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Accertamento studi di settore: quando è legittimo?

La Corte di Cassazione ha stabilito la legittimità di un accertamento fiscale basato su studi di settore nei confronti di una società in contabilità ordinaria. La decisione si fonda sul fatto che l’accertamento non si basava esclusivamente sugli studi di settore, ma anche su altre irregolarità contabili e sulla presenza di lavoratori non dichiarati, emerse durante una verifica della Guardia di Finanza. Secondo la Corte, in questi casi, non è obbligatorio il contraddittorio preventivo, che è invece richiesto solo quando l’accertamento si fonda unicamente sui risultati degli studi di settore. La regolarità formale delle scritture contabili, quindi, non è sufficiente a precludere questo tipo di accertamento se altri elementi ne minano la credibilità.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento studi di settore: la Cassazione chiarisce i limiti

L’accertamento studi di settore rappresenta da sempre un tema delicato nel contenzioso tributario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sui presupposti di legittimità di tale strumento, specialmente quando utilizzato nei confronti di imprese in contabilità ordinaria e in presenza di altre irregolarità. La pronuncia analizza il confine tra l’obbligo del contraddittorio preventivo e la facoltà dell’amministrazione di procedere all’accertamento sulla base di un quadro probatorio complesso.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata, operante nel settore della fabbricazione di macchine agricole e soggetta al regime di contabilità ordinaria, riceveva un avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2003. L’Agenzia delle Entrate, sulla base di un processo verbale di constatazione (p.v.c.) della Guardia di Finanza, contestava un maggior reddito ai fini Irpeg, Irap e Iva, utilizzando lo strumento degli studi di settore. La verifica fiscale, di carattere parziale, aveva fatto emergere non solo una discrepanza rispetto ai parametri di settore, ma anche specifiche “irregolarità contabili e lavoratori irregolari”.

La società impugnava l’atto, sostenendo l’illegittimità del procedimento per due motivi principali: l’omissione del contraddittorio preventivo e l’impossibilità di applicare gli studi di settore a un’impresa con contabilità ritenuta regolare. Se in primo grado la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, dando ragione all’Agenzia delle Entrate. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e l’accertamento studi di settore

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della società, confermando la legittimità dell’operato dell’Amministrazione Finanziaria. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: l’obbligo di instaurare un contraddittorio preventivo con il contribuente, a pena di nullità dell’atto, sussiste solo quando l’accertamento studi di settore si fonda esclusivamente sull’applicazione di tali parametri.

Quando, invece, l’accertamento si basa anche su altri elementi giustificativi, come nel caso di specie, dove erano state riscontrate irregolarità contabili e lavoro sommerso, tale obbligo viene meno. La Corte ha ritenuto che questi elementi aggiuntivi costituissero già una base sufficiente per minare la credibilità della contabilità aziendale, legittimando così l’azione del Fisco.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si articola su diversi punti chiave:

1. Natura Mista dell’Accertamento: I giudici hanno sottolineato che l’atto impositivo non derivava unicamente dalla discrepanza con gli studi di settore. Il p.v.c. della Guardia di Finanza aveva documentato “specifici dati ed elementi dotati per la loro tipologia e rilevanza… di un alto grado di attendibilità”. Queste prove (irregolarità contabili e di lavoro) fornivano un fondamento autonomo all’accertamento, mentre gli studi di settore erano stati utilizzati principalmente per quantificare il maggior reddito presunto. In un contesto simile, l’accertamento non è “esclusivamente” basato sugli studi di settore, e le garanzie procedurali specifiche per questi ultimi non sono più un requisito indispensabile.

2. Limiti all’Obbligo di Contraddittorio: La Cassazione ha ribadito la sua giurisprudenza distinguendo tra tributi “armonizzati” (di derivazione UE, dove il contraddittorio è un principio generale) e “non armonizzati” (come le imposte dirette e l’Irap del caso in esame). Per questi ultimi, l’obbligo di contraddittorio preventivo esiste solo se espressamente previsto dalla legge. La normativa sugli studi di settore (art. 10, L. 146/1998) impone il contraddittorio, ma, come detto, solo nelle ipotesi di accertamento basato unicamente su di essi.

3. Superamento della Regolarità Formale della Contabilità: Il ricorso della società si basava sull’idea che, in regime di contabilità ordinaria, gli studi di settore potessero essere applicati solo in caso di grave inattendibilità delle scritture. La Corte ha affermato che la procedura di accertamento standardizzato (come quella tramite studi di settore) è un sistema autonomo che può affiancare quello analitico-induttivo. La presenza di irregolarità, anche se non tali da invalidare l’intera contabilità, è sufficiente a giustificare il ricorso a strumenti presuntivi per “verificare la reale credibilità della contabilità superando la barriera della regolarità di quest’ultima”.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre una lezione importante per imprese e professionisti. La tenuta di una contabilità formalmente regolare non costituisce uno scudo invalicabile contro un accertamento studi di settore. Se durante una verifica emergono altri elementi gravi, precisi e concordanti che suggeriscono l’esistenza di redditi non dichiarati (come discrepanze documentali o lavoro nero), l’Amministrazione Finanziaria è legittimata a utilizzare gli studi di settore come strumento per ricostruire il reddito, senza essere vincolata all’obbligo di un contraddittorio preventivo. La credibilità sostanziale, e non solo formale, delle scritture contabili rimane il fattore decisivo.

L’Amministrazione Finanziaria può usare gli studi di settore per un’impresa in contabilità ordinaria?
Sì, può farlo. Anche se l’impresa è in contabilità ordinaria, l’utilizzo degli studi di settore è legittimo se emergono elementi (come irregolarità contabili o lavoratori non dichiarati) che mettono in dubbio l’attendibilità e la credibilità delle scritture contabili, superando la loro regolarità meramente formale.

Il contraddittorio preventivo è sempre obbligatorio in un accertamento basato su studi di settore?
No, non è sempre obbligatorio. L’obbligo di instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente, pena la nullità dell’atto, sussiste solo nel caso in cui l’accertamento si fondi esclusivamente sull’applicazione degli studi di settore. Se l’accertamento si basa anche su altri elementi giustificativi, questo obbligo non opera.

Un accertamento fiscale può basarsi sia su irregolarità contabili sia sugli studi di settore?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che un accertamento è pienamente legittimo quando si fonda su un insieme di prove, incluse le irregolarità riscontrate durante una verifica fiscale (es. p.v.c. della Guardia di Finanza) e, per la quantificazione del maggior reddito, i risultati degli studi di settore. In questo scenario, i diversi elementi si rafforzano a vicenda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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