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Accertamento valore immobile: la stima dell’Ufficio

Una società di costruzioni ha impugnato un avviso di accertamento basato sulla rideterminazione del valore di vendita di un immobile. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate. La sentenza stabilisce che l’accertamento del valore di un immobile può basarsi su presunzioni gravi, precise e concordanti, come le indagini di mercato, e che spetta al contribuente l’onere di superare tale presunzione, dimostrando la congruità del prezzo dichiarato.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento valore immobile: quando la stima dell’Ufficio è legittima?

L’accertamento del valore di un immobile ai fini fiscali è una questione che spesso genera contenzioso tra contribuenti e Amministrazione Finanziaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sulla legittimità delle rettifiche basate su stime e indagini di mercato, delineando i confini probatori a carico delle parti. Il caso analizzato riguarda un avviso di accertamento notificato a una società di costruzioni, al centro del quale vi era la rideterminazione del valore di cessione di un bene immobile.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore delle costruzioni edili vendeva un immobile per un corrispettivo di 1.024.000 euro. A seguito di un controllo, l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento per il periodo d’imposta 2004, rideterminando il valore di cessione a 1.440.000 euro. Tale rettifica comportava la contestazione di maggiori IRES, IRAP e IVA, con conseguente recupero delle imposte evase.

La società contribuente impugnava l’atto, ottenendo una prima vittoria presso la Commissione Tributaria Provinciale, la quale riteneva insufficiente la determinazione del valore basata sulla sola rendita catastale. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, accogliendo l’appello dell’Ufficio. Secondo i giudici di secondo grado, la valutazione dell’Agenzia non si fondava sul valore catastale, bensì su una stima che teneva conto dell’andamento del mercato e delle specifiche caratteristiche dell’immobile.

L’impugnazione in Cassazione e l’accertamento valore immobile

Contro la sentenza d’appello, la società proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo. Sostanzialmente, la ricorrente lamentava che la rettifica del valore fosse basata su una perizia di stima proveniente dall’Ufficio Tecnico Erariale (U.T.E.), ritenuta inattendibile. A sostegno della propria tesi, la società evidenziava come una propria perizia di parte, fondata su criteri scientifici, fosse più credibile e dovesse prevalere.

La difesa della società si concentrava sull’inidoneità della stima dell’U.T.E. a provare, in sede giudiziale, l’effettivo valore di cessione del bene, contestando la violazione di diverse norme tributarie e processuali.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato, rigettandolo integralmente. In primo luogo, i giudici hanno rilevato un’errata rappresentazione dei fatti da parte della ricorrente. La sentenza di appello, infatti, non aveva fondato la sua decisione su una stima dell’U.T.E., bensì su ‘indagini di territorio e di mercato oggettivi’, tenendo conto delle caratteristiche dell’immobile e del contesto di mercato nel periodo della compravendita.

La Corte ha sottolineato che l’accertamento dell’Ufficio era supportato da presunzioni gravi, precise e concordanti, tra cui anche le dichiarazioni ICI presentate dalla stessa società. Questi elementi, nel loro complesso, costituivano una base probatoria solida per giustificare la rettifica del valore.

La Cassazione ha poi ribadito un principio fondamentale: una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che supportano la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato e il prezzo incassato, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Spetta a quest’ultimo, quindi, dimostrare che il prezzo dichiarato nell’atto di compravendita, sebbene inferiore al valore di mercato, fosse quello effettivamente pattuito e riscosso.

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile la censura relativa alla preferenza accordata dal giudice di merito ai dati dell’Ufficio rispetto alla perizia di parte. Tale scelta rientra nella valutazione discrezionale del materiale probatorio, che non è sindacabile in sede di legittimità.

Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida l’orientamento secondo cui l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente procedere all’accertamento di un maggior valore immobiliare basandosi non solo su stime peritali, ma anche su un insieme di elementi indiziari, quali dati di mercato, analisi territoriali e persino le dichiarazioni fiscali del contribuente. La decisione ribadisce che, di fronte a un quadro presuntivo solido, è il contribuente a dover fornire la prova contraria per superare la presunzione di maggior ricavo. Questa pronuncia rappresenta un importante monito per gli operatori del settore immobiliare sulla necessità di documentare adeguatamente le ragioni di un prezzo di vendita eventualmente inferiore ai valori medi di mercato.

L’Agenzia delle Entrate può accertare un valore di un immobile superiore a quello dichiarato nell’atto di vendita?
Sì, l’Agenzia può rideterminare il valore di cessione di un immobile se dispone di elementi che indicano un corrispettivo superiore a quello dichiarato. La rettifica può basarsi su presunzioni gravi, precise e concordanti.

Quali prove deve fornire l’Agenzia per giustificare un accertamento valore immobile più alto?
L’Agenzia non è obbligata a fornire una prova certa, ma può basarsi su elementi indiziari come ‘indagini di territorio e di mercato oggettivi’, le caratteristiche dell’immobile, l’andamento del mercato immobiliare e anche altre dichiarazioni fiscali del contribuente, come quelle relative all’ICI.

Su chi ricade l’onere di provare che il prezzo di vendita era corretto?
Una volta che l’Ufficio ha stabilito una presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato e il prezzo incassato sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Sarà quest’ultimo a dover dimostrare che il prezzo dichiarato, anche se inferiore al valore di mercato, era quello effettivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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