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Accertamento studi di settore: onere della prova

La Corte di Cassazione interviene su un caso di accertamento da studi di settore, chiarendo l’onere probatorio a carico dell’Amministrazione Finanziaria. La vicenda riguarda un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA emesso nei confronti di una società, poi fallita, per l’anno d’imposta 2005. L’Agenzia delle Entrate contestava un’operatività antieconomica basata sui dati degli studi di settore. La Cassazione, accogliendo parzialmente il ricorso dell’Agenzia, ha stabilito che l’ufficio aveva correttamente assolto al proprio onere probatorio indicando gli elementi di anomalia e antieconomicità. Ha quindi cassato la sentenza d’appello, che aveva erroneamente addossato un ulteriore onere probatorio all’Amministrazione, e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per un nuovo esame.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento da studi di settore: la Cassazione definisce l’onere della prova

L’accertamento da studi di settore rappresenta da sempre un tema delicato nel contenzioso tributario. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui confini dell’onere probatorio che grava sull’Amministrazione Finanziaria quando contesta l’antieconomicità della gestione di un’impresa. La decisione chiarisce che, una volta forniti elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, spetta al contribuente dimostrare la correttezza del proprio operato.

Il caso in esame: accertamento e fallimento

La vicenda trae origine da avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate a una società per l’anno d’imposta 2005. Le contestazioni, relative a IRES, IVA e IRAP, si basavano sui risultati di uno studio di settore che evidenziava maggiori ricavi per oltre 350.000 euro e un reddito superiore di circa 165.000 euro rispetto a quanto dichiarato. L’ufficio riteneva che la società operasse con un margine di guadagno irrisorio, configurando una gestione antieconomica.

Parallelamente, venivano emessi avvisi di accertamento anche nei confronti dei soci per i maggiori redditi da partecipazione derivanti dagli utili extrabilancio che si presumevano distribuiti.

La società e i soci impugnavano gli atti, ma i loro ricorsi venivano rigettati in primo grado. Durante il giudizio d’appello, la società veniva dichiarata fallita. Nonostante ciò, il processo veniva riassunto e la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello. L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per cassazione.

La definizione agevolata e la prosecuzione del giudizio

Un aspetto procedurale interessante riguarda la posizione dei soci. Questi ultimi, infatti, hanno aderito alla definizione agevolata delle controversie (la cosiddetta “pace fiscale”), pagando quanto dovuto. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato la cessazione della materia del contendere nei loro confronti. Il giudizio è invece proseguito per la posizione della società, rappresentata dalla curatela fallimentare.

L’accertamento da studi di settore e la decisione della Cassazione

La Corte Suprema ha esaminato i tre motivi di ricorso presentati dall’Agenzia delle Entrate. Mentre il primo motivo, relativo a un vizio di motivazione apparente, è stato respinto, gli altri due sono stati accolti, portando alla cassazione della sentenza d’appello.

Il cuore della decisione si concentra sull’inversione dell’onere della prova operata dal giudice di secondo grado. Quest’ultimo aveva erroneamente richiesto all’Amministrazione Finanziaria una “vera e propria indagine” sull’attività svolta e sulle anomalie di gestione, andando oltre quanto richiesto dalla legge.

le motivazioni

La Cassazione ha chiarito che, nel contesto di un accertamento da studi di settore, l’onere probatorio dell’ufficio si considera assolto quando vengono esplicitati gli elementi anomali che suggeriscono un’antieconomicità della gestione. Nel caso specifico, l’avviso di accertamento, trascritto nel ricorso, indicava chiaramente come la società avesse dichiarato un costo del venduto quasi pari ai ricavi (3.697.807 euro contro 3.765.554 euro), operando con un margine “del tutto irrisorio” e quindi antieconomico.

Secondo la Corte, una volta che l’amministrazione ha posto il contribuente in condizione di difendersi su questi specifici punti in sede di contraddittorio, l’onere della prova si sposta sul contribuente stesso. Sarà quest’ultimo a dover dimostrare le circostanze particolari che giustificano lo scostamento dai parametri di normalità economica.

Inoltre, la Corte ha ritenuto fondato anche il motivo relativo all’errata valutazione del giudice d’appello circa l’inidoneità dello studio di settore applicato. L’Agenzia aveva dimostrato, attraverso la tavola di raccordo dei codici ATECOFIN, la piena continuità e applicabilità del codice utilizzato per l’accertamento, smentendo la tesi della difesa.

le conclusioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate nei confronti della società fallita, ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Molise, in diversa composizione. Quest’ultima dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi di diritto enunciati, ovvero che l’onere della prova dell’ufficio è soddisfatto con l’indicazione degli elementi presuntivi di antieconomicità, e che spetta poi al contribuente fornire la prova contraria. La sentenza ribadisce un principio consolidato, fondamentale per comprendere la dinamica probatoria nel contenzioso tributario basato su accertamenti standardizzati.

Cosa deve dimostrare l’Agenzia delle Entrate per un accertamento da studi di settore?
L’Agenzia delle Entrate deve dimostrare l’esistenza di uno scostamento significativo tra i ricavi dichiarati dal contribuente e quelli stimati dallo studio di settore. Deve inoltre esplicitare gli elementi anomali e di antieconomicità della gestione che giustificano la pretesa, mettendo il contribuente in condizione di difendersi.

Una volta che l’Agenzia ha fornito i suoi elementi, cosa deve fare il contribuente?
Il contribuente ha l’onere di fornire la prova contraria. Deve cioè dimostrare, con elementi concreti, le ragioni specifiche (economiche, di mercato, gestionali) che hanno causato lo scostamento dai parametri di normalità economica indicati dallo studio di settore.

Un cambiamento nel codice di attività (ATECOFIN) può invalidare un accertamento basato su studi di settore?
Non necessariamente. Come chiarito dalla Corte, se esiste una continuità tra il vecchio e il nuovo codice, dimostrabile tramite apposite tavole di raccordo, e il codice applicato è corretto per l’attività svolta nell’anno d’imposta accertato, lo studio di settore rimane uno strumento valido per la ricostruzione dei ricavi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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