Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15819 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15819 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25005/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-ricorrente e controricorrente incidentale-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. VENETO n. 650/2016 depositata il 17/05/2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.
Sentiti l’avv. NOME COGNOME su delega dell’avv. NOME COGNOME per la ricorrente principale e l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente incidentale.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Treviso, a seguito di segnalazione inoltrata dalla Direzione provinciale di Padova (DP) che aveva eseguito controlli sulla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME alla quale erano state contestate operazioni in tutto o in parte inesistenti nei confronti di svariati soggetti tra cui la RAGIONE_SOCIALE ha emesso avvisi di accertamento nei confronti di questa ultima società per gli anni 2007, 2008 e 2009 recuperando a tassazione costi insussistenti e IVA indebitamente detratta per operazioni oggettivamente inesistenti.
Disposto annullamento in autotutela dell’avviso relativo al 2009, con emissione di altro avviso integrativo per il 2008, la RAGIONE_SOCIALE ha impugnati gli accertamenti con separati ricorsi che la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) Treviso ha riunito e, con sentenza n. 494/2015, ha accolto parzialmente, riducendo del 50% gli importi indicati negli avvisi di accertamento, al netto degli importi su cui l’Agenzia aveva fatto acquiescenza.
Contro questa pronunzia ha proposto appello la società mentre l’Agenzia delle entrate ha proposto appello incidentale deducendo l’illegittimità della sentenza di primo grado nella parte in cui la pretesa era stata ridotta del 50%.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Veneto con la sentenza in epigrafe ha rigettato l’appello della contribuente.
I Giudici d’appello hanno ritenuto:
tardiva la questione relativa al difetto di sottoscrizione degli avvisi impugnati e comunque errata essendo legittima la delega di firma;
-legittima la produzione in corso di causa dell’avviso di accertamento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE non allegato agli avvisi nei confronti della ricorrente che erano comunque « esaustivi nel contenuto » perché contenevano « la riproduzione di tutti gli elementi esposti nell’avviso » relativo alla Mak;
-sussistenti i presupposti per il cd. ‘raddoppio dei termini’ atteso il « riscontro dei fatti » che rendevano obbligatoria la denuncia penale, la cui produzione atteneva « alla prova della pretesa e non alla motivazione della stessa »;
non dovuta la detrazione IVA in presenza di false fatture, essendosi dimostrato che la Mak non aveva una operatività tale da giustificare le operazioni risultanti dalle fatture;
-fondato il ragionamento presuntivo svolto dall’Agenzia, non essendo possibile che la Mak avesse reso tutte le prestazioni di cui alle fatture presentate, cosicché almeno alcune erano state emesse per operazioni inesistenti, come spiegato dall’Agenzia alle pagg. 20 -27 delle sue controdeduzioni, condivise dal giudice d’appello.
Avverso questa pronunzia ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE che si è affidata a quattordici motivi e ha depositato memoria.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate che ha proposto anche ricorso incidentale su un unico motivo, al quale resiste la contribuente con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disattesa la questione di inammissibilità del ricorso per violazione dei principi di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali, proposta dal Procuratore generale nella sua requisitoria, ove si è evidenziata « l’irragionevole estensione del ricorso » (quattordici motivi, diluiti in n. 114 pagine, a fronte di una pronuncia che ha condensato in un’unica pagina
l’esposizione delle contestazioni appellanti alla decisione di primo grado e in un’altra pagina la decisione sulle stesse).
1.1. Va ribadito l’orientamento espresso più volte da questa Corte, anche a Sezioni Unite con la pronuncia n. 37552 del 2021, secondo cui « Il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. » (Cass., sez. un. n. 37552 del 2021; Cass., n. 21297 del 2016; Cass., n. 8009 del 2019; Cass., n. 4300 del 2023; Cass., n. 7600 del 2023; Cass., n. 32228 del 2024). In questo caso, nonostante la prolissità dell’esposizione e l’utilizzo di interlinea singola che rende faticosissima la lettura del ricorso, non è pregiudicata l’intelligibilità delle questioni.
