Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1666 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 1666 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 23/01/2025
Ires, Irap, Iva- Accertamento – Motivazione
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13723/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE società incorporante della RAGIONE_SOCIALE già rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (cancellato dall’albo) , in forza di procura a margine del ricorso, già domiciliata presso l’avv. NOME COGNOME in Roma alla INDIRIZZO legalmente rappresentata dal liquidatore p.t.;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 10038/2014 pubblicata in data 19/11/2014, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica del 13/12/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il PM, in persona del sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avv . NOME COGNOME per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Napoli, notificava alla RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante della società RAGIONE_SOCIALE, un avviso di accertamento con cui recuperava maggiori Ires, Irap e Iva, per l’anno d’imposta 2003, in relazione a fatture per operazioni inesistenti.
Contro tale sentenza proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Napoli (CTP) la RAGIONE_SOCIALE
La CTP rigettava il ricorso.
Contro tale sentenza la società proponeva appello che la Commissione tributaria regionale della Campania (CTR) rigettava; in particolare i giudici del gravame escludevano il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento poiché motivato per relationem e in riferimento ad un PVC della Direzione regionale della Toscana che la società assumeva non esserle stato notificato (evidenziando che nell’avviso erano indicate le ragioni di fatto e di diritto fondanti la pubblica pretesa e, quanto all’omessa notifica del PVC, che lo stesso risultava consegnato il 21/12/2011 all’appellante, come da pagina 31 del PVC); evidenziavano inoltre che la società non aveva provato in alcun modo mediante documentazione i propri assunti nel merito, non risultando provate certezza, determinabilità e inerenza dei costi fatturati; ritenevano infondata la doglianza relativa alla mancata
allegazione della denuncia penale ai fini del raddoppio dei termini di accertamento.
Contro tale decisione propone ricorso la società contribuente sulla base di quattro motivi.
L’ Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per l ‘udienza pubblica del 7 giugno 2024 e poi nuovamente per l’udienza pubblica del 13 dicembre 2024 per la quale il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre premettere che a seguito della cancellazione dell’originario difensore dall’albo degli avvocati, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo con comunicazione effettuata alla parte di persona in persona del liquidatore p.t. (Cass., Sez. U., 14/11/2017, n. 26856 ha infatti statuito che nel procedimento di cassazione è invalida la comunicazione dell’avviso di fissazione di udienza nei confronti del difensore cancellatosi dall’albo in quanto indirizzata ad un soggetto non più abilitato a riceverla perché privo di jus postulandi ).
Con il primo motivo d’impugnazione, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 221 cod. proc. civ., nonché degli artt. 111 e 116, primo comma, cod. proc. civ., e 2504bis cod. civ.; la società lamenta in particolare la contraddittorietà della motivazione della CTR, non comprendendosi se essa abbia ritenuto correttamente notificato alla incorporante RAGIONE_SOCIALE in data 21/12/2011 il PVC richiamato nell’accertamento impugnato oppure se abbia ritenuto che la notifica del medesimo, effettuata il 15/12/2011 alla società incorporata RAGIONE_SOCIALE fosse comunque valida, attesi gli effetti della fusione, anche perché il PVC è un atto pubblico avente fede privilegiata.
Deduce ancora, in riferimento alla prima questione e cioè la avvenuta notifica del PVC alla Superstar, l ‘ erroneità della ritenuta necessità di querela di falso avverso la relata di notifica, in quanto la contestazione della riferibilità di una relata di notifica a un determinato atto, come nel caso di specie, non richiede la formulazione di una querela di falso, atteso che non viene messa in discussione la veridicità dell’attestazione resa dal pubblico ufficiale ma viene contestata la mancata prova della sua attinenza a un determinato atto; quanto alla seconda considerazione, con la quale la CTR aveva evidenziato che la notifica alla RAGIONE_SOCIALE era efficace anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che era subentrata in locum et ius della incorporata, l’affermazione non teneva conto del fatto che il PVC era stato notificato alla RAGIONE_SOCIALE dopo l’avvenuta fusione per incorporazione, data dalla quale l’amministratore della RAGIONE_SOCIALE non aveva più alcun potere di rappresentanza.
2.1. Il motivo si compone di diverse censure.
Esso è complessivamente ammissibile, sotto il profilo dell’eccepita contestuale deduzione di plurimi vizi, di diversa natura, potendosi in realtà isolare le diverse censure di cui si compone.
Infatti, per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione che cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U., 6/05/2015, n. 9100).
Ciò premesso, in riferimento alle singole censure individuabili nel motivo, occorre evidenziare quanto segue.
2.2. La prima doglianza è relativa alla contraddittorietà di due affermazioni contenute nella sentenza, ma tale censura è inammissibile in quanto il vizio di motivazione, evidentemente denunciato, non è deducibile sotto forma di violazione di legge.
