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Accertamento TARI: legittime le presunzioni

Una società di gestione di uno stabilimento balneare ha contestato un avviso di accertamento TARI, sostenendo che il Comune avesse calcolato una superficie imponibile eccessiva basandosi su mere presunzioni. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che l’uso di presunzioni semplici (come fotografie aeree) è legittimo quando il contribuente non coopera e impedisce l’accesso ai funzionari per la verifica diretta. In tal caso, l’onere di provare la reale estensione delle aree imponibili ricade sul contribuente stesso.

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Pubblicato il 29 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento TARI: Cosa Succede se si Nega l’Accesso al Comune?

L’accertamento TARI (Tassa sui Rifiuti) rappresenta un momento cruciale nel rapporto tra cittadini, imprese e amministrazione comunale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un aspetto fondamentale: la legittimità dell’uso di presunzioni da parte del Comune per determinare la superficie imponibile, qualora il contribuente ostacoli i controlli. La decisione sottolinea l’importanza della collaborazione e le conseguenze di un atteggiamento non cooperativo, che può portare a un accertamento basato su elementi indiretti come fotografie aeree.

I Fatti del Caso

Una società che gestisce uno stabilimento balneare si è vista notificare un avviso di accertamento per la TARI relativa all’anno 2014. Il Comune contestava una superficie imponibile di quasi 6.000 mq, un’area che la società riteneva largamente superiore a quella reale. La ragione di tale estesa superficie risiedeva, secondo l’ente locale, nella presenza di un’attività di ristorazione non dichiarata all’interno della struttura balneare, la cui superficie era stata stimata in via presuntiva.

La società ha impugnato l’atto, ma sia la commissione tributaria di primo grado sia la corte di giustizia tributaria di secondo grado hanno respinto le sue doglianze. La controversia è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, con la società che lamentava la violazione delle norme sull’accertamento dei tributi, sostenendo che la tassazione fosse basata su un criterio meramente presuntivo e non su dati reali.

L’importanza della collaborazione nell’accertamento TARI

Il cuore della difesa della società ricorrente si basava sull’illegittimità dell’uso del criterio presuntivo da parte del Comune. Secondo la società, l’ente non poteva determinare un’area imponibile quasi doppia rispetto a quella oggetto di concessione demaniale basandosi solo sulla presunta presenza di un ristorante non dichiarato.

La ricorrente denunciava una violazione dei principi generali in materia di accertamento dei tributi, nonché un omesso esame di fatti decisivi, come l’assenza di elementi presuntivi idonei a legittimare la conclusione del Comune e la presenza, al contrario, di elementi documentali che provavano una superficie inferiore.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, esaminando congiuntamente i motivi del ricorso, li ha ritenuti infondati, rigettando integralmente le pretese della società. I giudici hanno ribadito un principio cardine in materia di tributi sui rifiuti: il presupposto impositivo è la detenzione o l’occupazione di locali e aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti. Sebbene l’onere di provare i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria gravi sull’amministrazione, spetta al contribuente dimostrare l’eventuale diritto a esenzioni, anche parziali.

Il punto cruciale della decisione risiede nell’applicazione delle norme che regolano i poteri dei Comuni in fase di accertamento (in particolare, l’art. 73 del D.Lgs. 507/1993 per la TARSU e gli artt. 692-694 della L. 147/2013 per la TARI). Tali norme stabiliscono che, in caso di mancata collaborazione del contribuente o di altro impedimento alla diretta rilevazione (come il diniego di accesso ai locali), l’accertamento può essere effettuato sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, come previsto dall’art. 2729 del Codice Civile.

Nel caso specifico, la stessa società ricorrente aveva ammesso di aver “impedito ai funzionari incaricati dell’accertamento l’accesso ai propri locali e, in particolare, al lido balneare in gestione”. Questo comportamento ha legittimato il Comune a procedere con un accertamento TARI basato su elementi indiretti, come “le fotografie aeree ed a quelle scattate dall’incaricato, sia pure dall’esterno dello stabilimento”, dalle quali emergeva che l’attività di ristorazione veniva svolta anche sull’arenile.

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili le censure relative all’eccessività della superficie accertata, in quanto si trattava di un’ipotesi di “doppia conforme”, ovvero due sentenze di merito con la stessa valutazione dei fatti, e la ricorrente non aveva specificato le divergenze tra le ragioni di fatto delle due decisioni.

Conclusioni

La decisione della Cassazione offre un importante monito ai contribuenti: la collaborazione con gli enti impositori è un dovere la cui violazione può avere conseguenze significative. Impedire un sopralluogo o non rispondere alle richieste di documenti legittima il Comune a utilizzare strumenti presuntivi per determinare l’imponibile. A quel punto, l’onere della prova si inverte: non è più il Comune a dover dimostrare l’esatta superficie, ma il contribuente a dover provare, con elementi certi, che l’area accertata in via presuntiva è errata. Questa pronuncia rafforza i poteri di accertamento dei Comuni e ribadisce che un comportamento ostruzionistico del contribuente non può tradursi in un vantaggio per quest’ultimo.

Un Comune può usare presunzioni per l’accertamento TARI?
Sì, la legge lo consente espressamente. L’accertamento può essere effettuato in base a presunzioni semplici (gravi, precise e concordanti) in caso di mancata collaborazione del contribuente o di altro impedimento che ostacoli la rilevazione diretta delle superfici.

Cosa succede se un contribuente impedisce un sopralluogo per la TARI?
Se un contribuente nega l’accesso ai funzionari comunali incaricati della verifica, il Comune è legittimato a determinare la superficie imponibile utilizzando elementi indiretti, come fotografie aeree, planimetrie o altri dati a sua disposizione. In questo scenario, l’onere di provare che la superficie accertata non è corretta ricade interamente sul contribuente.

È possibile contestare in Cassazione la superficie accertata con presunzioni se le corti di merito hanno già dato ragione al Comune?
È molto difficile. Se i giudici di primo e secondo grado hanno confermato la valutazione dei fatti (cd. “doppia conforme”), il ricorso in Cassazione per contestare la ricostruzione fattuale è inammissibile, a meno che non si dimostri una palese divergenza nel ragionamento fattuale tra le due sentenze, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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