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., « Nullità ‘integrale’ della sentenza decisivo error in procedendo ed omessa pronuncia o violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato» , in quanto la CTR non ha deciso sulla domanda e eccezione di nullità e/o illegittimità degli atti impugnati, basati sui contenuti della « segnalazione della DP di Padova » e sugli « esiti dell’attività d’indagine e valutativa compiuta da tale diverso e incompetente
ufficio dell’Agenzia delle entrate » nei confronti del soggetto terzo RAGIONE_SOCIALE acriticamente recepiti dal diverso Ufficio di Treviso, cosicché era mancata una autonoma attività investigativa, valutativa e accertativa nei confronti della contribuente società RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., « nullità della sentenza perché comunque ‘priva di qualunque motivazione’ in ordine alla implicita ‘pronuncia di rigetto della specifica domanda di declaratoria di nullità e/o integrale annullamento degli avvisi di accertamento impugnati perché tutti decisivamente ed esclusivamente basati sui contenuti della ‘segnalazione della DP di Padova’ e soltanto sugli esiti dell’attività di indagine valutativa compiuta da tale diverso incompetente Ufficio dell’Agenzia delle entrate’ nei confronti prima di tutto ed essenzialmente del soggetto terzo RAGIONE_SOCIALE e quindi anche della contribuente RAGIONE_SOCIALE».
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto vertono sulla medesima questione considerata sotto due diversi profili: la CTR, secondo la ricorrente, aveva omesso di decidere sulla eccezione dell’acritico recepimento negli avvisi impugnati degli accertamenti svolti da un differente Ufficio, la Direzione provinciale di Padova, ovvero aveva implicitamente rigettato la questione senza alcuna motivazione.
4.1. I due motivi sono infondati. Non ricorre omessa pronuncia, risultando evidente che la CTR, che è entrata nel merito degli accertamenti, ritenuti fondati, ha implicitamente rigettato la questione, il cui accoglimento sarebbe incompatibile con la decisione assunta dal giudicante (Cass., n. 25710 del 2024); vale il principio consolidato secondo cui « Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa
indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia » (Cass., n. 24155 del 2017; Cass., n. 29191 del 2017; Cass., n. 2151 del 2021). Inoltre, l’assenza di una specifica motivazione sul punto non impedisce alla sentenza, come si desume anche dalla superiore espositiva, di attingere il cd. ‘minimo costituzionale’ che può configurarsi, tra l’altro, ove «.. sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione » (Cass., n. 29721 del 2019), ciò ricorre in questo caso, in cui la decisione reiettiva è riconducibile alla consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di accertamento parziale dell’IVA e delle imposte dirette che «è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza a qualsiasi titolo di attendibili posizioni debitorie e non richiedano, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di valutazioni ulteriori rispetto al mero recepimento del contenuto della segnalazione della Guardia di finanza, che fornisca elementi idonei a far ritenere la sussistenza di introiti non dichiarati, sicché, nel confronto con gli altri strumenti accertativi, risulta qualitativamente diverso poiché si vale di una sorta di “automatismo argomentativo”, per modo che il confezionamento dell’atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione, senza necessità ulteriore approfondimento» (Cass., n. 2633 del 2016). Più in generale, mette conto segnalare anche il principio secondo cui il recepimento nell’avviso di atti di terzi non è illegittimo per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli
elementi da quelli acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura (Cass., n. 10205 del 2003; Cass., n. 32957 dl 2018).
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., « nullità della sentenza error in procedendo omessa pronuncia violazione dell’articolo 112 cpc e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato » nella parte in cui la CTR ha dato atto, in punto di fatto, soltanto della domanda sull’illegittimità della sentenza per la produzione in corso di causa dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE limitandosi a statuire solo su questo aspetto, omettendo così di pronunciare sulla più complessa domanda di declaratoria di nullità e/o illegittimità e di annullamento degli avvisi di accertamento per violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, proposta dalla contribuente appellante in ragione della mancata allegazione e/o riproduzione essenziale di tutti gli atti allegati alla segnalazione della DP di Padova – e non soltanto l’avviso di accertamento emesso nei confronti del soggetto terzo -, anche considerato che si trattava di atti specificamente richiamati in tale segnalazione, « allegata agli avvisi di accertamento impugnati », essenziali per avere contezza delle ragioni in fatto e in diritto delle contestazioni e delle pretese tanto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE quanto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza perché « priva di qualunque motivazione in ordine alla pronuncia di rigetto delle specifiche domande di declaratoria di nullità e/o integrale annullamento degli avvisi di accertamento impugnati per mancata allegazione e/o riproduzione del contenuto essenziale degli allegati alla segnalazione della DP di Padova ulteriori rispetto all’accertamento Mak».
Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. 600/1973, 7 l. n. 212/2000, nella parte in cui la CTR ha rigettato la domanda di declaratoria di nullità e/o annullamento degli avvisi di accertamento impugnati proposta in ragione della mancata allegazione ad essi e/o della mancata riproduzione del contenuto essenziale degli atti allegati alla segnalazione della DP di Padova e comunque di tutti i verbali, atti o documenti contenenti le ragioni in fatto delle contestazioni al terzo RAGIONE_SOCIALE come alla contribuente società RAGIONE_SOCIALE
Il terzo, quarto e quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto afferenti al medesimo tema attinente alla motivazione degli atti impugnati; secondo la ricorrente, la CTR avrebbe omesso di pronunciarsi ovvero la decisione di rigetto implicito sarebbe viziata per assenza di motivazione e, comunque, incorrerebbe in violazione di legge.
8.1. Anche questi motivi sono infondati.
8.2. Sebbene la questione della mancata allegazione degli atti citati dalla segnalazione della DP di Padova non sia stata esaminata in termini espliciti, non ricorre omessa pronuncia perché la CTR ha accertato implicitamente che l’allegazione di quegli atti non era richiesta ai fini del perfezionamento della motivazione. Secondo i giudici d’appello, infatti, « gli avvisi di accertamento notificati alla Società erano esaustivi nel contenuto: contenevano infatti la riproduzione di tutti gli elementi esposti nell’avviso alla Mak e giustificavano così l’uso degli elementi acquisiti presso altri soggetti (Cass., n. 3258/12 e n. 9001/01) ». Tale giudizio sulla sufficienza della motivazione implica che non era necessaria a fini motivazionali l’allegazione di atti ulteriori, neppure di quelli indicati nella segnalazione.
8.3. Tale accertamento è in linea con la giurisprudenza di questa Corte in materia. Va tenuta presente la differenza tra il
piano della motivazione, quale requisito formale di validità dell’atto impositivo, e quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa (Cass., n. 4639 del 2020). Poiché la motivazione dell’atto assolve soltanto alla funzione di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e, al contempo, di consentire l’esercizio del diritto di difesa del contribuente, l’obbligo in questione deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione degli elementi essenziali della pretesa, laddove (solo) nella eventuale fase contenziosa viene in considerazione l’onere dell’Amministrazione di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione del criterio prescelto, fase, questa, nella quale il contribuente ha la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Cass., n. 14700 del 2001; Cass., n. 23615 del 2011; Cass., n. 28061 del 2017, in motivazione; Cass., n. 5645 del 2020; Cass., n. 6063 del 2020 in motivazione).
8.3.1. Tanto chiarito, va rammentato che secondo l’art. 7, comma 1, legge n. 212 del 2000, nella versione applicabile ratione temporis , « Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama ». Dispone a sua volta l’art. 42, comma 2, ultimo periodo, d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, nella versione vigente ratione temporis , che « Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né
ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale ».
8.3.2. Secondo consolidato orientamento di questa Corte, le norme sopra citate consentono di adempiere l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari per relationem , tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato (Cass., n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass., n. 4176 del 2019, n. 4176; Cass., n. 29968 del 2019).
8.3.3. Ne consegue che l’obbligo di allegazione riguarda i soli atti che non siano stati riprodotti nella loro parte essenziale nell’avviso di accertamento, con esclusione, altresì: a) di quelli cui l’Ufficio abbia fatto comunque riferimento, i quali, pur essendo considerati irrilevanti ai fini della motivazione, sono comunque utilizzabili per la prova della pretesa impositiva (Cass., n. 24417 del 2018); b) di quelli di cui il contribuente abbia già integrale o legale conoscenza (Cass., n. 407 del 2015; Cass., n. 18073 del 2008), tra i quali rientrano certamente anche quelli comunicati al contribuente poi fallito, dovendosi presumere la conoscenza degli stessi da parte del curatore (Cass., n. 24254 del 2015; Cass., n. 20166 del 2016; Cass., n. 27628 del 2018). In ultimo, va ribadito che, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso ai sensi dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, va inteso in necessaria correlazione con la finalità «integrativa» delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, della legge 7 agosto
1990, n. 241; il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore «narrativo»), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass., n. 24417 del 2018; Cass., n. 2614 del 2016; Cass., n. 7654 del 2012); conseguentemente, in difetto della prova che il contenuto della nota richiamata dall’avviso di accertamento fosse necessario ad integrare la motivazione dell’atto impositivo emesso a suo carico, deve ritenersi che ogni ulteriore allegazione avrebbe potuto essere utilizzata dall’Ufficio eventualmente ai fini probatori, ma non ai fini motivazionali (Cass., n. 6524 del 2020).
Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., « decisivo error in procedendo ed omessa pronuncia o violazione dell’art. 112 cpc e del principio di corrispondenza tra richiesta e il pronunciato», in quanto la CTR ha omesso di pronunciarsi sulla specifica domanda di declaratoria di nullità e/o di integrale annullamento dell’avviso di accertamento integrativo emesso per l’anno d’imposta 2008, impugnato per difetto dei suoi presupposti essenziali e in particolare per la mancanza della cd. « sopravvenuta conoscenza degli elementi nuovi ».
Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza perché «’priva di qualunque motivazione’ e/o munita soltanto di motivazione irriducibilmente ‘illogica’ in ordine all’implicita pronuncia di rigetto della specifica domanda di declaratoria di nullità e/o integrale annullamento dell’avviso di accertamento ‘integrativo’ per il 2008 per mancanza del ‘presupposto essenziale’ della ‘sopravvenuta conoscenza degli elementi nuovi’ di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973» .
Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, « anche considerato quanto previsto dal precedente art. 41 bis – come dalla corrispondente disciplina procedimentale IVA ed IRAP» nella parte in cui la CTR ha confermato l’avviso di accertamento ‘integrativo’ dell’originario avviso di accertamento 2008 osservando che « nel merito del raddoppio dei termini (al tempo dei fatti oggetto del presente contenzioso) si indica che tale azione consegue al riscontro dei fatti che obbligano l’Amministrazione alla denuncia penale e che la produzione del documento era una questione che atteneva alla prova della pretesa e non alla motivazione della stessa ». Secondo la ricorrente, tale motivazione è « del tutto inconferente e comunque insufficiente ad escludere la violazione della disciplina sopra specificata, come ad integrare il comunque indispensabile ed essenziale presupposto di legittimità per l’emissione di ogni accertamento cd. integrativo (‘sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi’)».
Anche questi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, riguardando il medesimo tema dei presupposti dell’accertamento integrativo per il 2008 . Il sesto è infondato perché, attesa la decisione assunta, si deve ritenere il rigetto implicito della questione ; l’ottavo è inammissibile perché il passo
censurato della sentenza afferisce alla questione del cd. ‘raddoppio dei termini’ per l’esercizio del potere accertativo non ai presupposti dell’accertamento.
12.1. Il settimo motivo, poi, è superato dal rilievo della infondatezza della questione sostanziale, circa l’assenza del presupposto della sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi, atteso che a pag. 10 del ricorso (punto 2.3.2.2.) si riporta il contenuto dell’avviso integrativo, dal quale emerge il presupposto della ‘novità’, consistente nella produzione di documentazione da parte della società in sede di accertamento per adesione: « Tenuto conto che la società, a seguito di procedimento di adesione, ha chiesto la corretta imputazione temporale dei costi inesistenti….producendo documentazione da cui si evince che i COSTI di CUI ALLE FATTURE emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE NOME per euro 495.805,93, REGISTRATE NELL’ANNO 2009, SONO DI COMPETENZA DELL’ANNO d’imposta 2008 … »; da ciò l’annullamento in autotutela dell’avviso relativo al 2009 ed emissione di avviso integrativo per il 2008.
13. Con il nono motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nullità della sentenza d’appello, « nella parte in cui rigetta la domanda di nullità dell’avviso di accertamento ‘integrativo’ per il 2008 in quanto sottoscritto dal soggetto privo della qualità funzionale necessaria (cd. falsi dirigenti, nominati senza concorso) e/o da soggetto non delegato con apposita preventiva motivata ed espressa delega con conseguente violazione dell’art. 42 comma 1, del D.P.R. n.600/1973», con motivazione « illogica irriducibilmente e tutt’al più soltanto ‘apparente’ » in quanto la CTR si è limitata ad affermare che la doglianza era tardiva ovvero erronea perché la delega di firma era legittima alla luce dell’organizzazione interna.
