Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25733 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25733 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 20/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14134/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (LNZCLD61C27F205I)
-ricorrente-
contro
COMUNE DI MILANO, con l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sede di MILANO n. 4541/2017 depositata il 10/11/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Milano ha notificato alla società RAGIONE_SOCIALE quattro avvisi di accertamento e altrettanti avvisi di irrogazione di sanzioni per il parziale pagamento della TARSU, in seguito ad una denuncia ritenuta infedele, relativamente ad immobile a uso commerciale, per il quale la società aveva indicato erroneamente la categoria tariffaria n. 5 (relativa a esercizi con bassa produzione di rifiuti), mentre, in base all’attività effettivamente svolta, l’immobile è stato ritenuto dall’amministrazione rientrare nella categoria n. 7 (riferita a esercizi con alta produzione di rifiuti, come ferramenta, faidate, ecc.). L’errore era dovuto al fatto che l’attività di vendita al dettaglio, svolta in modo non separato nello stesso spazio, comportava una maggiore produzione di rifiuti rispetto a quanto dichiarato.
La società contribuente ha proposto ricorso e, con sentenza n.6887/2016, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano lo ha respinto.
La contribuente ha interposto appello e con la sentenza in epigrafe indicata, la CTR di Milano ha confermato la sentenza impugnata. In particolare, ha stabilito che il termine di decadenza per l’accertamento TARSU decorre dal momento in cui l’ ente scopre la violazione e non dalla data della denuncia originaria e quindi il Comune aveva rispettato tale termine, poiché gli accertamenti riguardano il quinquennio precedente al 2014, anno in cui è stato effettuato il controllo. Nel merito, la CTR ha confermato la correttezza della riclassificazione dell’immobile dalla categoria tariffaria n. 5 a quella n.
7, secondo quanto previsto dal Regolamento TARSU, atteso che la categoria n. 7 si applica a esercizi con elevata produzione di rifiuti, rivolti a un pubblico vario, compresi privati e partite IVA, come nel caso della società, che opera come centro bricolage. La categoria n. 5, che è invece riservata ai grossisti, è stata ritenuta inappropriata, anche in base alla pubblicità della società che si promuoveva come “grossista con vendita al dettaglio”, evidenziando così la prevalenza della vendita al dettaglio.
Avverso la suddetta sentenza di gravame la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 4 motivi, cui ha resistito con controricorso il comune.
Successivamente la società ricorrente e il comune controricorrente hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli art. 1, comma 161, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007), 1334 e 1335 del codice civile e 21bis della legge n°241/1990.
1.1. RAGIONE_SOCIALE contesta la validità degli avvisi di accertamento relativi al 2009, notificati il 9 gennaio 2015, sostenendo che, in base all’art. 1, comma 161, della Legge 296/2006, il termine di decadenza per la notifica scadeva il 31 dicembre 2014. La società afferma, in particolare, che la notifica è efficace solo quando giunge al destinatario e che, essendo avvenuta fuori termine, l’Ufficio sarebbe decaduto dal potere di accertamento. Contesta inoltre la tesi della CTR secondo cui il termine decorre dalla scoperta della violazione, ritenendo invece applicabile la scadenza ordinaria legata all’anno d’imposta.
1.2. Il motivo non può essere accolto.
1.3. Come dedotto dal controricorrente, anche nella materia tributaria per l’amministrazione vale il termine della spedizione, per principio giurisprudenziale ormai riconosciuto: ‹‹ Ciò è quanto si desume dal principio generale affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n.477/02 in sede di dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’articolo 149 cod.proc.civ. per le notificazioni a mezzo posta; poi recepito dal legislatore nell’ultimo comma dell’articolo 149 cit. e – segnatamente in materia tributaria – dal sesto comma dell’articolo 60 d.P.R. 600/73 (aggiunto dall’art.37, co.27 lett. f) del d.I.223/06, conv.in1.248/06), in base al quale “qualunque notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione; i termini che hanno inizio dalla notificazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto”›› (Cas s. 4/05/2016, n. 8867).
1.4. La CTR ha quindi correttamente applicato la disposizione, ritenendo che la notifica fosse tempestiva.
1.5. Il motivo va rigettato.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta, in relazione al l’ art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione del l’ art. 23 del regolamento TARSU del Comune di Milano (delibera del consiglio comunale di Milano n. 240 del 23 giugno 1994 e smi) e del l’ art. 68, comma 2, del D.Lgs. n. 507 del 1993.
2.1. RAGIONE_SOCIALE contesta, nello specifico, la decisione della CTR nella parte in cui ha ritenuto corretta l’attribuzione dei suoi locali alla categoria 7 della TARSU, anziché alla categoria 5, sostenendo di svolgere attività di commercio all’ingrosso di materiale elettrico. Secondo la società, la categoria 5 si applica agli esercizi all’ingrosso indipendentemente dal tipo di merce venduta, mentre la categoria 7 riguarda attività al dettaglio con alta produzione di rifiuti. Inoltre, si contesta l’uso da parte del Comune di prontuari interni non previsti dal
regolamento comunale e sottolinea che la propria natura di grossista è confermata dal codice ATECO e dai registri fiscali.
2.2. La censura è inammissibile perché non si può prospettare una censura di violazione di legge sulla base di accertamenti in fatto (in tesi) erronei: come ripetutamente rimarcato dalla Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499).
