Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2046 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2046 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22563/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STAT (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. ROMA n. 2695/2021 depositata il 21/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RILEVATO CHE
Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata e dagli atti delle parti, l’Agenzia delle entrate eseguì una verifica fiscale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, cessata in data 7.5.2014, di cui erano stati soci al 50% ciascuno i due fratelli NOME e NOME COGNOME sino al 28.11.2011, quando l’intero capitale sociale venne ceduto a NOME COGNOME risultato prestanome della famiglia COGNOME, constatando con PVC 21.12.2015 una complessa frode ai danni dell’Erario realizzata tra il 2010 e 2011.
In particolare, si contestò lo ‘svuotamento’ della società nonché il trasferimento dei suoi asset come segue: mediante scissione parziale il patrimonio immobiliare della società era stato trasferito a favore della RAGIONE_SOCIALE, le cui quote appartenevano ai due RAGIONE_SOCIALE ed ai genitori quali usufruttuari; i due rami di attività erano stati ceduti alle società RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) mediante frazionate cessioni di beni e attrezzature che celavano cessioni di rami d’azienda; la RAGIONE_SOCIALE aveva utilizzato le fatture fittiziamente emesse da due società ‘cartiere’ appositamente create, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, al fine di ‘compensare’ l’IVA e le plusvalenze generate dalle cessioni.
A seguito di ciò vennero emessi diversi atti impositivi e segnatamente: -avviso ‘integrativo/modificativo’ TK 3035104270/2017 (per l’anno 2010), notificato il 17.11.2017, e avviso ‘integrativo/modificativo’ TK503M105303 (per l’anno 2011), notificato il 23.11.2017, relativi al recupero di IRES, IVA e IRAP concernente la società cancellata, notificati a NOME e NOME COGNOME ex art. 2495 c.c. nonché alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, quali cessionarie di rami d’azienda ex art. 14 d.lgs. n. 472/1997, e nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
quale beneficiaria della scissione ex art. 173 comma 13 TUIR; questi atti erano stati emessi a seguito di annullamento di precedenti atti che avevano ripreso soltanto l’IVA e l’IRAP sul presupposto che operasse per l’IRES il regime di imputazione dei redditi per trasparenza ai soci, poi escluso a seguito di dichiarazione dei due soci (avvisi NUMERO_CARTA per il 2010 e TK503M203125 per il 2011, impugnati dai contribuenti); – avviso ‘integrativo/modificativo’ CODICE_FISCALE/2017, notificato il 23.11.2017 e relativo al 2011, nei confronti di NOME COGNOME per il recupero di ‘proventi illeciti’ pari ad euro 14.630.184,00 percepiti dalla RAGIONE_SOCIALE a seguito di restituzione di prestiti fittizi e di prelevamenti dai conti della società; – avviso ‘integrativo/modificativo’ n. 2017/170664, notificato il 23.11.2017, con cui veniva contestata a NOME COGNOME la responsabilità per i debiti tributari della cessata società ex art. 36 d.P.R. n. 602/1973 ed ex art. 2495 c.c. in qualità di socio e amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in conseguenza di quanto ricevuto dalla società nei due anni antecedenti la messa in liquidazione.
Anche l’avviso TK501M105346/2017 era stato emesso previo annullamento di precedente atto, impugnato dal contribuente, e precisamente l’avviso n.CODICE_FISCALE, notificato il 16.8.2016, con cui si imputavano a NOME COGNOME per il 2011, euro 14.823.500,50 pari al 50% del maggior reddito di impresa della verificata (corrispondente a quello di cui all’accertamento relativo alla società n. TK503M203125), a sua volta emesso in sostituzione di altro avviso n. CODICE_FISCALE, notificato il 25.5.2016, con cui si contestava al COGNOME per il medesimo anno un ‘arricchimento personale’ di euro 870.184,00, costituiti dalla sommatoria di euro 639.000,00 ( pari alla differenza tra l’importo di euro 14.399.000,00 ricevuti sul proprio conto dalla verificata RAGIONE_SOCIALE e l’importo di euro 13.760.000,00
versata a titolo di finanziamento alla RAGIONE_SOCIALE con euro 231.184,00 derivanti da prelevamenti diretti dal conto della società verificata.
I ricorsi sono stati proposti davanti alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Roma che, con sentenza n. 4867/5/2017, ha annullato gli atti riuniti limitatamente all’IRAP, rigettando per il resto.
Contro questa sentenza hanno proposto appello la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE nonché NOME COGNOME e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Lazio, con la sentenza in epigrafe, ha respinto i ricorsi riuniti.
La RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione fondato su nove motivi e depositano memoria.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 43 comma 3, d.P.R. 600/1973, dell’art. 57, comma 3 d.P.R. n. 633/1972, dell’art. 1 comma 132, l. n. 208/2015, perché la CTR avrebbe dovuto dichiarare l’« illegittimità di tutti gli accertamenti impugnati, per intervenuta decadenza del potere accertativo dell’Ufficio» per «Inapplicabilità del c.d. raddoppio dei termini per gli accertamenti afferenti alla novità 2010 e 2011».
