Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4712 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4712 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 22/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3554/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da se medesimo (LCRRNT75T09F839T)
-ricorrente-
contro
COMUNE DI NAPOLI, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOMENDRNTN72E22I163X) unitamente all’avvocato COGNOME NOME (FRNNVN72C45F158A)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO CAMPANIA n. 6366/2022 depositata il 29/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Napoli ha notificato un avviso di accertamento per la TARI (Tassa sui Rifiuti) relativa all’anno 2018, per
omesso/parziale versamento della TARI per l’annualità 2018, relativo ad immobile di sua proprietà.
1.1. Il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) lamentando il mancato accertamento istruttorio preventivo da parte del Comune nella determinazione della superficie tassabile ; l’e rrata quantificazione della superficie assoggettata a tassazione, il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento e la mancata applicazione della riduzione del 40% prevista dal Regolamento TARI per le utenze distanti più di 1000 metri dal centro di raccolta.
La CTP ha respinto il ricorso del contribuente, il quale ha proposto appello alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado
2.1. Il giudice del gravame ha confermato la sentenza di primo grado, rigettando l’appello e condannando COGNOME al pagamento delle spese processuali.
In particolare la CTR, a fronte della censura inerente la violazione di legge per l’assenza di accertamento preventivo e l’erroneità delle superfici considerate ha ritenuto che l’invito a presentare documenti, l’invio di questionari e l’accesso ai locali sono facoltà dell’Ente e non obblighi a precedere l’attività di accertamento, e che l’accertamento può essere effettuato in base a presunzioni semplici, come previsto dall’art. 2729 del Codice Civile, in caso di mancata collaborazione del contribuente. Con riguardo alla censura di omessa motivazione in merito all’errata quantificazione della superficie e di mancata allegazione dei documenti utilizzati per calcolare la superficie tassabile, la CGT di secondo grado ha ritenuto che l’errore nell’indirizzo sia un mero errore materiale, irrilevante ai fini della legittimità dell’atto, in quanto i dati catastali identificano correttamente l’immobile precisando altresì che l’obbligo di allegazione è limitato agli atti specifici richiamati nella motivazione e non agli atti generali come le delibere comunali o agli atti istruttori già conosciuti dal contribuente.
Infine, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 25 del Regolamento TARI per mancata applicazione della riduzione del 40%, cui il contribuente sostiene di aver diritto in quanto la sua utenza dista più di 1000 metri dal centro di raccolta rifiuti, il giudice del gravame ha rilevato che, secondo l’art. 26 del Regolamento TARI, i contribuenti sono tenuti a dichiarare ogni circostanza rilevante per l’applicazione del tributo, inclusa la sussistenza delle condizioni per ottenere riduzioni, mentre nel caso di specie non è stata presentata la dichiarazione TARI né comunicata la distanza dal centro di raccolta.
Avverso tale decisione della CGT di secondo grado parte soccombente ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi.
Si è costituita la parte controricorrente.
Sono state depositate dal ricorrente memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza, l’ error in iudicando , la falsa ed erronea interpretazione di legge, la carente istruttoria, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione dell’art 6 , L. 212/2000 ed art. 32 Regolamento Comunale Tari. Il ricorrente deduce la nullità della sentenza per omesso accertamento delle superfici tassabili, atteso che il Comune ha utilizzato i dati catastali per determinare la superficie imponibile senza effettuare un’adeguata istruttoria, violando l’art. 32 del Regolamento TARI e l’art. 6 dello Statuto del Contribuente.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza, l’ error in iudicando , la falsa ed erronea interpretazione di legge, la carente istruttoria, ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 2697 c.c. in combinato disposto con i l comma 647 della L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, e dell’art 6 della L. 212/2000. Il contribuente contesta l’indirizzo dell’immobile riportato nella planimetria fornita dal Comune, sostenendo che non corrisponde al suo effettivo indirizzo di residenza.
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
3.1. Deve rilevarsi che la censura si risolve, sostanzialmente, in una inammissibile richiesta di una diversa, e più favorevole al ricorrente, valutazione del materiale probatorio acquisito al giudizio di merito ( ex multis , Cass. 18/04/2024, n.10510).
