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Accertamento tributario: la contabilità in nero basta?

Una società immobiliare in fallimento è stata sanzionata per il mancato versamento di ritenute d’acconto su presunti compensi in nero a un professionista. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24977/2024, ha stabilito che un accertamento tributario può legittimamente basarsi su prove presuntive come la contabilità in nero. La Corte ha annullato la decisione di secondo grado che aveva erroneamente svalutato tale prova, sottolineando che spetta al contribuente fornire una prova contraria efficace. È stato chiarito che l’assenza di movimenti bancari non è rilevante in caso di pagamenti in contanti e che la congruità dei compensi dichiarati non esclude l’esistenza di ulteriori pagamenti non dichiarati.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Tributario e Contabilità in Nero: La Cassazione Chiarisce

L’accertamento tributario basato su prove presuntive, come la cosiddetta ‘contabilità in nero’, è un tema ricorrente e di grande importanza pratica. Con la recente ordinanza n. 24977/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla valenza probatoria di elementi extracontabili e sui doveri del giudice di merito nel valutarli. La decisione offre spunti fondamentali su come l’amministrazione finanziaria possa fondare le proprie pretese e su quale sia l’onere della prova a carico del contribuente.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da cinque atti di contestazione emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società immobiliare, successivamente dichiarata fallita. L’amministrazione contestava alla società il mancato versamento delle ritenute d’acconto relative a compensi che si presumeva fossero stati pagati in nero a un architetto per prestazioni professionali svolte tra il 2007 e il 2011.

La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) aveva inizialmente respinto i ricorsi della società. Tuttavia, la Commissione Tributaria di secondo grado (CGT2) aveva ribaltato la decisione, accogliendo l’appello della società. Secondo la CGT2, la contestazione relativa ai pagamenti in nero non trovava riscontri adeguati ed era smentita da altre sentenze intervenute nei confronti del professionista. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione contro questa sentenza.

L’Accertamento Tributario Secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando con rinvio la sentenza della CGT2. I giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il motivo di ricorso relativo alla violazione delle norme sulla prova presuntiva e sulla valutazione delle prove.

Il cuore della decisione si concentra sul modo in cui il giudice di merito ha gestito gli elementi probatori a sua disposizione. La Cassazione ha censurato la CGT2 per aver erroneamente svalutato la forza probatoria della scheda extracontabile (la ‘contabilità in nero’) da cui emergevano i presunti pagamenti non dichiarati.

La Valutazione delle Prove nell’Accertamento Tributario

La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’accertamento tributario può basarsi anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. La ‘contabilità in nero’, rappresentata da appunti e documenti informali dell’imprenditore, costituisce un valido elemento indiziario.

Una volta che l’Amministrazione finanziaria ha fornito tale elemento, l’onere di fornire la prova contraria si sposta sul contribuente. L’affermazione della CGT2, secondo cui la valenza probatoria della scheda contabile era ‘dubbia’, è stata considerata un’errata applicazione di questi principi.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha smontato il ragionamento del giudice di secondo grado, evidenziandone due errori fondamentali. Primo, la CGT2 ha dato peso agli accertamenti bancari, che non avevano mostrato movimenti sospetti. La Cassazione ha sottolineato l’irrilevanza di tale dato: se i pagamenti sono avvenuti ‘in nero’, è logico che siano stati effettuati in contanti e, quindi, non lascino traccia sui conti correnti. Secondo, il giudice d’appello ha valorizzato una perizia che attestava la congruità dei compensi ufficialmente dichiarati dal professionista rispetto alle tariffe e all’attività svolta. Anche questo elemento è stato ritenuto inconferente dalla Cassazione, poiché la congruità del dichiarato non esclude affatto la possibilità che siano stati percepiti ulteriori compensi non dichiarati.

Il principio cardine richiamato è che il giudice deve esaminare tutti i fatti noti e gli elementi indiziari in modo complessivo e non atomistico, valutandoli ‘gli uni per mezzo degli altri’. La CGT2, invece, ha isolato due elementi (accertamenti bancari e perizia sulla congruità) che non erano idonei a smentire la presunzione derivante dalla scheda extracontabile, giungendo a una conclusione errata.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza la legittimità dell’accertamento tributario fondato su prove presuntive come la contabilità informale. Viene chiarito che, di fronte a un elemento indiziario grave come una scheda extracontabile, il contribuente non può limitarsi a fornire prove generiche o non pertinenti. L’assenza di tracce bancarie o la congruità dei compensi dichiarati non costituiscono una prova contraria sufficiente a superare la presunzione di pagamenti in nero. La sentenza impone ai giudici di merito un approccio rigoroso e olistico nella valutazione delle prove, evitando di svalutare elementi indiziari rilevanti sulla base di argomentazioni illogiche o non pertinenti. Il caso è stato quindi rinviato alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame che tenga conto dei principi enunciati.

Una ‘contabilità in nero’ è sufficiente per un accertamento tributario?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la ‘contabilità in nero’ (appunti, schede extracontabili, etc.) rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, su cui l’amministrazione finanziaria può fondare un accertamento. Spetta poi al contribuente l’onere di fornire un’adeguata prova contraria.

L’assenza di movimenti sui conti bancari può smentire un’accusa di pagamenti in nero?
No. La Corte ha chiarito che gli accertamenti sui conti bancari non sono idonei a smentire l’esistenza di pagamenti in nero, poiché questi ultimi avvengono tipicamente in contanti e, per loro natura, non lasciano tracce bancarie. Pertanto, tale circostanza è stata ritenuta inconferente ai fini della prova contraria.

Se i compensi dichiarati da un professionista sono congrui, si possono escludere pagamenti extra in nero?
No. La congruità dei compensi ufficialmente dichiarati, valutata in base alle tariffe professionali e all’attività svolta, non è un elemento sufficiente per escludere che il professionista abbia percepito ulteriori somme non dichiarate. La valutazione del giudice deve considerare tutti gli indizi nel loro complesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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