1.1. Si rileva che sin dai ricorsi introduttivi era stata eccepita la decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo in quanto per le annualità oggetto di accertamento i termini ordinari scadevano il 31.12.2015 (per il 2010) e il 31.12.2016 (per il 2011), mentre gli avvisi di accertamento impugnati furono notificati soltanto nel novembre 2017 ; l’Amministrazione, nelle sue controdeduzioni, aveva indicato la comunicazione di notizia di reato del 27.1.2016 prot. 11351 e il procedimento penale RGNR 16500/15, poi confluito
nel procedimento n. 32653/16 nell’ambito del quale vi era stata richiesta di rinvio a giudizio e fissazione di udienza preliminare, atti allegati alle controdeduzioni; i ricorrenti avevano ribadito che era onere dell’Amministrazione allegare le comunicazioni di reato al fine di escludere un utilizzo puramente strumentale e pretestuoso dell’istituto del ‘raddoppio dei termini’ e, comunque, doveva escludersi che il procedimento penale si riferisse a fatti commessi nella gestione della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Di RAGIONE_SOCIALE e ai fatti contestati a NOME COGNOME; l’eccezione era stata accolta dalla CTP solo con riferimento all’IRAP. La CTR, a sua volta, ha rigettato il motivo di gravame sul punto, ritenendo applicabile l’art. 1 comma 132 della l. n. 208/2015 ma osservando che le denunce non erano state presentate oltre la scadenza dei termini: « gli atti impugnati indicano gli estremi delle CNR inoltrate in termini alla competente Procura della Repubblica, con i relativi numeri di protocollo (dall’Ufficio Centrale Antifrode della DCA in data 12.11.2015 al prot. 24/2015/RIS; dalla Guardia di Finanza in data 13.7.2015 al prot. 0316623/2015; dai funzionari estensori del processo verbale di constatazione in data 27.1.2016 al prot. 11351). Dalle indagini è scaturito il proc. RGNR 16500/15 da cui veniva per ‘stralcio’ il RGNR 32653/16, e infine il processo penale (r.g. gip 1964/17) ». Ha aggiunto che non era necessaria l’allegazione delle CNR agli atti impugnati e non era impedito il controllo del giudice sui presupposti, poiché i fatti erano « astrattamente idonei a configurare » responsabilità penali e come, affermato anche dai giudici di prime cure, « dalle segnalazioni e dalle successive imputazioni elevate dalla Procura della Repubblica di Roma emergeva il coinvolgimento diretto o indiretto dei soggetti ricorrenti e delle società ad essi riferibili nonché dei soggetti a vario titolo chiamati in causa dagli accertamenti fiscali», osservando , a titolo d’esempio, che NOME e NOME COGNOME erano stati imputati per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla
commissione di vari reati tributari, il primo come ‘capo, promotore ed organizzatore’ e il secondo come ‘partecipe e ufficiale pagatore’.
1.2. Si contesta la decisione perché incombeva sul l’Ufficio l’onere di allegazione della comunicazione di reato, indispensabile per consentire al giudice il controllo sulla ricorrenza dei presupposti del raddoppio dei termini (deduzione sub a); inoltre, la CTR avrebbe dovuto dichiarare la decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo, quantomeno per l’anno 2010, perché l’Ufficio aveva indicato nelle sue controdeduzioni soltanto la notizia di reato inoltrata in data 27.1.2016 prot. 11351 (sub b); infine, dall’avviso d’udienza preliminare e della richiesta di rinvio a giudizio allegati dall’Ufficio non risultavano imputazioni relative ai fatti oggetto degli avvisi di accertamento impugnati nei confronti di NOME COGNOME (già rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE) e NOME COGNOME (legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, mentre il riferimento a NOME COGNOME era generico e non provava che le imputazioni si riferissero ai fatti di cui agli avvisi di accertamento impugnati (sub c).