Peraltro, le due affermazioni che si assume essere in contraddizione tra loro, in realtà non lo sono, poiché convergono verso il medesimo risultato, cioè l’infondatezza del motivo di appello.
2.3. La seconda censura attiene alla statuizione con cui la CTR ha ritenuto che vi fosse in atti la prova della notifica alla RAGIONE_SOCIALE del PVC presupposto dall’avviso di accertamento, notifica avvenuta in data 21/12/2011. La ricorrente assume di fatto un’errata lettura del dato probatorio, evidenziando che la raccomandata prodotta dall’ufficio non recasse la prova del suo contenuto.
La censura è però inammissibile sotto diversi profili.
In primo luogo, è del tutto omessa ogni indicazione o descrizione compiuta del documento in questione o della sede processuale ove esso sia rinvenibile, e ciò in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ.
In secondo luogo, trattasi con tutta evidenza di vizio non riconducibile ad alcuna delle ipotesi di violazione di legge denunciate (artt. 221, 111 e 116 cod. proc. civ., art. 2504bis cod. proc. civ.); si è infatti in presenza di un’affermazione , resa all’esito di una valutazione in fatto, non suscettibile peraltro di essere neanche riqualificata nei termini dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., in presenza di una cd. doppia conforme (anche la CTP, per come riportato a pagina 7 del ricorso, aveva ritenuto provata la notifica del PVC alla società incorporante).
La parte ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83/2012, conv., con modif., dalla l. n. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11/09/2012, come nel caso di specie), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 06/05/2020, n. 8515), il che non è avvenuto nel caso in esame.
A fronte di tale accertamento in fatto, appare irrilevante la censurata affermazione della necessità di una querela di falso, che in realtà è resa dalla CTR in riferimento alla (diversa) notifica del PVC alla società incorporata, questione irrilevante una volta accertata la notifica del medesimo anche alla incorporante.
3. Con il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la società deduce la violazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 , evidenziando che la mancata allegazione della denuncia aveva impedito la valutazione, ora per allora, della sussistenza dei presupposti della denuncia penale, valutazione richiesta da Corte costituzionale n. 247 del 2011.
3.1. Il motivo è solo in parte fondato.
L’ art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis , prevede che «in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione».
Come più volte chiarito da questa Corte, anche sulla scorta dei principi enunciati da Corte Cost. n. 247 del 2011, il raddoppio opera in presenza di tale presupposto astratto, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denunzia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo (Cass. 28/06/2019, n. 17586; Cass. 13/09/2018, n. 22337; Cass. 30/05/2016, n. 11171), non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario» (Cass. 15/05/2015, n. 9974).
Ciò naturalmente non rende di per sé legittimo qualunque accertamento compiuto dall’Amministrazione finanziaria oltre il termine-base fissato dalla legge, dovendo al contrario essere evitato, come chiarito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 247 del 2011, un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento.
Per verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità», con la precisazione però che «il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato» (p. 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).
Ai fini di tale controllo non occorre quindi l’effettiva presentazione della denuncia, come sostenuto dalla ricorrente.
Su tale assetto nessun effetto spiega la sequenza di modifiche che hanno riguardato la disciplina dei termini prescritti per l’accertamento (legge n. 208 del 2015, art. 1, commi da 130 a 132, nonché d.lgs. n. 128 del 2015, art. 2) in quanto, qualora gli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano stati già notificati – come nel caso in esame, in cui gli atti impositivi risultano notificati nel 2012 – si applica la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015 (che non è stato modificato dalla successiva legge n. 208 del 2015), che fa espressamente salvi gli effetti degli avvisi di accertamento notificati alla data di entrata in vigore del predetto decreto.
Pertanto, con riferimento ad avvisi di accertamento emessi e notificati nell’anno 2012, come nella fattispecie qui vagliata, è del tutto indifferente la data in cui viene effettuata la comunicazione di notizia di reato e persino l’omissione di quella comunicazione, perché quello che invece assume rilevanza ai predetti fini è la circostanza che le violazioni tributarie accertate integrino fatti anche penalmente rilevanti.
Tuttavia, deve rilevarsi che il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP posto che, non essendo questa un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali, è evidente che in relazione alla stessa non operi la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento quale applicabile ratione temporis (Cass. 25/08/2017, n. 20435; Cass. 11/01/2016, n. 4775; Cass. 9/10/2017, n. 23629).
Il motivo, conclusivamente, va accolto limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini IRAP, posto che sia la sentenza che le parti, nei loro atti, la indicano come oggetto di ripresa, unitamente a IRES e IVA.
4. Col terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione al l’art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ. in quanto si evidenzia che non sia stato portato a conoscenza della società il PVC emesso nei confronti di soggetto terzo, la società RAGIONE_SOCIALE, richiamato nell’avviso di accertamento emesso nei propri confronti, e dal quale emergevano indizi di totale inattendibilità della contabilità.
