Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1287 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1287 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
Accertamento parzialeAccertamento successivoPresupposti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6681/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al controricorso, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 6614/2021 depositata in data 14/09/2021, non notificata;
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale del 10 dicembre 2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nella riassunzione del giudizio a seguito di cassazione con rinvio (ordinanza della Corte di cassazione n. 28047/2018) per vizio di motivazione apparente, la Commissione tributaria regionale della Campania accolse l’appello di RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Benevento che aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento TFM030302535 NUMERO_DOCUMENTO per Ires, Irap e Iva anno di imposta 2008, fondato sulle risultanze delle indagini bancarie sui conti correnti dell’ammin istratore unico della società NOME COGNOME.
In particolare, i giudici dell’appello, premesso che l’avviso in questione era stato preceduto da avviso di accertamento parziale, ritenevano che esso non potesse basarsi su atti o fatti già acquisiti e già conosciuti dall’ente impositore fin dall’origine ma non contestati, in quanto tale diversa possibilità pregiudicherebbe il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva, e dovesse invece fondarsi su nuovi elementi atti a giustificarlo; nel caso di specie la motivazione dello stesso avviso di accertamento dimostrava che la documentazione bancaria su cui esso si fondava era già conosciuta dall’ufficio al momento dell’accertamento parziale.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato ad un motivo.
La società contribuente resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 10 dicembre 2024, per la quale la società ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 41 -bis d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 cod. civ. ; assume
infatti che la CTR avrebbe violato i principi posti a base dei rapporti tra accertamento parziale e accertamento successivo, in quanto nel primo vi era una espressa riserva relativa agli accertamenti bancari in corso; inoltre evidenzia che a fronte della presunzione legale la parte non aveva fornito alcuna prova della irrilevanza reddituale dei versamenti contestati.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
2.1. Il tema dei presupposti dell’avviso di accertamento successivo ad un avviso di accertamento parziale emesso ai sensi dell’art. 41 -bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è stato oggetto di plurimi conformi arresti di questa Corte.
Esso prevede, in particolare, che «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche, nonché da segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di Finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazione in società, associazioni e imprese di cui all’art. 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni e agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, nonché l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli artt. 36-bis e 36-ter, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibile, ovvero la maggior imposta da
versare, anche avvalendosi delle procedure previste dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218. Non si applica la disposizione dell’art. 44».
In tema di Iva, disposizione analoga e del tutto sovrapponibile a quella di cui al citato art. 41bis (cfr. Cass. 19/10/2007, n. 21941) è recata dall’art. 54, quinto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a mente del quale, «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 57, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche, nonché dalle segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di Finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di corrispettivi o di imposta in tutto o in parte non dichiarati o di detrazioni in tutto o in parte non spettanti, può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, l’imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante, nonché l’imposta o la maggior imposta non versata, escluse le ipotesi di cui all’art. 54-bis, anche avvalendosi delle procedure previste dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218».
2.2. Questa Corte ha in più occasioni avuto modo di affermare che l’accertamento parziale di cui ai citati artt. 41bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, quinto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, «è uno strumento diretto a perseguire la finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza di attendibili posizioni debitorie», ma non costituisce «un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole», ciò in ragione della premessa introduttiva della disciplina dettata dagli
articoli in questione (applicabili «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’art. 43», quanto all’art. 41bis , e «dall’art. 57», quanto all’art. 54, quinto comma), la quale è deputata a circoscrivere il termine complessivo entro il quale l’Amministrazione può esercitare la potestà accertativa, tenendo distinto il metodo di accertamento con la tempistica dello stesso (cfr. Cass. 28/10/2015, n. 21984; Cass. 7/11/2019, n. 28681; Cass. 1/10/2018, n. 23685; Cass. 4/04/2018, n. 8406). La differenza qualitativa di tale tipo di accertamento rispetto a quello ordinario non discende invero dalla particolare semplicità della segnalazione, potendo esso basarsi anche su una verifica generale (vedi Cass. 12/05/2006, n. 11057; Cass. 7/02/2008, n. 2833; Cass. 5/02/2009, n. 2761; Cass. 22/01/2010, n. 1150), bensì dalla disponibilità, in capo all’Amministrazione, di elementi (non necessariamente provenienti da segnalazione di soggetti ad essa estranei, ben potendo derivare anche da fonti interne) idonei a dare contezza della sussistenza, a qualsiasi titolo, di attendibili posizioni debitorie, senza richiedere, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di un ufficio valutativo ulteriore rispetto a quello che si risolve nel recepire e fare proprio il contenuto della segnalazione o lo svolgimento di ulteriori attività di approfondimento (appannaggio di accertamenti più complessi), valendosi di una «sorta di automatismo argomentativo» indotto da quelle fonti di conoscenza, per modo che il confezionamento dell’atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione senza necessità di ulteriore approfondimento (cfr. Cass. 23/12/2014, n. 27323; Cass. 10/02/2016, n. 2633).
