare, Cass. n. 21974/2009 ha precisato che « Il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di imposta sul valore aggiunto -reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 -, ha il potere-dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost.), oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione – sia pure concisa o “per relationem” mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel
senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria » (cfr. Cass. n. 29923/2022, Rv. 666106 – 01), con consequenziale negazione della legittimità dell’autorizzazione emessa, ad esempio, esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime (Cass., Sez. U, n. 16424/2002, cit.).
2.10. Pertanto, in sede di verifica giudiziale della legittimità del provvedimento autorizzatorio di cui trattasi, il potere/dovere del giudice tributario di verificare la sussistenza di gravi indizi del verificarsi di illeciti fiscali e la correttezza in diritto della valutazione compiuta dal pubblico ministero, comporta che, se il provvedimento è stato motivato per relationem , mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente, l’amministrazione finanziaria, che degli effetti di quell’autorizzazione vuole avvalersi, deve produrre in giudizio non solo il provvedimento autorizzatorio adottato dal pubblico ministero ma anche la richiesta in essa richiamata a fini motivazionali.
2.11. Su tale specifico aspetto della vicenda processuale, questa Corte nell’ordinanza n. 27297/2023 (non massimata e citata in memoria dal ricorrente), richiamando la pronuncia delle Sezioni unite n. 16424/2004, sopra citata, che ha precisato che « l’obbligo motivazionale deve ritenersi assolto nel caso in cui risultino indicate la nota e l’autorità richiedente, con la specificazione che il provvedimento trova causa e giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione dev’essere effettuata ex ante con prudente apprezzamento », ha affermato che nel provvedimento autorizzatorio, « oltre al rimando agli estremi della nota, andranno sia pure in modo sintetico indicati, se non nel loro contenuto analitico, quantomeno nella loro essenziale portata suscettibile di innescare l’approfondimento istruttorio richiesto, particolarmente invasivo, proprio quei gravi indizi, quali ad esempio la mancata presentazione della dichiarazione, l’esiguità del reddito
dichiarato rispetto a evidenti e certi indici di maggiore capacità contributiva, o ancora le relazioni significative con soggetti sottoposti a positiva attività di accertamento » e che « solo l’indicazione di tali elementi, infatti, consente la valutazione della sussistenza dei gravi indizi richiesti dalla norma surrichiamata, gravi indizi che il PM prima e il giudice tributario poi debbono, prima di valutare, quantomeno percepire nella loro consistenza di massima, risultando quindi onere dell’Amministrazione (peraltro in una fase nella quale non vi è pregiudizio dell”effetto sorpresa’ nei confronti del verificato, che potrebbe pregiudicare il risultato istruttorio, dal momento che non è consentita al contribuente la partecipazione a questa fase del procedimento di controllo) quantomeno indicare i fatti essenziali, nei termini e con le esemplificazioni sopra proposte, che rendono necessario l’accesso domiciliare per il prosieguo della verifica ».
2.12. Gli effetti dell’eventuale illegittimità del provvedimento autorizzatorio di cui trattasi, refluiscono sulla documentazione acquisita in sede di effettuazione dell’accesso domiciliare, che è inutilizzabile, e conseguentemente refluiscono sulla legittimità dell’atto impositivo che sia fondato su quella documentazione, « non rilevando che tale sanzione non sia prevista espressamente, in quanto essa deriva dalla regola generale secondo cui l’assenza di un presupposto di un procedimento amministrativo inficia tutti gli atti nei quali esso si articola » (Cass. n. 32101 del 12/12/2018, Rv. 651906 -01; in termini già Cass. n. 19689 del 01/10/2004, Rv. 577482 -01, secondo cui « In tema di imposte dirette (come di IVA) ed in ipotesi di accesso domiciliare, la illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi degli artt. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 importa la “inutilizzabilità”, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale
atteso che: a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola; b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione; c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile. Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 del vigente cod. proc. pen., l’inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 della costituzione »).
2.13. Con riferimento alla questione posta nel motivo in esame la controricorrente ha replicato che nella specie la verifica avrebbe riguardato locali adibiti ad uso promiscuo (abitazione e studio professionale) e, richiamando una pronuncia di questa Corte (« l’ordinanza 28068 del 16 dicembre 2014 »), invero inesistente, ha sostenuto che in tal caso l’accesso è subordinata alla semplice autorizzazione del procuratore della Repubblica, senza l’indicazione di specifici presupposti, ovvero alla presenza dei gravi indizi di violazioni di norme tributarie.
