Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32693 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32693 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Oggetto: Tributi
Ires, Irap e Iva 2006
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 4955 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto Da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso dall’Avv.to NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 4318/28/2015, depositata in data 21 luglio 2015, non notificata. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2024 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
1RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , propone ricorso, affidato a otto motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , avverso la sentenza n. 13731/11/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma di accoglimento del ricorso proposto dalla suddetta società, esercente commercio all’ingrosso di articoli di ferro e altri metalli, avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva contestato maggior reddito imponibile, ai fini Ires, Irap e Iva, per il 2006, essendo emersa una grave incongruenza dei ricavi dichiarati rispetto a quelli risultanti applicazione dello studio di settore (TM11U).
2. In punto di diritto, per quanto di interesse – riformando la decisione di primo grado di annullamento dell’avviso in questione in quanto basato su scostamenti ritenuti ‘non gravi’ , tenuto anche conto dell’esiguità della percentuale di ricarico applicata – la CTR ha osservato che: 1) dal controllo effettuato per l’anno 2006 nei confronti della società contribuente, l’Amministrazione – individuando l’appartenenza della società prevalentemente al gruppo omogeneo riguardante ‘i punti di vendita con assortimento del despecializzato per una clientela diversificata’ – aveva riscontrato una grave incongruenza dei ricavi dichiarati (pari a euro 3.886.454,00) rispetto a quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore (ricavi complessivi pari a euro 3.967.317,00, avuto riguardo al ricavo puntuale di euro 3.956.465,00 risultante dall’analisi di congruità e ai ricavi di euro 29.850,00 risultanti dall’analisi della normalità ex art. 1, comma 14, della legge finanziaria 2007) con conseguente rilievo (originario) di maggiori ricavi, ai fini delle imposte dirette, di euro 54.393,00 e, ai fini Iva, di euro 80.863,00; secondo l’Ufficio la fondatezza della stima dei ricavi desunta dallo studio di settore era confermata da una serie di circostanze quali l’incongruenza dei ricavi reiterata nel tempo (2004-2008), anomalie nei dati dichiarati reiterate nel tempo (20042008) e, in particolare, incoerenze rispetto all’indicatore economico ‘Rotazione di magazzino’ utilizzato dallo studio di settore, risultato inferiore al
minimo per gli anni 2004-2007 nonché incoerenze rispetto agli indicatori economici ‘Rotazione di magazzino’ e Valore aggiunto per addetto utilizzati nello studio di settore, per il 2008 ; l’Agenzia aveva, quindi, determinato il maggiore imponibile contestato nell’avviso di accertamento – da ritenersi legittimo e ben motivato- tenendo conto delle osservazioni della contribuente sentita in contraddittorio, e considerando che i dati dichiarati da quest’ultima denotavano una condotta antieconomica della stessa nel corso di vari anni, stante la misura irrisoria dell’utile dichiarato (in particolare , nel 2006, di soli euro 28.505,00 rispetto ai ricavi superiori a 3,8 milioni di euro).
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., 2697 c.c., 23, 53 e 36 del d.lgs. n. 546/92, 42 del d.P.R. n. 600/73 (pure in combinato disposto tra loro) per avere la CTR -eccedendo i limiti dell’oggetto del giudizio per come definito dalle parti -ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione divenuto privo della motivazione e del fondamento originari consistenti nelle risultanze di uno studio di settore e in ulteriori elementi destinati a rafforzare le prime, non essendo ammissibile il tentativo di mutatio libelli compiuto dall’Agenzia nell’atto di appello , consistente nel riconoscere che quello che aveva emesso come accertamento ex art. 62 sexies del d.l. n. 331/1993, invero, dissimulava un ‘ ordinario accertamento induttivo tout court ‘ , avendo lo scostamento dalla risultanza ‘ricarico medio’ di uno studio di settore e, dunque, l’ass unto comportamento antieconomico della società la funzione di legittimare il ricorso all’accertamento induttivo e non quella di concorrere a confortare un accertamento in base a studi di settore. Pertanto, ad avviso della ricorrente, la CTR avrebbe basato la conferma dell’avviso su una domanda e una causa petendi che l’Agenzia aveva -per quanto inammissibilmente -ritrattato o fatto oggetto di rinuncia nell’atto di appello, nell’atto di tentare una inammissibile mutatio libelli , laddove aveva ‘ ammesso ‘
che la percentuale di ricarico era stata utilizzata quale ‘dato medio’ utile ad un accertamento induttivo tout court .
2. Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 115 c.p.c., 2697 c.c., 23, 53 e 36 del d.lgs. n. 546/92, 42 del d.P.R. n. 600/73 (pure in combinato disposto tra loro) per avere la CTR -eccedendo i limiti derivanti dall’oggetto del giudizio per come definito dalle parti e violando la disciplina in tema di motivazione e prova della pretesa tributaria -confermato l’avviso di accertamento su una domanda e causa petendi consistenti nelle risultanze di uno studio di settore e in ulteriori elementi destinati a rafforzare le prime che l’Agenzia aveva -per quanto inammissibilmente -ritrattato o fatto oggetto di rinuncia nell’appello (per cui non potevano più essere né motivazione né fondamento dell’accertamento) nell’atto di tentare una inammissibile mutatio libelli laddove aveva ‘ ammesso ‘ che la percentuale di ricarico era stata utilizzata quale ‘dato medio’ utile ad un accertamento induttivo tout court e che, dunque, l’assunto comportamento antieconomico della società aveva la funzione di legittimare il ricorso all’accertamento induttivo e non quella di concorrere a confortare un accertamento in base a studi di settore.
3. I primi due motivi -da trattare congiuntamente per connessione, con i quali si denuncia sostanzialmente un vizio di extrapetizione della sentenza impugnata -sono ammissibili, avendo in punto di autosufficienza, la contribuente riportato in ricorso l’atto di appello dell’Agenzia (pagg. 10 -11), e, nel merito, infondati.
3.1. Va premesso che il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione («petitum» e «causa petendi») e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto («petitum» immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso («petitum» mediato) (Cass., 21 marzo 2019, n. 8048; Cass., 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. sez. 5, n. 771 del 2024).
3.2. Merita, altresì, rammentare che è regola fondamentale del diritto tributario quella secondo cui le ragioni poste a base dell’atto impositivo definiscono i confini del giudizio tributario, che è giudizio d’impugnazione dell’atto, sicché l’ufficio
finanziario, dovendo le contestazioni adducibili in sede contenziosa rimanere circoscritte alla motivazione dell’avviso di accertamento, non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse o, comunque, modificare, nel corso del giudizio, quelle individuate dalla suddetta motivazione (Cass. n. 34407 del 2019; n. 9810 del 7/5/2014; Cass. n. 13305 del 9/6/2009; Cass. n. 26458 del 4/11/2008; Cass. 17762 del 12/12/2002). La motivazione dell’atto tributario costituisce, in tale prospettiva, uno strumento essenziale di garanzia del contribuente, soggetto inciso nella propria sfera giuridica dall’amministrazione finanziaria nell’esercizio del suo potere di imposizione fiscale, e si inserisce nell’ambito di quei presidi di legalità che, anche in forza delle norme dello statuto dei diritti del contribuente (v. l’art. 7), assolvono l’essenziale funzione di garantire la conoscenza e l’informazione dello stesso contribuente in ordine ai fatti posti a fondamento della pretesa fiscale e ai presupposti giuridici della stessa, nel quadro dei principi generali di collaborazione, trasparenza e buona fede che devono improntare, in quanto espressivi di civiltà giuridica, i rapporti tra esso e l’amministrazione. Ne derivano due conseguenze: da un lato, che nell’avviso di accertamento, al fine di realizzarne in pieno l’anzidetta finalità informativa, devono confluire tutte le conoscenze dell’ufficio tributario e deve essere esternato con chiarezza, sia pur sinteticamente, l’iter logico-giuridico seguito per giungere alla conclusione prospettata (v. Cass. n. 1905-07); dall’altro, che le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, che è comunque un giudizio d’impugnazione dell’atto, sì che l’ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse e/o modificare, nel corso del giudizio, quelle emergenti dalla motivazione dell’atto (v. già Cass. n. 17762-02). Ciò non esclude, ovviamente, il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa fiscale, né di esercitare d’ufficio alcuni poteri cognitori. Ma sempre che non ne resti alterata la sostanza dell’accertamento in ordine agli elementi da cui esso risulti esser stato informato (v. tra le tante, Cass. n. 25726-09; n. 20398-05; n. 22932-05).