Orbene, nella giurisprudenza di questa Corte è ritenuto pacifico che la locuzione che, aprendo le disposizioni di cui ai citati artt. 41bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 d.P.R. n. 633 del 1972, fa salva l’ulteriore azione di accertamento nei termini di decadenza previsti, faccia riferimento a pretese dell’Ufficio fondate su fonti diverse da quelle
prese a base dall’accertamento parziale o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’Ente impositore, sia sopravvenuta all’accertamento (sul punto Cass. 4/08/2010, n. 18065; Cass. 4/12/2020, n. 27788; Cass. 22/04/2022, n. 12854). E ciò non in ragione dell’applicazione degli artt. 43, quarto comma, d.P.R. n. 600 del 1973, e 57, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di accertamento integrativo, stante la non sovrapponibilità di tale istituto con quello dell’accertamento parziale, siccome dettati per diverse finalità e soggetti a differenti discipline (vedi Cass. 1/10/2018, n. 23685; anche Cass. 28/10/2015, n. 21992), bensì in applicazione del principio di tendenziale unicità che connota gli accertamenti, di cui i due strumenti previsti dagli artt. 41bis e 43 d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, quinto comma, e 57, quarto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 costituiscono deroga.
Ne consegue che l’accertamento susseguente a quello parziale non può basarsi su atti o fatti acquisiti e già conosciuti dall’ente impositore fin dall’origine ma non contestati, ma deve necessariamente fondarsi su nuovi elementi atti a giustificarlo, non essendo ammissibile un accertamento a singhiozzo, senza che di essi debba darsi indicazione in modo specifico a pena di nullità, come invece sancito dall’art. 43 del citato d.P.R.
2.3. Tali principi in diritto sono stati espressamente richiamati dalla CTR per cui le censure sul punto dell ‘ interpretazione dei dati normativi sono infondate.
La censura, invero appena abbozzata nel corpo del motivo, secondo cui nel caso di specie non si tratterebbe di elementi già noti all’ufficio , appare invece una censura in fatto, connessa alla interpretazione della motivazione dell’avviso di accertamento; sul punto la parte avrebbe dovuto specificare, nelle censure, i canoni ermeneutici in concreto violati e in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se
ne sia discostato, essendo l’interpretazione degli atti amministrativi riservata a quest’ultimo ed essendo il suo apprezzamento sindacabile in sede di legittimità per violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione ove illogica od incongrua, sì da consentire il controllo del procedimento logico adottato, senza, che, peraltro, l’interpretazione fornita debba essere l’unica o quella astrattamente migliore (per tutte, Cass. 18/05/2016, n. 10271).
Il motivo è poi inammissibile laddove censura il mancato assolvimento dell’onere di prova contraria gravante sul contribuente a fronte delle risultanze delle indagini bancarie, questione relativa al merito dell’accertamento, non esaminata dalla CTR che, co me visto, ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti per l’emissione dell’avviso.
Concludendo, il ricorso va rigettato.
Alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese.
La soccombenza di una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, determina che non si applichi l’art. 13 , comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
rigetta il ricorso; c ondanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di lite in favore di RAGIONE_SOCIALE, spese che liquida in euro 7.000,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15 per cento ed accessori.
Così deciso in Roma in data 10 dicembre 2024.