2.13.1. Al riguardo il Collegio, pur nella consapevolezza del l’ attuale orientamento giurisprudenziale in materia di accesso presso locali promiscuamente adibiti ad uso di abitazione e di attività d’impresa o professionale che, pur prevedendo la necessità dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica , esclude che la stessa sia subordinata alla sussistenza di gravi indizi di violazioni
finanziarie (cfr., ex multis , Cass. n. 7723/2018; Cass. n. 21411/2020), osserva che la questione, diversamente da quanto dedotto dalla controricorrente, non può porsi nel caso di specie, perché l’eccezione non si confronta con la statuizione impugnata, che, esaminando (a pag. 2) il motivo di appello proposto dal contribuente con riferimento alla « Violazione art. 52, Dpr 633/1972 verifica operata nei locali adibiti ad abitazione -assenza dell’autorizzazione del P.M. e dei gravi indizi di violazione di norme tributarie » e alla « ulteriore contestazione di violazione dell’art. 7, L. 212/2000 », ha fatto espresso riferimento all’accesso domiciliare effettuato dalla G.d.F. Pertanto, diversamente da quanto si sostiene nel controricorso, la questione devoluta a questa Corte attiene al solo accesso domiciliare.
2.13.2. In oltre, l’eccezione si pone in insanabile contrasto con quanto affermato dalla stessa controricorrente a pag. 2 del controricorso, ove si legge che, « come emerge dalla semplice lettura del predetto pvc (Allegato n. 4), i militari della G.d.F. avviavano in data 11/04/2013 una verifica fiscale nei confronti del Sig. NOME COGNOME ed effettuavano un accesso presso l’abitazione dello stesso sita in Matera –INDIRIZZO previa autorizzazione n. 73/13 rilasciata in data 09/04/2013 dal Sost. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Matera, dott.ssa NOME COGNOME ai sensi degli artt. 52, 63 e 75 del D.P.R. 633/72 e 33 e 70 del D.P.R. 600/73. Nella stessa giornata i militi verbalizzanti accedevano presso i locali adibiti dal contribuente a studio medico, in INDIRIZZO e presso lo studio del depositario delle scritture contabili ‘RAGIONE_SOCIALE con sede in Pisticci in INDIRIZZO. È, quindi, la stessa controricorrente a dare atto di ben tre diversi accessi effettuati dai verificatori presso locali tra loro separati e distinti (anche con diverso numero civico); uno presso l’abitazione del contribuente, l’altro presso lo studio professionale e l’altro ancora presso il depositario del le
scritture contabili.
2.14. Ciò precisato, il Collegio ritiene necessario svolgere alcune considerazioni in esito alla sentenza della Corte Europea del Diritti dell’Uomo (CEDU) del 6 febbraio 2025, in causa n. 36617/18 più 12, RAGIONE_SOCIALE ed altri, che si è pronunciata sulla questione delle garanzie spettanti ai contribuenti in sede di verifiche fiscali.
2.15. Con tale sentenza la CEDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sul presupposto che l’ordinamento interno non fornisce garanzie adeguate in relazione agli accessi e alle ispezioni e alle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate presso i locali adibiti ad attività commerciali o professionali dei contribuenti, intesi in senso ampio e quindi comprensive sia delle sedi legali che di eventuali succursali.
2.16. Tale pronuncia non si riferisce, pertanto, alle verifiche fiscali presso i luoghi di privata dimora (residenze e domicili), disciplinate dall’art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, tant’è che la Corte EDU ha sul punto espressamente affermato che la citata disposizione « impone requisiti più rigorosi quando tali misure sono autorizzate con riferimento alle “abitazioni” in senso stretto, vale a dire alle residenze private dei privati. In casi analoghi, l’autorizzazione può essere rilasciata solo in caso di “gravi indizi di violazione” delle disposizioni fiscali, che devono essere indicate nell’autorizzazione, e devono essere emesse da un pubblico ministero, un magistrato in Italia » (par. 108).
2.17. Può quindi affermarsi che, in materia di accesso domiciliare al fine di effettuare verifiche fiscali, il quadro normativo nazionale e la giurisprudenza di questa Corte, di cui sopra si è data ampia illustrazione, soddisfano « i requisiti di qualità imposti dalla
Convenzione » (sentenza RAGIONE_SOCIALE, par. 139) in quanto sostanzialmente allineate alle indicazioni della Corte EDU (par. 148 e 149 della sentenza citata), essendo rispettato l’obbligo per il contribuente di essere immediatamente informato dei motivi che giustificano l’accesso domiciliare ed essendo previsto « un controllo giurisdizionale effettivo misura contestata », ovvero il « controllo del rispetto, da parte delle autorità nazionali, dei criteri e delle restrizioni riguardanti le condizioni che giustificano » l’accesso domiciliare, precisandosi, quanto alla necessità di assicurare al contribuente un tempestivo controllo giurisdizionale, che nella specie il contribuente non ha attivato un’iniziativa giudiziale diversa da quella oggetto del presente giudizio.