3.3. Posto quanto sopra, come si evince dalla sentenza impugnata e dagli atti difensivi (v. ricorso pagg. 3-5 e controricorso nel quale è trascritta integralmente la motivazione dell’avviso, pagg.7 -12), nella specie, a seguito di un controllo dei ricavi dichiarati dalla società per l’anno 2006, era emersa una ‘grave incongruenza’ rispetto a quelli risultanti dalla applicazione dello studio di settore TM11U relativo all’attività da essa esercitata. I n particolare, l’Amministrazione -individuando l’appartenenza della società prevalentemente al gruppo omogeneo riguardante ‘i punti di vendita con assortimento del despecializzato per una clientela diversificata ‘ – aveva riscontrato una grave incongruenza dei ricavi dichiarati (pari a euro 3.886.454,00) rispetto a quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore (ricavi complessivi pari a euro 3.967.317,00, avuto riguardo al ricavo puntuale di euro 3.956.465,00 risultante dall’analisi di congruità e ai ricavi di euro 29.850,00 r isultanti dall’analisi della normalità ex art. 1, comma 14, della legge finanziaria 2007) con conseguente rilievo originario di maggiori ricavi, ai fini delle imposte dirette, di euro 54.393,00 e, ai fini Iva, di euro 80.863,00; la stima dei ricavi operata dallo studio di settore risultava ‘ulteriormente corroborata’ da specifiche circostanze (incongruenza dei ricavi reiterata dal 2004 al 2008; anomalie nei dati dichiarati reiterate dal 2004 al 2008, in particolare per il 2006, in coerenza rispetto all’indic atore economico ‘Rotazione di magazzino’ utilizzato dallo studio di settore; anomalie nell’adempimento degli obblighi fiscali connessi alla regolare contabilizzazione e dichiarazione dei ricavi e degli elementi rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore; incongruenza reiterata ne l tempo della reddittività dell’impresa; profili riguardanti la posizione reddituale dei singoli soci ) che rafforzavano ‘la elevata probabilità che i ricavi effettivamente conseguiti non fossero stati inferiori a que lli stimati dallo studio di settore’. A seguito di contraddittorio con la società contribuente che aveva eccepito l’inesattezza dello studio di settore compilato con riferimento al codice attività 47.52.10 (commercio al dettaglio) invece del più attinente 46.74.10 (commercio all’ingrosso di articoli in ferro e altri metalli), l’Amministrazione aveva provveduto a rielaborare uno studio di settore che facesse riferimento al codice 46.74.10 (seppure rilevando che la
variegata tipologia di prodotti venduti era, di fatto, ‘antitetica’ al codice attività cui la società aveva fatto riferimento), prescindendo dal valore ‘ irrisorio’ dei maggiori ricavi da rotazione del magazzino (pari a euro 29.850,00) e operando sui soli esiti di congruità (ricavi minimi pari a euro 3.938.000,00) con conseguente accertamento di maggiori ricavi nella somma di euro 51.546,00 (dati dalla differenza tra ricavi accertati di euro 3.938.000,00 e ricavi dichiarati di euro 3.886.454,00) sia ai fi ni delle imposte dirette che dell’Iva in luogo degli originari euro 80.863,00 ai fini Iva e euro 54.393,00 ai fini delle imposte dirette. 3.4. La CTP di Roma, con la sentenza n. 13731/11/14, ha accolto il ricorso della società contribuente ritenendo che l’accertamento fosse basato su rilevazioni di incongruenze ‘non gravi’, tenuto conto, in particolare, dell’esiguità della percentuale di ricarico applicata.
3.5. Con l’atto di appello, l’Agenzia -dopo avere precisato che, nel caso di specie, l’Ufficio , nel corso del contraddittorio, aveva preliminarmente riscontrato l’appartenenza dell’impresa al cluster di riferimento invocato dall’impresa stessa, e aveva provveduto a rielaborare lo studio sulla base della realtà economica espressa dall’impresa, diminuendo i ricavi da studio di settore da euro 80.863,00 a euro 54.393,00 -ha evidenziato che la legittimità dello ‘scostamento comunque accertato’ risultava ulter iormente corroborata da specifiche circostanze ( quale l’incongruenza reiterata della redditività dell’impresa dal 2004 al 2008, con progressiva diminuzione dell’utile di impresa, elemento sintomatico di una condotta antieconomica ) che valevano a rafforzare l’elevata probabilità che i ricavi effettivamente conseguiti non fossero inferiori rispetto a quelli stimati dallo studio di settore. Sempre con riferimento alla ulteriore circostanza della incongruenza reiterata nel tempo della redditività dell’impresa, posta a rafforzamento della stima dei ricavi operata dallo studio di settore, l’Agenzia ha aggiunto che ‘peraltro, il comportamento manifestamente contrario agli ordinari canoni dell’economia e dell’attività di impresa legittimava… l’accertamento induttivo ‘ -anche attraverso gli elementi desunti dalle percentuali di ricarico -e che ‘era, infatti, legittimo fondare l’accertamento di maggiori ricavi d’impresa sulla difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a
quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, nella misura in cui la differenza raggiungesse una soglia di irragionevolezza tale da privare di attendibilità i dati della contabilità della dichiarazione…’ concludendo per ‘la riforma della sentenza impugnata e la conferma della legittimità della pretesa tributaria contestata con l’avviso di accertamento impugnato’.