4.1. Si è già ritenuto, in passato che, in tema di accertamento tributario motivato per relationem , nella disciplina anteriore all’art. 7 della l. n. 212 del 2000 la legittimità dell’avviso postula la conoscenza o la conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato, purché il suo contenuto serva ad integrare la motivazione dell’atto impositivo, con esclusione quindi dei casi in cui essa sia già sufficiente e il richiamo ad altri atti abbia pertanto solo valore narrativo o il contenuto di ulteriori atti sia già riportato nell’atto noto. Ai fini dell’annullamento il contribuente deve quindi provare non solo che gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo o quelli cui esso rinvia sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo non la riporta, per cui non è comunque venuto a sua conoscenza (Cass. 10/02/2016, n. 2614),
E, successivamente, anche con riferimento alla disciplina introdotta dal c.d. Statuto del contribuente, ratione temporis applicabile, si è statuito che, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, della l. n. 212 del 2000) va inteso in necessaria correlazione con la finalità «integrativa» delle ragioni che, per l’Amministrazione finanziaria, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, comma 3, legge 7/08/1990, n. 241, nel senso che il contribuente ha
diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e solo perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore «narrativo»), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto; pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. 16/12/2020, n. 28756; Cass. 15/05/2018, n. 11866; v. anche Cass. 05/10/2018, n. 24417).
4.2. Nel caso di specie, a fronte delle lacunose trascrizioni contenute nel motivo, vi è la incensurata affermazione della CTR secondo cui nell’avviso risultano indicate le ragioni di fatto e diritto fondanti la pubblica pretesa , considerazioni che rendono infondata la censura.
Il motivo è quindi da respingere.
Col quarto ed ultimo motivo , proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 4, della l. n. 212 del 2000, 109 t.u.i.r., 39, comma 1, 32 d.P.R. n. 600 del 1973, 56 d.P.R. n. 633 del 1972, 2697 cod. civ.; avendo la società dato prova documentale della consegna della documentazione relativa all’anno 2003 della RAGIONE_SOCIALE all’ufficio erariale di Pietrasanta in data 20/07/2006, la società censura la decisione laddove, ritenendo che non avesse dato prova dei propri assunti, non ha considerato che la documentazione era già in possesso dell’Agenzia delle entrate presso altra sua articolazione
territoriale, il che le impediva di richiederla ulteriormente e di contestare la mancata documentazione dei costi.
5.1. Il motivo, con cui la ricorrente censura la decisione laddove ha ritenuto che l’avvenuto deposito presso l’ufficio di Pietrasanta della documentazione relativa alle operazioni per le quali si era ritenuta la mancanza di prova, non fosse di ostacolo al riparto dell’onere della prova, potendo la società chiederne copia e depositarla in giudizio, è fondato in quanto l’affermazione in diritto della CTR, nella sua assolutezza, è errata.
Il contenuto dell’accertamento è sommariamente descritto nella terza pagina del ricorso e tra le riprese è indicata anche la questione delle operazioni inesistenti, con costi recuperati a tassazione di euro 985.416,00.
Questa Corte ha ritenuto che in tema di contenzioso tributario, l’art. 6, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212, secondo cui non possono essere chiesti al contribuente documenti ed informazioni già in possesso dell’Amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, dovendo tali documenti ed informazioni essere acquisiti ai sensi dell’art. 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990 n. 241, costituisce espressione di un principio generale applicabile anche al processo tributario, e presuppone che la documentazione sia già sicuramente in possesso dell’Amministrazione finanziaria o che, comunque, il contribuente ne dichiari e provi l’avvenuta trasmissione all’amministrazione stessa (Cass. 21/01/2015, n. 958; Cass. 22/06/2018, n. 16548; Cass. 23/03/2007, n. 7138; Cass. 02/03/2004, n. 4239; Cass. 20/06/2000, n. 8340).
La portata del principio è esplicitata da Cass. 20/06/2000, n. 8340, che afferma che, in applicazione del principio di cui all’art. 18, secondo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’amministrazione in casi siffatti dovrà fornire risposte circa il possesso e il contenuto dei
documenti stessi. In caso di rifiuto, o di risposte generiche e/o immotivate la parte privata potrà esperire le forme di tutela opportune per l’acquisizione dei documenti, e il giudice potrà, eventualmente, trarre argomenti di prova dal comportamento processuale dell’Amministrazione.
Concludendo, il ricorso va accolto quanto al secondo motivo, nella parte relativa all’IRAP, e al quarto motivo, con rigetto degli altri.
La sentenza va cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il quarto motivo del ricorso, nei termini indicati in motivazione, rigettati gli altri; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2024.