2.18. Alla stregua delle complessive considerazioni svolte deve affermarsi il seguente principio: in tema di verifiche fiscali con accesso domiciliare ex art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di imposta sul valore aggiunto, applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi in forza del richiamo operato dall’art. 33 del d.P.R. n. 600 del 1973, in caso di contestazione giudiziale da parte del contribuente, il giudice tributario, anche in forza di quanto osservato dalla Corte EDU nella sentenza del 6 febbraio 2025, in causa n. 36617/18 più 12, RAGIONE_SOCIALE ed altri, è tenuto a verificare l’idoneità degli elementi offerti dall’ufficio tributario o dalla guardia di finanza, ad integrare i gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale e la correttezza dell’apprezzamento di quegli elementi da parte del procuratore de lla Repubblica in sede di rilascio dell’autorizzazione, tenendo conto, quanto al requisito motivazionale, che se il provvedimento è motivato per relationem , mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente, l’amministrazione finanziaria, che degli effetti dell’autorizzazione vuole avvalersi, deve produrre in giudizio
non solo tale provvedimento ma anche la richiesta in essa richiamata a fini motivazionali, a pena di nullità del provvedimento autorizzatorio e, conseguenzialmente, dell’atto impositivo emesso sulla base della documentazione acquisita in esecuzione di quel provvedimento.
2.19. Orbene, nel caso in esame i giudici di appello non si sono attenuti ai sopra citati principi in quanto, senza neppure specificare l’effettiva destinazione degli immobili oggetto dell’autorizzazione in esame, si sono limitati a dare atto della sussistenza dei requisiti soltanto formali di detto atto autorizzatorio, senza alcun accertamento in ordine al contenuto motivazionale dello stesso ed in particolare, con riguardo all’immobile adibito esclusivamente ad uso abitativo, senza alcun accertamento in ordine alla sussistenza in detto atto o nella nota in esso richiamata (n. 26276/13 del 09/04/2013 del Nucleo di polizia giudiziaria della G.d.F. di Matera, ove prodotta in giudizio), dei gravi indizi di violazioni di norme tributarie e di correttezza in diritto della valutazione compiuta dal pubblico ministero. Accertamenti che i giudici di appello dovranno compiere nel giudizio di rinvio.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza d’appello per difetto di motivazione, sub spec ie di motivazione apparente, in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR espresso le ragioni per le quali aveva ritenuto esistente l’autorizzazione alle indagini bancarie (ancorché non esib ita) e conseguentemente legittimo l’atto impositivo.
Il motivo va esaminato unitamente al quinto e al sesto, nei quali viene pure dedotto il vizio di motivazione apparente della sentenza impugnata, ancorché con riferimento a questioni e conseguenti statuizioni d’appello diverse .
In particolare, con il quinto motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della
sentenza d’appello per difetto di motivazione, sub spec ie di motivazione apparente, in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR espresso le ragioni per le quali aveva ritenuto che « la parte si limitata ad affermazioni semplici e ragionamenti che non trovato alcun riscontro contabile e documentale », nonostante « i plurimi elementi fattuali e documentali » offerti dal contribuente per contrastare le risultanze delle indagini bancarie.
Con il sesto motivo deduce la nullità della sentenza d’appello per difetto di motivazione, sub spec ie di motivazione apparente, in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR espresso le ragioni per le quali aveva disconosciuto l’incidenza percentuale, sui ricavi accertati, di analitici e specifici costi di produzione, di cui aveva dimostrato la specifica inerenza e deducibilità.
I motivi sono tutti infondati e vanno rigettati in quanto la sentenza impugnata contiene una motivazione (condivisibile o meno, ma comunque) effettiva, sia dal punto di vista grafico che giuridico (Cass., Sez. U, n. 8053/2014), con riferimento a ciascuna delle questioni dedotte nei singoli motivi oggetto di esame.
7.1. Invero, con riferimento alla questione della mancanza di motivazione sulla contestata esistenza dell’autorizzazione alle indagini bancarie (terzo motivo di ricorso), i giudici di appello hanno richiamato il principio affermato da Cass. n. 16579/2013, secondo cui l’avviso di accertamento emesso sulla base di indagini bancarie effettuate in mancanza di autorizzazione ne determina l’illegittimità « sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente », con ciò fornendo adeguata risposta al motivo di impugnazione proposto dal contribuente che, come anche per gli altri motivi esaminati, non ha proposto in questo giudizio censure di
violazione di legge come avrebbe dovuto fare per contestare la statuizione adottata dai giudici di appello.