3.6. È evidente che alcuna rinuncia e/o ritrattazione delle ragioni emergenti dalla motivazione dell’atto impositivo, né tantomeno alcuna (inammissibile) mutatio libelli , è contenuta nell’atto di appello dell’Agenzia , nel quale la stessa si è limitata a ribadire la legittimità dell’accertamento d ei maggiori ricavi (diminuiti da ll’originario rilievo di euro 80.863,00 a euro 54.393,00 sia ai fini delle imposte dirette che dell’Iva ) emersi dalla rielaborazione dello studio di settore in base al cluster di riferimento invocato dalla società, stima ulteriormente corroborata, in particolare, dalla incongruenza reiterata nel tempo (2004-2008) della redditività dell’impresa, sintomatica di una condotta antieconomica, il che rafforzava ‘l’elevata probabilità che i ricavi effettivamente conseguiti n on fossero stati inferiori a quelli stimati dallo studio di setto re’. Da qui la mancata configurabilità del denunciato vizio di extrapetizione, avendo la CTR confermato la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato , senza eccedere i limiti derivanti dall’oggetto del giudizio , non essendo mutate le ragioni poste a fondamento dello stesso.
4. Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., 62-sexies del d.l. n. 331/1993, 39 e 42 del d.P.R. n. 600/73, 7 e 23 del d.lgs. n. 546/92 e 2697 c.c. (pure in combinato disposto tra loro) per avere la CTR -eccedendo i limiti della domanda e di quanto allegato dalle parti -confermato l’avviso di accertamento in questione non soltanto sulla base dello scostamento dai ricavi risultanti dall’analisi della congruità (ricavo minimo di euro 3.937.467,00 e ricavo puntuale di euro 3.956.465,00), ma anche sulla base dei ricavi risultanti dall’ analisi della normalità, ex art. 1, comma 14 della legge finanziaria 2007 (pari a euro 29.850,00) che l’Ufficio non aveva conteggiato nei ricavi accertati, ritenendo di potere prescindere dall’irrisoria entità dei ricavi da rotazione del magazzino cui si riferiva la assunta ‘non
normalità’ dei dati dichiarati dall’impresa; per avere la CTR conseguentemente arbitrariamente rideterminato in aumento rispetto all’entità accertata (di euro 51.546,00, sia ai fini delle imposte dirette che dell’Iva) tanto i maggiori ricavi, ai fini delle imposte dirette e dell’Irap (in euro 54.393,00) che quelli ai fini dell’adeguamento Iva (euro 80.863,00) con ciò confermando l’avviso sulla base di scostamenti plurali (tanto dai ricavi medi che dai ricavi mediamente presumibili in base agli indici di rotazione del magazzino) che non corrispondevano allo scostamento singolare (rispetto ai ricavi medi di settore risultanti dall’analisi di congruità) che l’Agenzia aveva esclusivamente contestato e posto a fondamento dell’impugnato atto impositivo e che, quin di, costituiva esclusiva causa petendi della domanda dell’ Agenzia, quale attore sostanziale. 5. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione della disciplina dei poteri, doveri e limiti di accertamento e statuizione propri del giudice tributario e dell’oggetto del giudizio tributario, nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., 62-sexies del d.l. n. 331/1993, 39 e 42 del d.P.R. n. 600/73, 7 e 23 del d.lgs. n. 546/92 e 2697, 2727 e 2729 c.c. (pure in combinato disposto tra loro) per avere la CTR -eccedendo i limiti della domanda e di quanto allegato dalle parti – confermato l’avviso di accertamento in questione non soltanto sulla base dello scostamento dai r icavi risultanti dall’analisi della congruità (ricavo minimo di euro 3.937.467,00 e ricavo puntuale di euro 3.956.465,00) ma anche sulla base dei ricavi risultanti dall’analisi della normalità, ex art. 1, comma 14 della legge finanziaria 2007 (pari a euro 29.850,00) che l’Ufficio non aveva conteggiato nei ricavi accertati, ritenendo di potere prescindere dall’irrisoria entità dei ricavi da rotazione del magazzino cui si riferiva la assunta ‘non normalità’ dei dati dichiarati dall’impresa; per avere la CTR c onseguentemente arbitrariamente rideterminato maggiori ricavi, in euro 54.393,00, ai fini delle imposte dirette e dell’Irap e in euro 80.863,00, ai fini dell’adeguamento Iva (e non già nella misura accertata di euro 51.546,00, sia ai fini delle imposte dirette che dell’Iva) ; con ciò confermando l’accertamento sulla base di scostamenti plurali (dai ricavi congrui e dai ricavi normali o mediamente presumibili in base agli indici di