13.1. Il motivo è infondato.
13.2. Va considerato che, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass., n. 23940 del 2018; Cass., sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. Cass., n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass., n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
13.3. In questo caso la motivazione esiste e pur nella sua sinteticità attinge il cd. ‘minimo costituzionale’, tenuto presente, da un lato, che l’Ufficio aveva prodotto in causa le deleghe di firma
conferite ai sottoscrittori degli atti impugnati (v. elencazione in controricorso, pag. 20) e, dall’altra, che con lo specifico motivo d’appello, secondo quanto riportato per autosufficienza in ricorso, la ricorrente aveva lamentato « la mancata allegazione della delega» al dott. NOME COGNOME ‘Capo Area Imprese di Medie Dimensioni’, che aveva sottoscritto l’avviso integrativo relativo al 2008, nonché l’assenza di motivazione da parte del giudice di prime cure « in relazione alla corretta assunzione della qualifica dirigenziale in capo ai soggetti che hanno sottoscritto gli avvisi » (v. par. 6.3.1. del ricorso pag. 26).
13.4. La ricorrente argomenta la dedotta carenza motivazionale della sentenza impugnata osservando che l’atto può essere sottoscritto da un soggetto diverso dal direttore solo in presenza di delega espressa, motivata in relazione alle ragioni che l’hanno giustificata, da allegare all’atto che viene sottoscritto a pena di nullità, che non può essere sanata dalla sua produzione in corso di causa, evidenziando altresì la necessità della verifica della ‘qualifica dirigenziale’ in capo al sottoscrittore alla luce della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale.
13.4.1. Si tratta di deduzioni che contrastano con la giurisprudenza di questa Corte in materia, essendo consolidato il principio secondo cui « in caso di contestazione specifica da parte del contribuente in ordine ai requisiti di legittimazione del sottoscrittore dell’avviso di accertamento, l’Amministrazione finanziaria è tenuta, anche per il principio di vicinanza alla prova, a dimostrare la sussistenza della delega, potendo produrla anche nel secondo grado di giudizio, in quanto la presenza o meno della sottoscrizione dell’avviso di accertamento non attiene alla legittimazione processuale » (Cass., n. 8505 del 2025; v. anche Cass., n. 32657 del 2024; Cass., n. 20194 del 2020). Inoltre, è ormai pacifico (cfr. la fondamentale Cass., n. 8814 del 2019) che l’atto abbia natura di delega di firma e non di funzioni, ragion per
cui ad integrarla è sufficiente un ordine di servizio, fermo tuttavia che deve essere comunque consentito il controllo ‘a posteriori’ della sussistenza del potere in capo al sottoscrittore: invero, « la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita, ai sensi dell’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, dal dirigente a un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente, avendo natura di delega di firma e non di funzioni, non richiede, per la sua validità, l’indicazione del nominativo del soggetto delegato, né del termine di validità, poiché tali elementi possono essere individuati anche mediante ordini di servizio, idonei a consentire ex post la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto » (Cass., n. 21972 del 2024).
13.4.2. Va altresì considerato che in tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012 pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 37/2015 (Cass., n. 22810 del 2015; Cass. n. 5177 del 2020).
14. Con il decimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 e degli artt. 276 e segg. c.p.c., perché la sentenza d’appello « difetta radicalmente di motivazione » ovvero presenta motivazione « illogica e contraddittoria » laddove osserva, con riferimento alle fatture contestate dall’Ufficio, che « almeno alcune sono state emesse per operazioni inesistenti ». Il motivo è infondato. Anche in questo caso
la motivazione è sintetica ma non incomprensibile, riferendosi evidentemente ai dati contenuti negli accertamenti, di cui vi è traccia nello stesso ricorso ove si riportano stralci degli avvisi che indicavano le fatture contestate e gli importi « da attribuirsi a prestazioni inesistenti ».
15. Con l’undicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 e degli artt. 276 e segg. c.p.c., perché la sentenza d’appello conferma l’indetraibilità dell’IVA sulle fatture relative ad operazioni inesistenti nonostante si trattasse di operazioni soggette al cosiddetto reverse charge e come tali documentate senza esposizione di IVA dovuta con conseguenti iscrizioni neutrali, con motivazione « soltanto apparente e/o irriducibilmente illogica», anche perché rinvia acriticamente ad un atto di parte, « senza in alcun modo considerare men che meno criticamente tesi e prove addotte dalla contribuente società» .