2.3. Il motivo va quindi dichiarato inammissibile.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta , in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame dei documenti nn. 26, 27, 28 e 29 di parte ricorrente in primo grado.
3.1. La CTR avrebbe erroneamente ritenuto prevalente l’attività di vendita al dettaglio rispetto a quella all’ingrosso, omettendo di esaminare documenti decisivi che dimostravano il contrario. In particolare, i documenti contabili prodotti in primo grado eviden zierebbero che, tra il 2009 e il 2012, le vendite all’ingrosso
superavano di gran lunga quelle al dettaglio. La società richiama in proposito il principio di prevalenza dell’attività, applicabile in materia TARSU, secondo cui, in caso di attività miste, la tariffa va determinata in base all’attività principale. Tale c riterio, secondo RAGIONE_SOCIALE, è stato anche recepito dal Comune di Milano nel successivo regolamento TARES. Infine, contesta che la CTR abbia frainteso lo slogan pubblicitario (“grossista con vendita al dettaglio”), che confermerebbe semmai il carattere accessorio del dettaglio.
3.2. La censura è inammissibile.
3.3. Quanto al dedotto omesso esame di fatti decisivi, questa Corte ha chiarito (cfr. Cass. 13/01/2017, n. 743; 14/12/2018, n. 32436; 14/12/2018, n. 32437) che nell’ipotesi di «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter, quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione -per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.» (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. Sez. U. 21/09/2018, n. 22430). Nella specie, la doglianza è inammissibile poiché le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (c.d. doppia conforme), si fondano sulle medesime ragioni di fatto e, del resto, parte ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario. Al più, si tratterebbe comunque di documenti probanti, ma non per questo decisivi nel senso del certo sovvertimento dell’esito della lite.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce infine, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per omissione di pronuncia sulla domanda di annullamento del provvedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative per infedele dichiarazione.
4.1. Si lamenta, in particolare, che la CTR abbia omesso di pronunciarsi su una specifica domanda subordinata: quella inerente l’annullamento dei soli provvedimenti sanzionatori per infedele dichiarazione, proposta sia in primo grado che in appello. Secondo la società, tale omissione viola l’art. 112 c.p.c. e comporta la nullità della sentenza. La società evidenzia l’autonomia del provvedimento sanzionatorio, che può essere annullato anche se l’accertamento è confermato, specie in presenza di buona fede, incertezza normativa, e uso da parte del Comune di prontuari interni non accessibili ai contribuenti. Richiama infine l’art. 10 dello Statuto d el Contribuente, sostenendo che l’errore dichiarativo era comprensibile e in buona fede.
4.2. La censura va considerata nei seguenti articolati termini.
4.3. Effettivamente la CTR non ha offerto risposta specifica sulla questione subordinata in analisi.
4.4. Parte contribuente sosteneva, nel dettaglio, che la collocazione delle superfici in uso ad RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO Milano, in categoria 7 non fosse di immediata percezione per il contribuente, tant’è che la stessa difesa del Comune di Milano, per legittimare la rettifica, si era richiamata a prontuari interni in uso al personale amministrativo (p. 10 controdeduzioni Comune del 14-4-2016 avanti alla CTP Milano, a legato T) ma non fruibili dai contribuenti. Evidenziava anche che almeno a far data dal 2000 ELMAM aveva regolarmente pagato la tariffa di cui alla cat. 5 senza che l’amministrazione avesse mai sollevato obiezioni di sorta, ingenerando affidamento. Infine, che gli avvisi impugnati scaturivano – a voler tutto concedere – dall’oscurità delle categorie di cui all’art. 23 del Regolamento comunale che si pongono in distonia con il D.Lgs. n. 503 del 1997.
4.5. La CTR ha effettivamente omesso di pronunciarsi sulla censura relativa alla inapplicabilità della sanzione, ma si tratta di una questione di interpretazione delle norme impositive di riferimento che, ad avviso di questa Corte, non crea incertezza. Né assume rilievo, sul punto, la percezione soggettiva del singolo contribuente.
4.6. L ‘omissione della pronuncia è dunque irrilevante in quanto non fondata nel merito.
4.7. Invero, va ribadito che in tema di sanzioni per violazioni di norme tributarie, la “incertezza normativa oggettiva tributaria” è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Peraltro, il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva può essere desunto dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di “fatti indice”, quali ad esempio: 1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficolta di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficolta di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di
norma implicita preesistente (Cass. 17/05/2017, n. 12301 (Rv. 644141 – 01); Cass. 12/04/2019, n. 10313).
Questa Corte ha anche chiarito che l’incertezza normativa oggettiva – causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992 – postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, sono capaci di interpretazione normativa qualificata, né all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il poteredovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione; ne consegue che la condizione di obiettiva incertezza normativa consiste, pertanto, in un’oggettiva impossibilità, accertabile esclusivamente dal giudice, d’individuare la norma giuridica in cui sussumere un caso di specie, mentre resta irrilevante l’incertezza soggettiva, derivante dall’ignoranza incolpevole del diritto o dall’erronea interpretazione della normativa o dei fatti di causa (Cass. 06/06/2025, n. 15144 (Rv. 675086 – 02)).
4.8. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 10/09/2025 .
Il Presidente NOME COGNOME