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Accertamento studi di settore: onere della prova

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che un accertamento studi di settore è illegittimo se l’Ufficio non dimostra una ‘grave incongruenza’ e non considera le giustificazioni del contribuente, come la maternità e l’aumento dei costi. Viene confermato che l’onere della prova grava interamente sull’Amministrazione Finanziaria.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Studi di Settore: L’Onere della Prova è dell’Ufficio

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di accertamento studi di settore: la semplice discrepanza tra i ricavi dichiarati e le stime non è sufficiente a giustificare una rettifica fiscale. L’Amministrazione Finanziaria ha il preciso dovere di dimostrare una ‘grave incongruenza’, tenendo conto delle specifiche circostanze che hanno caratterizzato l’attività del contribuente. Analizziamo insieme questa importante ordinanza che offre tutele concrete ai titolari di piccole imprese.

I Fatti del Caso: Un Accertamento Basato su Presunzioni

Una commerciante al dettaglio di articoli per uso domestico riceveva un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’Ufficio, applicando gli studi di settore, contestava maggiori ricavi per 10.000 euro per l’anno d’imposta 2002, rideterminando di conseguenza IRPEF, IRAP e IVA dovute. La contribuente, ritenendo l’atto illegittimo, impugnava l’avviso.
Dopo un primo giudizio a lei sfavorevole, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva il suo appello, annullando l’accertamento. L’Agenzia delle Entrate, non accettando la decisione, proponeva ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi: uno procedurale relativo ai termini dell’appello e uno di merito, sostenendo la piena legittimità del proprio operato fondato sugli studi di settore.

La Decisione della Corte e l’onere probatorio nell’accertamento studi di settore

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la sentenza di secondo grado favorevole alla contribuente. La decisione si fonda su un punto cruciale: l’onere della prova in caso di accertamento basato sugli studi di settore grava sull’Ufficio. Non è il contribuente a dover dimostrare la correttezza del proprio operato, ma è l’Amministrazione a dover provare la ‘grave incongruenza’ che giustifica la pretesa fiscale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha sviluppato il proprio ragionamento su due pilastri fondamentali, respingendo le argomentazioni dell’Agenzia delle Entrate.

Il Principio della ‘Grave Incongruenza’

Richiamando la normativa di riferimento (art. 62-sexies, d.l. n. 331/1993), i giudici hanno ribadito che la ‘grave incongruenza’ è un presupposto impositivo necessario. L’Ufficio non può limitarsi a constatare uno scostamento numerico. Deve, invece, indicare e chiarire in modo dettagliato e motivato perché tale scostamento sia ‘grave’ e indicativo di un’omissione di ricavi. Nel caso di specie, l’Agenzia non aveva fornito alcuna spiegazione in merito, rendendo il suo atto di accertamento privo di un fondamento essenziale.

Il Valore delle Circostanze Personali del Contribuente

Un altro aspetto decisivo è stata la valutazione delle circostanze concrete. La Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente considerato che la contribuente, nel periodo in esame, aveva affrontato una maternità. Questo evento aveva causato un periodo di attività ‘non normale’ e aveva reso necessaria l’assunzione di un dipendente, con un conseguente aumento dei costi. Questi elementi, secondo la Corte, costituiscono valide giustificazioni per un eventuale scostamento dai parametri statistici degli studi di settore. L’Ufficio, ignorandoli, ha operato una valutazione parziale e illegittima. La valutazione complessiva dei giudici di merito è stata ritenuta ‘assolutamente logica e coerente’.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è di grande importanza pratica per tutti i contribuenti, in particolare per i piccoli imprenditori e i professionisti. Essa sancisce che l’accertamento basato sugli studi di settore non può essere un automatismo presuntivo. L’Amministrazione Finanziaria deve svolgere un’analisi approfondita, motivando specificamente la gravità dell’incongruenza e non può ignorare le valide ragioni, sia personali che aziendali, fornite dal contribuente per giustificare i risultati economici conseguiti. Viene così riequilibrata la posizione tra Fisco e cittadino, ricordando che l’onere di provare la pretesa impositiva spetta sempre e comunque alla parte pubblica.

Su chi ricade l’onere di provare la legittimità di un accertamento basato sugli studi di settore?
L’onere della prova ricade interamente sull’Amministrazione Finanziaria. È l’Ufficio a dover dimostrare l’esistenza di una ‘grave incongruenza’ tra i ricavi dichiarati dal contribuente e quelli risultanti dagli studi di settore, motivando adeguatamente il proprio atto.

Le circostanze personali e aziendali del contribuente possono giustificare scostamenti dagli studi di settore?
Sì. La Corte ha confermato che il giudice di merito ha agito correttamente nel considerare eventi specifici, come una maternità e l’aumento dei costi per l’assunzione di un dipendente, come valide giustificazioni per lo scostamento dai risultati standard, rendendo di fatto l’accertamento illegittimo.

È sufficiente per l’Agenzia delle Entrate invocare uno scostamento dagli studi di settore per rettificare un reddito?
No, non è sufficiente. La Corte ha chiarito che l’Ufficio ha l’obbligo di indicare e spiegare, in termini motivazionali, quale sia la ‘grave incongruenza’ che costituisce il fondamento dell’accertamento analitico-induttivo. La mera presunzione non basta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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