rotazione di magazzino) non corrispondenti allo scostamento singolare (incongruenza rispetto ai ricavi medi di settore risultanti dall’analisi di congruità) posto dall’Agenzia a fondamento dell’accertamento in questione, laddove lo scostamento afferente agli indicatori di normalità relativi agli indici di rotazione del magazzino non soltanto non costituiva causa petendi della domanda dell’attore sostanziale ma era stato dalla stessa Agenzia , nel contraddittorio e nella motivazione dell’avviso, ritenuto ‘irrisorio’ e ‘non grave’ al punto di prescinderne, tanto più in relazione ad un accertamento basato su cluster non riferibile (e riconosciuto tale dalla stessa CTR nel precisare che l’impresa era esercente commercio all’ingrosso e non vendita al dettaglio come ritenuto dall’Agenzia) .
5.1. I motivi terzo e quarto -da trattare congiuntamente per connessione -sono inammissibili non essendo attinenti al decisum .
5.2. Invero, nella sentenza impugnata, la CTR -dopo avere precisato che, come si evinceva dalla motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, ‘ l’Agenzia aveva rilevato che, dal controllo effettuato per il periodo di imposta 2006 dei ricavi dichiarati dalla società, in applicazione dello studio di settore TM11U, era emersa una grave incongruenza dei ricavi dichiarati rispetto a quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore. Infatti , i ricavi dichiarati erano di euro 3.886.454,00 mentre i ricavi risultanti dall’analisi della congruità davano un ricavo minimo di euro 3.937.467,00 e un ricavo puntuale di euro 3.956.456,00: i ricavi risultanti dall’analisi della normalità art. 1, comma 14, della legge finanziaria 2007- erano pari a euro 29.850,00; pertanto i ricavi complessivi risultanti dall’analisi di congruità e della normal ità economica erano di euro 3.967.217,00 con conseguenti maggiori ricavi ai fini dell’adeguamento imposte dirette e di Irap di euro 54.393,00 e un maggior volume di affari ai fini dell’adeguamento Iva di euro 80.863 ,00 ‘ e che ‘ l’Ufficio aveva inoltre esposto circostanze che confermavano ..la fondatezza della stima dei ricavi desunti dagli studi di settore e, in particolare, l’incongruenza dei ricavi reiterata nel tempo risultando ricavi non congrui in tutte le annualità dal 2004 al 2008 nonché anomalie nei dati dichiarati reiterate nel tempo emerse relativamente ai periodi
di imposta dal 2004 al 2008 nei modelli dei dati rilevanti per l’applicazione degli studi di settore allegati alla dichiarazione dei redditi . .. nell’avviso si era inoltre riportato un prospetto indicativo di incoerenze rispetto all’indicatore economico Rotazione di magazzino utilizzato dallo studio di settore inferiore al minimo per tutti gli anni dal 2004 al 2007 …’ -ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento impugnato ‘ essendo ineccepibile l’operato dell’Agenzia che aveva sentito in contraddittorio il contribuente e aveva determinato il maggior imponibile tenendo anche conto delle osservazioni del medesimo nonché avendo rilevato che i dati dichiarati dal contribuente de notavano un’attività imprenditoriale caratterizzata da antieconomicità nel corso di numerosi anni stante la misura irrisoria dell’utile dichiarato di euro 28.505,00 in rapporto a ricavi superiori a 3,8 milioni di euro ‘ ; il che significa che il giudice di appello, lungi dal confermare l’accertamento ‘ sulla base di scostamenti plurali ‘ (dai ricavi congrui e dai ricavi normali o mediamente presumibili in base agli indici di rotazione di magazzino) e ‘arbitrariamente rideterminare in aumento i ricavi rispetto all’entità accertata’ , ha ritenuto legittimo l’avviso impugnato in base al quale rispetto al rilievo originario di maggior redditi nell’importo di euro 54.393,00 ai fini delle imposte dirette, e, di euro 80.863,00 ai fini Iva, tenendo conto sia dei ricavi derivanti dall’analisi della congruità che della normalità economica erano stati accertati, all’esito del contraddittorio con la contribuente e facendo riferimento ai soli esiti di congruità (stante la rilevata irrisorietà dello scostamento basato sull’indice di rotazione di magazzino), ricavi pari a euro 51.546,00 sia ai fini delle imposte dirette che dell’Iva.
6. Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR , con una motivazione ‘ tamquam non esset ‘ in quanto irriducibilmente illogica e contraddittoria, ritenuto legittimo l’avviso di accertamento che attestava effettuato in base alle risultanze dello studio di settore relativ e al ‘ cluster ‘ coincidente con quello applicato dall’Agenzia (concernente l’attività di vendita al dettaglio) sebbene avesse, al contempo, affermato che la società contribuente esercitava un’attività (di commercio
all’ingrosso) diversa e oggettivamente estranea a tale cluster . In particolare, ad avviso della ricorrente, la CTR avrebbe, contraddittoriamente e illogicamente, da un lato, precisato, in punto di fatto, che RAGIONE_SOCIALE era una società ‘ esercente commercio all’ingrosso di articoli di ferro e di altri metalli’ e, dall’altro, nel riferire della motivazione dell’accertamento impugnato, della sua origine e del suo fondamento, affermato che l’Agenzia aveva individuato l’appartenenza dell’attività d’impresa della società prevalentemente al gruppo omogeneo ‘ riguardante i punti vendita con assortimento del despecializzato per una clientela diversificata ‘, considerandola, quindi, attività di vendita al dettaglio e collocandola nel diverso e specifico cluster , basandosi sulle relative peculiari risultanze di settore.
7. Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 62-sexies del d.l. n. 331/93,39 e 42 del d.P.R. n. 600/73, 2727 e 2729, comma 1, c.c. (anche in combinato disposto tra loro) per avere la CTR confermato l’accertamento in questione ‘in base a risultanze degli studi di settore’ cui era essenziale la coincidenza tra attività rientrante nel cluster applicato e attività effettivamente esercitata almeno prevalentemente dall’azienda verificata -oggettivamente relative ad un cluster o ‘gruppo omogeneo’ (‘vendita al dettaglio’) divers o da quello proprio dell’azienda accertata considerato che, come precisato in punto di fatto dalla Commissione, l’attività effettivamente esercitata dalla società contribuente era quella di ‘commercio all’ingrosso’ cui corrispondeva un diverso codice -attività e altre risultanze di settore.
8. Con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 62-sexies del d.l. n. 331/1993, 39 e 42 del d.P.R. n. 600/73, 2727 e 2729, comma 1, c.c. (pure in combinato disposto tra loro) per avere la CTR confermato l’accertamento in questione ‘come se fosse basato sulle risultanze di uno studio di settore’ sebbene non fosse il frutto di un raffronto con le risultanze medie di settore relative ad un cluster che si attagliasse all’attività accertata (di commercio all’ingrosso) , bensì l’abnorme risultato di una anomala, extra ordinem rielaborazione dello studio di
settore relativo ad un cluster inapplicabile, qual era quello relativo alla ‘vendita al dettaglio’ (del resto nell’accertamento indicato ‘quale cluster di appartenenza corretta’) e di una ‘rielaborazione dei dati relativi a cluster eterogenei’ (dettaglio-ingrosso), ammessa dalla stessa Agenzia nell’atto di appello .
I motivi quinto, sesto e settimo -da trattare congiuntamente per connessione -sono infondato il quinto e inammissibili il sesto e il settimo in quanto non attinenti al decisum .