16. Con il dodicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 17, 19 e 21 del d.P.R. n. 633/1972, 6 comma 9 bis.3 del d.lgs. n. 471/1997 ( ius superveniens introdotto dalla novella ex d.lgs. n. 158/2015), « anche in combinato disposto con le corrispondenti disposizioni comunitarie che regolano il diritto alla detrazione oppure con specifico riferimento al regime del reverse charge per operazioni intracomunitarie, nonché violazione dei principi espressi dalla Corte di giustizia Ue in materia di diritto alla detrazione IVA in caso di operazioni soggette al cosiddetto reverse charge, come in materia di diritto alla detrazione IVA in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti e/o del principio cd di cartolarità dell’IVA », nella parte in cui la sentenza impugnata conferma le indetraibilità dell’IVA sulle fatture relative a operazioni asseritamente inesistenti e di conseguenza le relative sanzioni erogate dall’Agenzia.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e devono essere disattesi.
17.1. La motivazione esiste laddove è riportato quanto segue: « Dove l’Azienda disconosce la detrazione IVA è perché la società si era solo formalmente avvalsa della normativa vigente, ma in questo caso siamo in presenza di fatture false e pertanto le regole invocate non possono valere per le ragioni condivisibili e condivise espresse dall’Agenzia alla pag. 18 delle controdeduzioni ». Né essa può ritenersi apparente: in sostanza, la CTR osserva che, trattandosi di operazioni inesistenti e di false fatturazioni, la circostanza che fossero state emesse in regime di reverse charge da parte della MAK ai sensi dell’art. 17 comma 6 d.P.R. n. 633/1972, in forza della quale era la cessionaria RAGIONE_SOCIALE soggetto passivo d’imposta tenuto al pagamento dell’imposta, determina comunque la perdita del diritto alla detrazione a favore di quest’ultima.
17.2. La motivazione appare pienamente comprensibile e logica e il rinvio ad atti di parte non è di per sé sintomatico di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, o di assenza di vaglio critico così da escludere che la sentenza sia validamente “motivata” (Cass., n. 290 28 del 2022; Cass., sez. un. n. 642 del 2015). Ancora, il Giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito (Cass., n. 12131 del 2023).
17.3. E’ infondata anche la censura di violazione di legge, poiché la decisione della CTR è co nforme all’ orientamento di questa Corte nel solco della giurisprudenza unionale sul tema: quanto al diritto alla detrazione va rammentato che « In tema di IVA, e con riguardo al regime del “reverse charge” o inversione contabile, in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia della UE, il diritto di detrazione dell’imposta relativa ad un’operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un’evasione dell’IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s’iscriveva in una simile evasione; b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA» (v. Cass., n. 4250 del 2022; v. anche Cass., n. 2869 del 2019; Cass., n. 23262 del 2024); con riferimento alle sanzioni, poi, secondo le Sezioni Unite « In tema di Iva, il regime sanzionatorio più favorevole, sancito dalla parte finale dell’art. 6, comma 9-bis.3, del d.lgs. n. 471 del 1997, per le operazioni inesistenti soggette al regime contabile del “reverse charge”, introdotto dall’art. 15, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 158 del 2015, attiene esclusivamente alle operazioni che siano anche astrattamente esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, e a quelle che, pur imponibili, siano state realizzate in buona fede, ma non anche alle operazioni imponibili oggettivamente e soggettivamente inesistenti, qualora ne sia stato provato l’elemento psicologico, atteso che per esse non è consentita la neutralizzazione dell’Iva a credito e di quella a debito prevista dalla richiamata prima parte della medesima disposizione, in quanto prive dei requisiti sostanziali necessari per la relativa
detraibilità, in coerenza con quanto chiarito da CGUE, sentenza 11 novembre 2021, C-281/20, in causa RAGIONE_SOCIALE (Cass., sez. un. n. 22727 del 2022).
18. Con il tredicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 109 d.P.R. n. 917/1986 e 14 comma 4 bis, l. n. 537/1993, perché la CTR ha confermato il recupero a tassazione dei costi emergenti dalle fatture in contestazione soltanto sulla considerazione che la RAGIONE_SOCIALE non aveva un’operatività tale da giustificare i movimenti e non era possibile che la RAGIONE_SOCIALE avesse reso tutte le prestazioni di cui in fattura, senza escludere che quei costi fossero stati effettivamente sostenuti, cosicché la loro deducibilità è negata sulla base della sola ‘soggettiva inesistenza’ delle operazioni risultanti da alcune fatture in contestazione.