1.3. Le doglianze sono inammissibili e comunque infondate.
1.3.1. La questione sub a) confonde il profilo della motivazione dell’a vviso con quello della prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, trattandosi di profili distinti (Cass. n. 4639 del 2020). La motivazione è un requisito di validità formale dell’atto e ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e, al contempo, di consentire l’esercizio del diritto di difesa del contribuente; l’obbligo motivazionale deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione degli elementi essenziali della pretesa, laddove (solo) nella eventuale fase contenziosa viene in considerazione l’onere dell’Amministrazione di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti della pretesa (Cass. n. 14700 del 2001; Cass. n. 23615
del 2011; Cass. n. 28061 del 2017, in motivazione; Cass. n. 5645 del 2020; Cass. n. 6063 del 2020 in motivazione; per ultima, Cass. n. 25321 del 2024); si prevede l’allegazione all’avviso di accertamento degli atti non conosciuti dal contribuente (v. art. 7 della l. n. 212/2000) ovvero la riproduzione nell’avviso del loro contenuto essenziale (Cass. n. 1906 del 2008; Cass. n. 28058 del 2009; Cass. n. 6914 del 2011; Cass. n. 13110 del 2012; Cass. n. 9032 del 2013; Cass. n. 9323 del 2017); la CTR ha fatto buon governo di questi principi laddove, rilevato che gli avvisi di accertamento indicavano gli estremi delle notizie di reato inviate in relazione ai fatti oggetto degli atti impositivi, ha osservato che non era necessaria l’allegazione agli stessi delle comunicazioni di reato.
1.3.2. La prova della ricorrenza dei presupposti del raddoppio dei termini riguarda il giudizio tributario ove il giudice accerta la fondatezza della pretesa impositiva sulla base dei motivi di impugnazione, secondo le regole processuali dell’istruzione probatoria. La CTR ha accertato che le prime comunicazioni di reato da parte della Direzione Centrale dell’Amministrazione e della Guardia di finanza risalivano comunque al 2015, dando rilievo proprio alle indicazioni riportate negli avvisi, che non risultano specificamente contestate; con tale accertamento, che si fonda sul principio di non contestazione di cui all’art. 115, comma 1, c.p.c., applicabile anche nel processo tributario (Cass. n.13834 del 2014; Cass. n. 2196 del 2015), la comunicazione di reato del 2016 di cui alle controdeduzioni dell’Ufficio risulta superflua; pertanto, la deduzione sub b) è infondata.
1.3.3. Sulla questione sub c) va premesso che è irrilevante l’esito del procedimento penale, dato il regime del cosiddetto ‘doppio binario’ tra giudizio penale e processo tributario ( tra le tante, Cass., n. 9322 del 2017; Cass. n. 27250 del 2022). Sulla scorta di quanto previsto da Corte cost. n. 247/2011, il giudice tributario deve controllare, se richiesto con i motivi di
impugnazione dell’atto impositivo o di contestazione delle sanzioni, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia (ma non certo l’esistenza del reato), compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma»), verificando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle menzionate disposizioni al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento (tra le tante, Cass. n. 2862 del 2019; n. 13483 del 2016). In questo caso il giudice del merito ha escluso la pretestuosità delle comunicazioni di reati con apprezzamento in fatto incensurabile nel giudizio di legittimità (Cass. sez. un., n. 34476 del 2019), cosicché le contestazioni dei ricorrenti, laddove tentano di rimettere in discussione tale accertamento, sono inammissibili. La questione della mancata corrispondenza tra i capi di imputazione e i fatti oggetto degli accertamenti impugnati risulta anche carente di autosufficienza in quanto, non essendo stato riportato in termini puntuali il contenuto di quegli atti, non è possibile alcuna valutazione sulla base della sola lettura del ricorso (Cass. n. 15952 del 2007) . Quelle deduzioni sono altresì irrilevanti alla luce di quanto sopra osservato circa l’autonomia dei due giudizi e l’ininfluenza dell’andamento del procedimento penale, perché la mancanza di imputazioni in relazione ai fatti oggetto degli avvisi di accertamento non implica necessariamente pretestuosità delle notizie di reato concernenti la complessiva vicenda .
Con il secondo motivo si deduce in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione, dell’art. 43, comma 3 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, perché la CTR avrebbe dovuto statuire l’« Illegittimità degli impugnati accertamenti ‘integrativi/modificativi’, in quanto emessi in mancanza del presupposto della conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle entrate’» , invece di ritenere
che gli atti costituissero esercizio del potere di autotutela sostitutiva.
2.1. Secondo i ricorrenti, gli avvisi impugnati non si fondavano sulla « sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzi a» – come richiedono le norme sopra citate riformulate con l. n. 208/2015 – ma erano stati giustificati da ragioni che dovevano essere già note all’Ufficio (inapplicabilità del regime di trasparenza fiscale) ovvero generiche, cosicché essi erano invalidi.
Il motivo è fondato nei limiti della seguente motivazione.