9.1. Invero, nella sentenza impugnata, la CTR -dopo avere precisato, nel fare riferimento all’originari a contestazione, che l’Amministrazione ‘ aveva individuato l’appartenenza dell’attività d’impresa della società prevalentemente al gruppo omogeneo riguardante i punti vendita con assortimento del despecializzato per una clientela diversificata ‘ -ha poi ritenuto legittimo l’avviso di accertamento impugnato essendo risultato ‘ ineccepibile l’operato dell’Agenzia che aveva sentito in contraddittorio il contribuente e aveva determinato il maggior imponibile tenendo anche conto delle oss ervazioni del medesimo…’ ; il che significa che è stato confermato dal giudice di appello l’accertamento dei maggiori ricavi nella somma di euro 51.546,00 effettuato dall’Ufficio -come trova riscontro nella motivazione dell’avviso in questione, trascritta integralmente nel controricorso -a seguito di una rielaborazione dello studio di settore sulla base del cluster di riferimento invocato in sede di contraddittorio dall’impresa (46.74.10 relativo al commercio all’ingrosso ) in luogo di quello iniziale individuato dall’Agenzia (47.52.10, relativo al commercio al dettaglio) . 9.2. Ne consegue che alcuna contraddittorietà e/o illogicità è ravvisabile nella motivazione della CTR in quanto, dopo avere affermato, in punto di fatto, che la società contribuente esercitava un’attività di commercio all’ingrosso di articoli di ferro e di altri metalli, lungi dall’avere confermato un accertamento sulla base delle ‘risultanze dello studio di settore relative al cluster coincidente con quello applicato dall’Agenzia concernente l’attività di vendita al dettaglio’ , ha ritenuto legittimo l’avviso con il quale l’Ufficio aveva ‘ determinato il maggior imponibile tenendo conto delle osservazioni della contribuente ‘ sentita in contraddittorio e , dunque, a seguito di una rielaborazione di uno studio di settore che facesse
riferimento, come eccepito da quest’ultima, avuto riguardo alla realtà economica dell’azienda, al codice 46.74.10 (commercio all’ingrosso) in luogo di quello originariamente individuato dall’Ufficio 47.52.10 (commercio al dettaglio).
9.3. Inammissibili si profilano, invece, i motivi sesto e settimo in quanto la CTR, lungi dall’avere confermato l’accertamento in questione ‘in base a risultanze dello studio di settore’ relativ e ad un cluster o ‘gruppo omogeneo’ (‘vendita al dettaglio’) diverso da quello proprio dell’azienda accertata (sesto motivo) ovvero costituente il risultato di una anomala, extra ordinem rielaborazione dello stesso relativa ad un cluster inapplicabile qual era quello relativo alla ‘vendita al dettaglio’ e di una ‘rielaborazione dei dati relativi a cluster eterogenei’ (dettaglio-ingrosso) (settimo motivo) , ha ritenuto legittimo l’avviso con il quale l’Ufficio aveva ‘ determinato il maggior imponibile tenendo conto delle osservazioni della contribuente ‘ e, dunque, a seguito di una rielaborazione di uno studio di settore che facesse riferimento come eccepito, in sede di contraddittorio, dalla contribuente, avuto riguardo alla realtà economica dell’azienda, al codice 46.74.10 (commercio all’ingrosso) in luogo di quello originariamente individuato dall’Ufficio 47.52.10 (commercio al dettaglio) .
10. Con l’ottavo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 62-sexies del d.l. n. 331/1993, 39 e 42 del d.P.R. n. 600/73, 2727 e 2729, comma 1, c.c. per avere la CTR rideterminato in aumento i maggiori ricavi e il maggior volume di affari soltanto sulla base -come eccepito nei gradi di merito -di uno scostamento di scarsa rilevanza (pari a qualche decina di migliaia di euro) dei ricavi ‘milionari’ dichiarati tale da non integrare quella ‘grave incongruenza’ indispensabile per rettificare induttivamente la dichiarazione e quantificare maggiori imponibili senza che ogni ulteriore elemento considerato dal giudice di appello assumesse, a tali fini, una valenza anche solo indiziaria e senza che venissero considerate quelle puntuali giustificazioni -non contestate, se non anche provate agli atti -dello scostamento espresse dalla contribuente fin dal contraddittorio e reiterate nei gradi di merito (crisi del settore specifico di attività dovuta ai noti fatti americani che aveva portato ad una limitazione delle vendite e a una riduzione
dei margini sul singolo prezzo; inizio dei lavori della metropolitana che avevano limitato il traffico sulla zona con conseguenze sulle vendite; crescenti interessi passivi ai quali l’azienda aveva dovuto fare fronte perché costretta sempre a maggiori scoperti di c/c).