3.2. In ogni caso, contrariamente all’assunto di parte ricorrente, deve ritenersi che l’art. 32 del Regolamento TARI del Comune di Napoli attribuisca all’Ente la facoltà, e non l’obbligo, di richiedere documenti o effettuare sopralluoghi per determinare la superficie tassabile. Nel caso specifico, non essendo stata presentata alcuna dichiarazione TARI da parte del contribuente, l’Ente ha correttamente proceduto all’accertamento d’ufficio basandosi sui dati catastali e applicando la presunzione semplice di cui all’art. 2729 c.c.
3.3. Relativamente alla violazione del comma 647, art. 1, della L. 27 dicembre 2013, n. 147 da leggere in combinato disposto con l’art. 6 della L. 212/2000 la norma prevede che ‘ I comuni comunicano ai contribuenti le nuove superfici imponibili adottando le più idonee forme di comunicazione e nel rispetto dell’articolo 6 della legge 27 luglio 2000, n. 212 ‘, sicch é, in ipotesi di omessa dichiarazione, il dato ben potrà essere comunicato in seno all’ avviso di accertamento non ravvisandosi alcun pregiudizio per i diritti del contribuente.
I n ordine all’ art. 6 dello Statuto del Contribuente, va considerato che le disposizioni in esso contenute – che costituiscono meri criteri guida per il giudice in sede di applicazione ed interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici – non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, con la conseguenza che esse non possono fungere da norme-parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione delle norme tributarie in asserito contrasto con le stesse (vedi Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 16227 del 20/06/2018, Rv.
649197 – 02), non potendosi nella specie rinvenire una causa di nullità dell’atto impositivo.
Sotto altro profilo, l ‘art. 6 dello Statuto del Contribuente costituisce uno strumento partecipativo che deve essere letto e coordinato anche alla luce delle altre disposizioni, quali, ad esempio, l’art. 10, che prevede che ‘I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede’. Tale collaborazione risulta invece del tutto assente da parte del contribuente (il quale ha addirittura omesso la dichiarazione), mentre il ricorso ai dati catastali per la quantificazione da parte dell’amministrazione appare del tutto legittima.
3.4. Non vi è stata, inoltre, alcuna violazione dell’art. 2697 c.c. Difatti, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni. Nella fattispecie in esame, deve riconoscersi invece che il Giudice regionale non ha violato le predette disposizioni.
3.5. Va inoltre condivisa l’obiezione del Comune, che ha rilevato che l’erronea indicazione dell’indirizzo nell’avviso di accertamento costituisce un mero errore materiale, irrilevante ai fini della legittimità dell’atto, in quanto l’immobile è stato correttamente individuato tramite i dati catastali. Come già osservato, in assenza di una dichiarazione TARI da parte del contribuente, l’amministrazione ha correttamente utilizzato i dati catastali per determinare la superficie imponibile, applicando la presunzione semplice prevista dalla normativa. L’onere di provare le dedotte discordanze rispetto ai dati utilizzati dall’Ente spetta al contribuente, che non ha invece fornito alcuna prova in tal senso.
3.6. I motivi sono dunque infondati.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza, la falsa ed errata applicazione di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ed in relazione al combinato disposto del l’ art. 1, comma 657, L 147/2013, art. 26 Regolamento Tari Comune di Napoli anno 2018 e 115 e 116 cpc in relazione alla mancata applicazione, da parte del comune, della riduzione tecnica dell’importo dell’imposta per distanza dal punto di conferimento. In particolare, la sentenza sarebbe nulla per la mancata applicazione della riduzione per distanza dal punto di conferimento, cui avrebbe diritto nella misura del 40% perché la sua abitazione si trova a più di 1 km dal centro di raccolta, come dimostrato dai rilievi satellitari depositati in giudizio.
4.1. Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
4.2. La censura si risolve innanzitutto in una inammissibile richiesta di una diversa, e più favorevole al ricorrente, valutazione del materiale probatorio acquisito al giudizio di merito e, ancor prima, in una diversa ricostruzione del fatto storico oggetto di causa (Cass., 28/05/2024, n. 14843).
4.3. È inoltre viziata da mancanza di autosufficienza. Costituiva onere della parte ricorrente, allegare l’avvenuta deduzione delle questioni innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto (Cass., 28/05/2024, n. 14843), onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 20694/2018, 15430/2018, 23675/2013), come, viceversa, non è avvenuto. Non è nemmeno indicata la localizzazione degli atti di riferimento all’interno del processo.
Il ricorso va, conseguentemente, respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, bisogna dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 1.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed in euro 600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 29/01/2025.