2.2. E’ bene premettere che a fianco al potere di integrazione o modificazione dell’avviso di accertamento, previsto dagli artt. 43, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 57, comma 3, d.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633 sul presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, si colloca la c.d. autotutela sostitutiva, cioè il potere dell’Amministrazione finanziaria di provvedere in via di autotutela e con effetti retroattivi all’annullamento d’ufficio (o alla revoca) degli atti illegittimi (o infondati) espressamente riconosciuto all’art. 2-quater, comma 1, del d.l. n. 564 del 1994, conv. in l. n. 656 del 1994. L’accertamento integrativo non determina la sostituzione dell’atto originario, che continua a spiegare i propri effetti, ma presuppone la sopravvenuta conoscenza (oggetto di specifica motivazione) di nuovi elementi e non può fondarsi sulla rivalutazione fattuale o giuridica degli stessi già posti a base dell’atto annullato, rappresentando una deroga al principio di unicità dell’accertamento (Cass. n. 7293 del 2020); conseguentemente, l’accertamento integrativo determinerà una modifica ‘in aumento’ o incrementativa della pretesa impositiva. L’autotutela sostitutiva, invece, comporta l’annullamento dell’atto, considerato illegittimo, e la sua sostituzione con un altro di contenuto sostanzialmente identico ma privo dei vizi originari ovvero con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali, costituiti dai destinatari, dall’oggetto, dal contenuto e
dalla motivazione (Cass. n. 4272/2010); tale potere può essere esercitato anche in pendenza di giudizio, perché l’emissione del primo atto non consuma il potere di imposizione, valendo il principio della perennità del potere impositivo entro i termini di decadenza e sinché non si forma un giudicato (Cass. n. 7751 del 2019), e anche in malam partem con l’adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato (Cass. sez. un. n. 30051 del 2024).
2.3. Premesso che l’intestazione dell’atto non vincola il giudice, in questo caso, gli atti relativi alle società – TK 3035104270/2017 (per l’anno 2010), TK503M105303 (per l’anno 2011) e l’atto TK501M105346/2017 relativo al RAGIONE_SOCIALE non hanno natura integrativa perché essi sono stati emessi in sostituzione di quelli precedenti.
2.4. Costituisce accertamento integrativo, invece, l’altro atto emesso nei confronti di NOME COGNOME, prot. 2017/170664, con il quale è stata contestata la responsabilità del ricorrente per i debiti fiscali della società ai sensi degli artt. 2495 c.c. e dell’art. 36 commi 3 e 4 d.P.R. n. 602/1973, sulla base dei medesimi fatti oggetto dell’accertamento CODICE_FISCALE relativo ai debiti per il 2011 della società estinta. Sebbene l’avviso n. CODICE_FISCALE e quello n. 2017/170664 siano stati notificati in pari data, il 23.11.2017, soltanto il primo costituisce esercizio di autotutela sostitutiva in relazione al precedente avviso n.CODICE_FISCALE, mentre il secondo costituisce una nuova iniziativa che, derivando da una « complessiva rivisitazione dell’attività di accertamento globalmente condotta », non può rappresentare valido avviso integrativo in assenza di elementi nuovi.
Con il terzo motivo, si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7, l. n. 212/2000 e lesione del diritto al contraddittorio preventivo: osservano i ricorrenti che la verifica nei confronti della
RAGIONE_SOCIALE, che non fu compiuta soltanto a ‘tavolino’, culminò nel PVC del 21.12.2015 ma non venne seguita da invito a comparire « ai fini di una discussione » in contraddittorio sulla pretesa fiscale prima dell’emissione dell’avviso di accertamento da parte dell’Amministrazione, la quale non tenne conto neppure delle osservazioni difensive al PVC; tali questioni erano state disattese dalla CTR che aveva ritenuto assolto il diritto al contraddittorio con la consegna del PVC.
Il motivo è infondato.
3.1. il diritto al contraddittorio si sostanzia, secondo l’art. 12 comma 7 dello Statuto del contribuente, nel riconoscimento a favore del contribuente di un termine minimo di sessanta giorni, a seguito della comunicazione degli esiti dell’accertamento mediante consegna del PVC, che l’Amministrazione deve rispettare prima di provvedere all’emanazione dell’atto impositivo, salva la ricorrenza di ragioni d’urgenza ( Cass. sez. un. n. 24823 del 2015; per la giurisprudenza successiva, tra le tante, Cass. n. 22819 del 2022; Cass. n. 12412 del 2022; Cass. n. 12713 del 2022). La norma concede al contribuente un termine entro il quale poter proporre osservazioni e difese, ‘avendo in mano’ il PVC con tutte le contestazioni mosse. Inoltre, l’Amministrazione è tenuta a valutare tali osservazioni, ma non ad esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo: secondo la giurisprudenza di questa Corte, è valido l’avviso di accertamento che non menziona le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, atteso altresì che la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali è espressamente prevista dalla legge oppure da cui deriva una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto (Cass. n. 12343 del 2024; Cass. n. 8378 del 2017).