7.2. Con riferimento alla questione delle prove fornite a giustificazione delle movimentazioni bancarie (quinto motivo) la sentenza impugnata, dopo aver correttamente premesso, richiamando Cass. n. 4153/2016, che « il giudice di merito, laddove ritenga assolto dal contribuente l’onere probatorio a suo carico, ha l’obbligo di fornire una motivazione adeguata e non generica del proprio convincimento », ha escluso che il contribuente avesse a ciò adempiuto affermando che « la parte si è limitata ad affermazioni semplici e ragionamenti che non hanno trovato alcun riscontro contabile e documentale ». Anche in questo caso, dunque, la CTR ha fornito adeguata risposta al motivo di impugnazione proposto dal contribuente che sulla questione non ha proposto censure di violazione di legge.
7.3. Con riferimento, invece, alla questione del riconoscimento della deducibilità dei costi, la sentenza impugnata, ne ha escluso il riconoscimento sia richiamando il disposto di cui all’art. 109, comma 4, TUIR, secondo cui « sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi », sia perché « l’accertamento riguarda maggiori ricavi desunti analiticamente dalla mancata giustificazione delle poste desunte dai conti correnti bancari ». Orbene, ribadendo quanto detto in relazione agli altri due motivi sopra esaminati, anche con riferimento alla questione in esame la CTR ha fornito adeguata risposta al motivo di impugnazione proposto dal contribuente che al riguardo non ha proposto censure di violazione di legge.
Resta da esaminare il quarto motivo di ricorso con cui si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 2697 cod. civ., in quanto la CTR aveva erroneamente
ritenuto che l’avviso di accertamento fosse basato sulle risultanze delle indagini bancarie di cui al citato art. 32, come tale assistito da presunzione legale relativa e conseguentemente, invertendo erroneamente l’onere probatorio, aveva altrettanto erroneamente posto a carico del contribuente l’onere di provare la natura non reddituale dei versamenti contestati.
8.1. Nella memoria, con riferimento al motivo in esame, il ricorrente ribadisce quanto già affermato in ricorso (pag. 29) richiamando Cass. 12779/2016, ovvero che il giudice di appello « ha violato e/o falsamente applicato gli articoli in epigrafe in quanto, del tutto erroneamente, ha confermato l’accertamento fondato sulle indagini bancarie, senza che l’Ufficio avesse avallato le risultanze derivanti da tali indagini con ulteriori elementi di fatto e probatori ».
8.2. Il motivo è infondato e va rigettato.
8.3. Premesso preliminarmente che nel caso di specie è pacifico (si veda, ad esempio, pag. 4, p. 3 e pag. 26 del ricorso), che l’accertamento ha riguardato soltanto i versamenti bancari effettuati dal contribuente, libero professionista, in ossequio alla nota pronuncia della Corte costituzionale n. 228/2014, osserva il Collegio che in tema di accertamenti bancari è consolidato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, confortato anche dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 10 del 2023, secondo cui l’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, dettato in materia di imposte sui redditi, al pari dell’art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 dettato in materia di IVA, pone a favore dell’amministrazione finanziaria una presunzione legale relativa – che, avendo fonte legale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici – in base alla quale i movimenti bancari rilevati dal conto vanno riferiti a redditi imponibili conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, qualificando gli “accrediti” come
ricavi, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile. Trattandosi di presunzione legale ” juris tantum “, si determina l’inversione dell’onere della prova, spettando infatti al contribuente offrire la prova liberatoria che dei versamenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che gli accrediti registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (arg. da Cass. 26111/2015, n. 21800/2017, n. 34638/2022, n. 25043/2024).
Va, infine, rilevato che nella memoria il ricorrente deduce la « nullità della sentenza per efficacia di giudicato della sentenza penale relativa ai medesimi fatti oggetto del presente giudizio -ius superveniensapplicabilità dell’art. 21 -bis del d.lgs. n.74/2000 », invocando al riguardo il giudicato formatosi « sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione del presente processo tributario » e costituito dalla sentenza penale della Corte di appello di Salerno, « n. 1324/2024, depositata il 15.11.2024, divenuta irrevocabile il 12.12.2024 (depositata con nota del 24.3.2025, come ALL. n. 2 », «di assoluzione con formula piena, ‘ perché il fatto non sussiste ‘, dal reato ‘ ascrittogli al capo H ‘ per ‘ dichiarazione infed ele’ di cui all’art. 4 D.Lgs.vo 74/2000».
9.1. La questione prospettata segue logicamente quella oggetto del motivo accolto e necessitando di un accertamento in fatto riservato esclusivamente al giudice di merito, andrà da questi esaminato in sede di rinvio.
In estrema sintesi, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri; l a sentenza d’appello va cassata con riferimento al
motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 11 aprile 2025.