10.1. Il motivo si profila inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
10.2. Va premesso che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati -meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività -ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (Cass., Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26635 e, di recente, Cass., 20 giugno 2019, n. 16545; Cass., 15 luglio 2020, n. 14981). Dunque, il procedimento di accertamento standardizzato trova il proprio punto centrale nell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, che consente l’adeguamento degli
standard alla concreta realtà economica del contribuente, determinando il passaggio dalla fase statica (gli standard come frutto dell’elaborazione statistica) alla fase dinamica dell’accertamento (l’applicazione degli standard al singolo destinatario dell’attività accertativa) (cfr. Cass., 15 luglio 2020, n. 14981; Sez. 5, Ordinanza n. 7080 del 2024). In tema di accertamento basato su studi di settore, il requisito della ” grave incongruenza ” di cui all’art. 62-sexies, comma 3, d.l. n. 331 del 1993, conv. con mod. dalla l. n. 427 del 1993, costituisce presupposto impositivo necessario per gli avvisi di accertamento su di essi fondati, senza che assuma rilievo, per gli avvisi notificati successivamente al 1° gennaio 2007, la modifica dell’art. 10, comma 1, l. n. 146 del 1998 operata con l’art. 1, comma 23, l. n. 296 del 2006, in quanto priva di portata innovativa e diretta ad assicurare, secondo una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, una funzione di mera semplificazione e coordinamento normativo attesa l’abrogazione dei commi 2 e 3 del medesimo art. 10, ad opera dell’art. 37, comma 2, lett. b, d.l. n. 226 del 2006, e l’estensione della tipologia di accertamento a prescindere dalla contabilità adottata (Sez. 5 – , Sentenza n. 20608 del 27/06/2022).
10.3. Nella specie, il motivo di ricorso, pur prospettando una violazione di legge, in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento impugnato per avere l’Agenzia delle entrate ‘ determinato il maggiore imponibile tenendo conto delle osservazioni della contribuente nonché avendo rilevato che i dati dichiarati da quest’ultima denotavano un’attività imprenditoriale caratterizzata da antieconomicità nel corso di numerosi a nni stante la misura irrisoria dell’utile dichiarato di euro 28.505,00 in rapporto a ricavi superiori a 3,8 milioni di euro ‘; con ciò apprezzando -con una valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità -la sussistenza del requisito della ‘ grave incongruenza ‘ dei ricavi dichiarati (di euro 3.886.454,00) rispetto ai ricavi accertati (di euro 3.938.000,00) sulla base dei soli esiti di congruità (essendo stata stimata irrisoria l’ entità dei ricavi da rotazione del magazzino cui si riferiva la iniziale assunta ‘non normalità’ dei dati dichiarati dall’impresa) , a seguito della
rielaborazione dello studio di settore facendo riferimento, come eccepito dalla contribuente in sede di contraddittorio, al codice -afferente alla realtà economica dell’impresa -46.74.10 (commercio all’ingrosso) in luogo di quello originariamente individuato dall’Ufficio 47.52.10 (commercio al dettaglio). Peraltro, il riferimento da parte dell’Ufficio alla circostanza della incongruenza reiterata nel tempo della redditività dell’impresa, con esposizione nel 2006 di un utile in misura irrisoria, denotante un comportamento antieconomico, ‘ corroborava ulteriormente ‘ la stima dei ricavi operata in applicazione degli studi di settore. Ciò, peraltro, conformemente al principio di diritto secondo cui « un comportamento del contribuente palesemente antieconomico costituito da un rilevante rapporto deficitario tra valore complessivo dei costi sostenuti e i ricavi dichiarati integra le gravi incongruenze che legittimano l’applicazione degli studi di settore » (Cass., 23 settembre 2016, n. 18666; Sez. 5, Ordinanza n. 7080 del 2024). Peraltro, il giudice di appello , nel ritenere legittimo l’avviso impugnato ha implicitamente disatteso le argomentazioni addotte dalla contribuente nei gradi di merito a giustificazione del rilevato scostamento; al riguardo va ribadito il principio secondo cui la valutazione delle risultanze istruttorie, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 12261 del 2024; Cass. sez. 5, n. 15266 del 2023; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 5.900,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 12 settembre 2024