3.2. Non si richiede, quindi, all’Amministrazione di aprire un dialogo con il contribuente a seguito dell’emissione del PVC. Neppure nell’ordinamento sovranazionale si ritrova un diritto al
contraddittorio in termini tanto ampi, prevedendosi soltanto che l’Amministrazione, ove adotti provvedimenti destinati ad incidere sulle posizioni soggettive dei destinatari, debba mettere costoro in condizione di esporre utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi posti a fondamento dell’atto medesimo (Corte giust., 18 dicembre 2008, in C -349/07, Sopropé , punto 37; ex multis 22 ottobre 2013, in C276/12, Sabou , punto 38; 17 dicembre 2015, in C -419/14, WebMindlicenses , punto 84); qualora l’Amministrazione non sia stata rispettosa dell’obbligo di contraddittorio, la violazione -in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze -comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e se, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa (Corte giust., sentenze 10 ottobre 2009, NOME COGNOME COGNOME Housewares & Hardware , in C -141/08, punto 94; 10 settembre 2013, M.G. e N.R., in C -383/13, punto 38; 26 settembre 2013, Texdata Software , in C -418/11, punto 84; 3 luglio 2014, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , in C -129/13 e C -130/13, punti 79 e 82).
4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2495, c.c., 28, comma 4, d.lgs. n. 175/2014, nonché dell’art. 173, comma 13 TUIR, dell’art. 14 del d.lgs. n. 472/2997, dell’art. 36 d.P.R. n. 602/1973, per « Illegittimità di tutti gli avvisi di accertamento notificati nel 2017 in relazione al presunto maggior reddito d’impresa e maggiore IVA per i periodi d’imposta 2010 2011 in capo alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in quanto società estinta già alla data del 7/5/2014 e conseguente insussistenza e impossibilità di qualsivoglia responsabilità solidale degli odierni ricorrenti per i soli presunti debiti tributari della prima;
illegittimità dell’accertamento emesso nei confronti di NOME COGNOME ai sensi dell’articolo 36 d. P.R. n. 602/1973».
4.1. In sintesi, secondo i ricorrenti, posto che gli accertamenti nn. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA si riferiscono ad un maggior reddito di impresa della RAGIONE_SOCIALE, derivante dalla contestazione di costi per presunte operazioni inesistenti, prima di emettere gli avvisi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, quale responsabile solidale ex art. 173 comma 3 cit., e della RAGIONE_SOCIALE, quale responsabile solidale ai sensi dell’art. 14 d.lgs. n. 472/1997, così come prima di far valere nei confronti di NOME COGNOME la responsabilità ex art. 36 del d.P.R. n. 602/1973 quale amministratore/liquidatore e socio della stessa società cessata, l’Agenzia avrebbe dovuto emettere avviso di accertamento nei confronti RAGIONE_SOCIALE, peraltro cessata in data 7.5.2014, così accertando la sussistenza del debito tributario nei confronti dell’obbligata principale, e solo successivamente avrebbe potuto emettere avvisi di accertamento nei confronti degli obbligati in solido e far valere le responsabilità personali del COGNOME. La questione era stata respinta dalla CTR la quale erroneamente aveva osservato che l’estinzione della società non estingue le obbligazioni sociali che continuano a gravare sugli obbligati in solido, perché ancora non vi era stato accertamento dei debiti tributari della società estinta.
Il motivo è infondato.
4.2. Va osservato, in primo luogo, che, secondo l’art. 2495 c.c. l’estinzione della società non determina l’estinzione dei debiti sociali ma un fenomeno lato sensu successorio perché nel rapporto obbligatorio subentrano gli ex soci, che rispondono di quei debiti nei limiti di quanto riscosso in sede di bilancio finale di liquidazione (Cass. sez. un. n. 6070 del 2013); tale successione comporta la conseguente legittimazione dei soci con riguardo ai rapporti sociali, che ha ambito più esteso di quello afferente alla loro responsabilità,
disciplinato dall’art. dell’art. 2495, comma 2, cod. civ., di talché affermare la legittimazione di questi ultimi in quanto successori della società estinta non equivale anche a riconoscerne la responsabilità (Cass. n. 22014 del 2020). Quindi, l’estinzione della società, cancellata dal registro delle imprese anteriormente all’introduzione dell’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 -che ha previsto, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione ma non ha efficacia retroattiva -pone come legittimati in relazione ai rapporti tributari della società gli ex soci. In questo caso, come chiarito dall’Amministrazione in controricorso, gli avvisi di accertamento furono notificati anche « ai soci sig.ri NOME e NOME COGNOME ex art. 2495 c.c. », sul presupposto che il formale titolare delle quote, NOME COGNOME fosse un mero prestanome.
4.3. Né giova osservare che, « in assenza di debiti fiscali contestati mediante autonomi avvisi di accertamento» nei confronti della società, non poteva essere emesso alcun avviso di accertamento nei confronti dei coobbligati in solido perché questo presuppone « l’accertamento della sussistenza del debito tributario in via principale» , cosicché « non essendo mai sorto in alcun modo alcun debito fiscale » in capo alla società obbligata principale nessuna responsabilità poteva essere imputata ai terzi in via solidale o sussidiaria. La censura presuppone la natura ‘costitutiva’ dell’accertamento tributario, il quale, secondo orientamento consolidato, ha invece natura ‘dichiarativa’ in quanto non fa sorgere l’obbligazione tributaria: l’accertamento tributario non è condizione di esistenza o -meglio -elemento costitutivo del credito tributario, prima di questo solo potenziale, ma condizione di esigibilità (per tutte, Cass. n. 20978 del 2013 in motivazione).