18.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato. Dietro il paradigma della violazione di legge si tenta, in realtà, di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito, incensurabile come tale nel giudizio di legittimità (Cass., sez. un. Cass., n. 34476 del 2019), travisandosi oltretutto il senso della decisione della CTR la quale, sulla base delle presunzioni dell’Ufficio, ha accertato che le fatture erano state emesse per operazioni inesistenti oggettivamente, mentre non vi è stato alcun accertamento della effettività di quelle prestazioni il cui onere di prova era a carico del contribuente: infatti, « In tema di IVA, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire
reale un’operazione fittizia » (Cass. n. 28628 del 2021; Cass. 9723 del 2024; Cass. n. 17619 del 2018). Quindi, la decisione della CTR di escludere la deducibilità dei costi è in linea con il principio secondo cui « In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993 – nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012 – l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, mentre è esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti » (Cass., n. 8480 del 2022; Cass., n. 25249 del 2016).
19. Con il quattordicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 109 d.P.R. n. 917/1986 (TUIR) e 14 comma 4 bis, l. n. 537/1993, anche in combinato disposto con gli artt. 2627 e 2729 c.c., in tema di presunzioni che devono essere gravi, precise e concordanti; secondo la ricorrente, la CTR avrebbe potuto concludere tutt’al più per la ricorrenza di operazioni soggettivamente inesistenti, risultando l’oggettiva esistenza ed effettività delle prestazioni di manodopera comunque realizzate per dare esecuzione agli incontestati lavori in appalto commissionati da terzi alla COGNOME e regolarmente retribuiti con pagamenti che infatti sono confluiti nei ricavi di periodo, mai contestati dall’Agenzia, cosicché i costi erano deducibili, come si desume dalla stessa sentenza impugnata che, rinviando alle controdeduzioni dell’Agenzia all’appello della contribuente, « rinvia anche a quella parte di esse in cui si ammette -e in definitiva non si contesta -il sostenimento di quei costi di posa in opera e/o di manodopera
edile, per realizzare da sé tali prestazioni, o per corrisponderne il relativo corrispettivo a terzi e occulti prestatori in nero ».
19.1 . Il motivo è inammissibile in quanto, anche in questo caso, si tenta di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito. Come noto, in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio -in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass., n. 37382 del 2022). La stessa critica consentita del ragionamento presuntivo non deve concretizzarsi in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo ovvero nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729 c.c., risolvendosi in un diverso apprezzamento della quaestio facti , e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio, così ponendosi su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (Cass., sez. un. n. 1785 del 2018).
19.2. In questo caso, oltretutto, il tentativo di rimettere in discussione l’accertamento del giudice di merito non trova precisi elementi di sostegno negli atti richiamati: nelle controdeduzioni dell’Ufficio che integrano la motivazione della sentenza, trascritte per autosufficienza in ricorso (v. pagg. 44 e segg.), non si parla di operazioni soggettivamente inesistenti ma di « operazioni inesistenti », di « fatture per prestazioni mai rese », di movimenti bancari che « risultano essere delle vere e proprie ‘retrocessioni’ del corrispettivo incassato per l’emissione di fatture fittizie », né si coglie alcun riconoscimento della effettività di quelle prestazioni, rese da terzi rimasti ignoti, ma, anzi, si esplicita che « una volta che l’Amministrazione abbia fornito, anche mediante presunzioni, la prova della fittizietà dell’operazione, grava sulla parte l’onere di dimostrare che le fatture contestate si riferiscono a prestazioni effettivamente rese ».
E’ fondato, invece, il ricorso incidentale dell’Agenzia affidato ad un unico motivo con cui si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., omessa pronuncia sull’appello incidentale proposto dall’Ufficio, con cui si gravava la decisione della CTP di ridurre del 50% la pretesa impositiva, trascritto per autosufficienza nel controricorso (da pag. 29 a pag. 30), sul quale la CTR, che pure ne ha dato atto nell’ espositiva in fatto, ha omesso di decidere.
Conclusivamente, rigettato il ricorso principale e accolto quello incidentale la sentenza deve essere cassata e la causa deve essere rinviata al giudice del merito.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità;
ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 09/04/2025.