4.3.1. Va considerato, inoltre, che sia per la responsabilità del beneficiario ex art. 173 cit. sia per quella del cessionario ex art. 14 cit. non è necessario alcun accertamento nei confronti dei
coobbligati, bastando quello nei confronti del debitore principale. In tema di scissione societaria, secondo l’art. 173 comma 13 in caso di scissione parziale « I controlli, gli accertamenti e ogni altro procedimento relativo ai suddetti obblighi sono svolti nei confronti della società scissa» e ai soggetti coobbligati è data soltanto «facoltà di partecipare ai suddetti procedimenti e di prendere cognizione dei relativi atti, senza oneri di avvisi o di altri adempimenti per l’Amministrazione» , cosicché la società beneficiaria, solidalmente responsabile per i debiti erariali della società scissa relativi a periodi d’imposta anteriori alla data dalla quale l’operazione produce effetti, può essere richiesta del pagamento di tali debiti senza oneri di avvisi o altri adempimenti da parte dell’Amministrazione, non pregiudicando tale disciplina il diritto di difesa della società beneficiaria, la quale può dedurre, in sede di opposizione alla cartella, ogni argomentazione per contestare la pretesa impositiva (Cass. n. 16710 del 2019; Cass. n. 23342 del 22016; v. anche Cass. n. 32469 del 2022). In tema di responsabilità solidale di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997, per i debiti pregressi relativi all’azienda ceduta, soggetto passivo dell’imposta, nei cui confronti deve essere svolta l’attività accertativa, è esclusivamente il cedente, nei cui soli confronti si è realizzato il presupposto impositivo, laddove, correttamente, l’amministrazione finanziaria provvede, nei confronti del cessionario, alla mera iscrizione a ruolo dell’importo non versato dal cedente, in forza della citata responsabilità solidale, senza che sia necessario che la cartella sia preceduta anche da un preventivo atto di accertamento nei suoi confronti (Cass. n. 10377 del 2022).
4.3.2. A ben vedere, quindi, l’estensione ai ricorrenti coobbligati dell’accertamento relativo al debitore principale, in luogo della successiva iscrizione a ruolo del debito definitivamente accertato nei confronti di questo ultimo, non ha causato alcun nocumento ma anzi ha offerto una maggior tutela, consentendo
loro di difendersi sin dalla fase dell’accertamento della pretesa tributaria.
4.4. Relativamente alla responsabilità ex art. 36 cit. del COGNOME quale liquidatore, amministratore o ex socio, con l’accoglimento del secondo motivo in relazione all’avviso di accertamento prot. 2017/170664, con il quale è stata contestato quel titolo di responsabilità, viene meno l’interesse sulla questione.
Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 173, comma 13, TUIR, dell’art. 16 l. n. 537/1993, dell’art. 2506 quater c.c., per « Insussistenza della presunta responsabilità solidale della RAGIONE_SOCIALE (a seguito della scissione parziale deliberata di 15/12/2010) per i presunti debiti tributari della disciolta RAGIONE_SOCIALE per gli 2010 2011». Si osserva che la responsabilità della società beneficiaria per i debiti della società scissa può operare solo in presenza di una scissione totale e non in caso di scissione parziale; oltretutto, la scissione era avvenuta nel 2010 cosicché la beneficiaria non avrebbe dovuto rispondere dei debiti tributari sorti nel 2011; pertanto, era erronea la decisione della CTR che aveva dato rilievo alla data di pubblicazione della scissione presso il registro delle imprese avvenuta il 5.5.2011.
Il motivo è infondato.
5.1. Vige il principio della responsabilità solidale e illimitata di tutte le società interessate dalla scissione per i debiti tributari sorti antecedentemente all’operazione di scissione, sia quest’ultima totale o parziale, ai sensi dell’art. 173, comma 13, del d.P.R. 917/1986, come conferma l’art. 15, comma 2, del d.lgs. n. 472/1997, che, con riguardo alle somme da pagarsi in conseguenza delle violazioni fiscali commesse dalla società scissa, prevede la solidarietà illimitata di tutte le beneficiarie, differentemente dalla disciplina della responsabilità relativa alle obbligazioni civili, per la
quale, invece, gli artt. 2506 bis, comma 2 e 2506 quater, comma 3, cod. civ., prevedono limiti precisi (di recente Cass., n. 739 del 2024; Cass. n. 9594 del 2016, Cass. n. 13059 del 2015). Sulla conseguente disparità di trattamento dell’Erario rispetto agli altri creditori, cui si applica la disciplina civilistica che prevede la responsabilità solidale delle beneficiarie per i debiti della società scissa nei limiti del valore del patrimonio netto ad esse assegnato, si è pronunciata la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 90/2018, ha escluso profili di illegittimità (v. anche Cass. n. 3233 del 2021).
5.2. Quanto al secondo profilo di censura, la CTR ha ben applicato la disciplina in materia trovando applicazione, quale regola generale, l’art. 2506 quater c.c. comma 1 secondo cui « l a scissione ha effetto dall’ultima delle iscrizioni dell’atto di scissione nell’ufficio del registro delle imprese in cui sono iscritte le società beneficiarie », a cui rimanda anche l ‘art. 173 comma 11 TUIR, quanto alla decorrenza degli effetti della scissione ai fini delle imposte sui redditi.
Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 14 d. lgs. n. 472/1997, Insussistenza della presunta responsabilità solidale della RAGIONE_SOCIALE per i debiti tributari della disciolta RAGIONE_SOCIALE per il 2010 e 2011, in ragione della solo asserita (e non provata) cessione di ramo d’azienda, peraltro anche esclusa a seguito della CTR di Roma, n. 18/2020, nel parallelo giudizio sull’imposta di registro».
degli art. 2555, 2112, comma 5, e 2697 c.c. per « Si censura la configurazione di una cessione di ramo d’azienda nelle n. 21 fatture relative a cessioni di beni e attrezzature a favore della RAGIONE_SOCIALE, contestandosi la ricorrenza, tanto nel PVC quanto nell’avviso di accertamento, di elementi comprovanti che quanto ceduto costituiva un complesso aziendale, evidenziandosi altresì che il 98% delle maestranze venne trasferito all’altra cessionaria Di
RAGIONE_SOCIALE, che non vennero trasferiti contratti di committenza e fornitura, che la stessa CTR del Lazio, con la sentenza n. 18/20, aveva annullato l’atto di liquidazione dell’imposta di registro al 3% sull’asserito atto di cessione di ramo d’azienda, la cui ricorrenza è stata esclusa dal giudice di merito.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
6.1. Va premesso che « in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mentre la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche – può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo » (tra le tante, Cass. n. 29111 del 2017).
6.2. In questo caso la censura è inammissibile, risolvendosi «nella proposta di una interpretazione diversa» (Cass. n. 10554 del 2010), laddove contesta gli accertamenti in fatto svolti dal giudice del merito finalizzati all’individuazione della reale volontà negoziale delle parti, sui quali la CTR ha reso diffusa motivazione: l’ «identità oggettiva e soggettiva tra società cedente e cessionarie, una continuità personale nella gestione delle aziende (gruppo dirigente), oltre ulteriori numerosi elementi riportati nel pvc (pagg 57 e segg.) con riferimento alla capacità organizzativa, alla localizzazione commerciale, alla clientela, alle immobilizzazioni
materiali alla forza lavoro. Tra l’altro, si segnalano: identità di sede delle tre società (cedente e cessionarie) in Roma, INDIRIZZO, identità di attività dichiarate, identico depositario dele scritture contabili, trasferimento della principale clientela rilevabile dal sito internet di Showlive. La continuità dell’esercizio è resa evidente, tra l’altro, dall’identità di alcuni aspetti (attività dichiarata, sede legale, rappresentanti), dall’andamento dei ricavi delle tre società nel periodo interessato, che evidenzia chiaramente il trasferimento dell’attività dalla RAGIONE_SOCIALE alle due società (pvc pagg. 60-63)». La CTR ha, altresì, evidenziato che « l’intero gruppo dirigente è transitato da RAGIONE_SOCIALE » e che sette dipendenti della prima erano comunque transitati alla RAGIONE_SOCIALE, ritenendo irrilevante il fatto che quest’ultima avesse dovuto assumere ulteriori maestranze – ciò che costituiva conseguenza del transito della maggioranza dei dipendenti all’altra neocostituita cessionaria -ed evidenziando altresì che le due cessionarie avevano comunque assorbito tutto il personale della cedente.
6.3. In ogni caso, con questa motivazione la CTR ha fatto buon governo dei principi in materia. Secondo il costante orientamento di questa Corte, ricorre la vendita aziendale regolata dagli artt. 2555 c.c. e ss. c.c. ogni volta venga ceduto un insieme di elementi costituenti un complesso organico e funzionalmente adeguato a conseguire lo scopo in vista del quale il loro coordinamento era stato posto in essere, essendo necessario e sufficiente che la cessione abbia ad oggetto un’entità econom i ca ancora esistente, la cui gestione sia stata effettivamente proseguita o ripresa dal nuovo titolare. La vendita aziendale non è esclusa in caso di cessione di singole unità produttive, purché abbiano una propria autonomia organizzativa e funzionale -anche se, una volta inserite nell’impresa cessionaria, restino assorbite, integrate o riorganizzate nella più ampia struttura di quest’ultima e anche ove, per dare continuità all’impresa, sia necessario l’apporto di altri beni o
dotazioni. È in altri termini necessario che nel complesso di beni oggetto del trasferimento permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine all’esercizio dell’impresa, sia pure con le successive integrazioni ad opera del cessionario (Cass. 3514 del 1975; Cass. 3627 del 1996; Cass. 23496 del 2004; Cass. 17418 del 2005; Cass. 27826 del 2005; Cass. 21481 del 2009). L’azienda può esser dedotta quale oggetto di cessione sia nella sua fase statica, sia in quella dinamica e, pertanto, non è neppure rilevante che l’idoneità funzionale e produttiva dei beni non sussista ancora, bastando che essa sia conseguenza potenziale prevista dalle parti (Cass. 1640 del 1984; Cass. 4700 del 2003; Cass. 166 del 2005).
Con il settimo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, numero 5, c.p.c., lamentandosi la mancata considerazione della sentenza n. 18/2020 della CTR del Lazio che aveva escluso che le cessioni di beni a favore della RAGIONE_SOCIALE costituissero cessione di ramo d’azienda.
7.1. Il motivo è inammissibile perché la citata sentenza non può costituire fatto storico, avente carattere decisivo, il cui esame è stato omesso (per tutte, Cass., sez. un., n. 19881 del 2014), in quanto, secondo quanto precisato dalla controricorrente, non è passata in giudicato, cosicché si tratta di accertamento liberamente valutabile, riguardante, oltretutto, l’imposta di registro per la quale vige un regime particolare: infatti, l’art. 20 del d.P.R. n. 131/1986, come modificato dalla legge n. 205/2017, applicabile retroattivamente, limita l’accertamento « alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra -testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salve le diverse ipotesi espressamente regolate» (Cass. n. 2677 del 2022) .
Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione del combinato disposto dell’art. 24
l. n. 4/1929, dell’art. 52 comma 6 d.P.R. n. 633/1972, dell’art. 7 e dell’art. 12 comma 7 l. n. 212/2002, dell’art. 42 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 24 Cost. per « Illegittimità degli impugnati avvisi di accertamento n. TK501M105346 e prot. N. 2017/170664 relativi a NOME COGNOME in quanto emessi in difformità dalle conclusioni cui era giunto il PVC del 21.12.2015». Il ricorrente denunzia una violazione del diritto di difesa attesa la divergenza tra la pretesa accertata dal PVC (‘proventi illeciti’ percepiti dal COGNOME in euro 870.184,00), e quella addebitata con l’avviso n. CODICE_FISCALE (‘proventi illeciti’ pari ad euro 14.630,184). Oltre a ciò, si rileva che con l’avviso prot. 2017/170664 era stata contestata la responsabilità ex art. 36 commi 3 e 4 del d.P.R. n. 602/1973 e dell’art. 2495 comma 2 c.c. cioè quale socio e amministratore di fatto della società per somme ricevute nei due anni precedenti, avanzando una responsabilità fiscale nuova e non prevista nel PVC.
8.1. La prima questione è infondata. Il fatto che l’atto impositivo sia stato emesso e notificato per un importo superiore a quello prospettato nel processo verbale di constatazione non integra violazione dei diritti di difesa del contribuente, perché gli avvisi di accertamento si fondano comunque sui fatti e le circostanze oggetto del PVC. Invece, non è sorretta da alcun interesse la questione relativa all’altro avviso di accertamento prot. 2017/170664, già oggetto del secondo motivo di ricorso che è stato accolto.
Con il nono motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’ art. 2495, comma 2 c.c. dell’art. 36, commi 3, 4 del d.P.R. n. 602/1973 oltre che dell’art. 2697 c.c. per « Illegittimità dell’avviso di accertamento prot. N.2017/170664 relativo a NOME COGNOME. Insussistenza della responsabilità di costui per i presunti debiti IRES, IRAP e IVA del 2011 della disciolta RAGIONE_SOCIALE». Il motivo
resta assorbito nell’accoglimento del secondo motivo con riguardo all’atto in questione.
Conclusivamente, accolto il secondo motivo nei limiti sopra indicati, assorbito il nono e rigettati gli altri, può decidersi nel merito, ai sensi dell’art. 384 comma 2 c.p.c., annullandosi l’avviso di accertamento prot. N.2017/170664 emesso nei confronti di NOME COGNOME.
Sussistono i presupposti, vista la parziale reciproca soccombenza, per compensare le spese.
p.q.m.
accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti in motivazione, assorbito il nono motivo e rigettati gli altri, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla l’avviso di accertamento prot. N.2017/170664 emesso nei confronti di NOME COGNOME;
compensa le spese. Così deciso in Roma, il 09/10/2024.