Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 221 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 221 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 13257/2015 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, INDIRIZZO in virtù di delega a margine del ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO, n. 7008/14/14, depositata in data 20 novembre 2014, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 336/01/2014, aveva respinto il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’avviso di accertamento riguardante imposte dirette ed Iva, relative all’anno di imposta 2005, con il quale erano stati determinati maggiori ricavi rispetto a quelli dichiarati.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello della società contribuente ritenendo pienamente legittimo il riferimento agli studi di settore e che l’applicazione degli studi di settore era stata preceduta da un regolare contraddittorio con la società contribuente, che, tuttavia, non aveva fornito giustificazioni sufficienti a contrastare le tesi dell’Ufficio.
I giudici di secondo grado, in particolare, avevano rilevato che il fatto che il contribuente avesse dichiarato ricavi in misura esigua a fronte di quelli, in misura notevolmente superiore, accertati dall’Ufficio, anche sulla base degli studi settore, rappresentava una condotta commerciale anomala in contrasto con i principi di ragionevolezza sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento e che l’operato dell’Ufficio ea stato corretto, avendo spiegato nelle motivazioni dell’avviso di accertamento l’esatto cluster di riferimento all’attività esercitata dalla società contribuente; anche lo studio di settore evoluto 2010 aveva confermato la non congruità dei redditi dichiarati e, quindi, l’esistenza del «grave scostamento» e che, pure sulla base della
comune esperienza, esisteva una consistente incongruenza, in presenza di uno scostamento pari a euro 196.140,00 tra ricavi dichiarati (pari a euro 289.330,00) e quelli stimati (pari a euro 494.570,00).
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a otto motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., sull’eccezione sollevata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (pag. 3) e a pagina cinque dell’atto di appello riguardante la contestata nullità dell’avviso di accertamento perché sprovvisto dell’allegato prospetto di calcolo effettuato dall’Ufficio per la determinazione dei maggiori ricavi accertati in capo alla Società contribuente.
1.1 Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità non essendo stata riportata nel ricorso la parte dell’avviso di accertamento su lla quale la censura si fonda, oltre che il prospetto di calcolo effettuato dall’Ufficio per la determinazione dei maggiori ricavi (cfr. Cass., 28 giugno 2023, n.18418, in motivazione).
1.2 La censura, invero, pur non trascrivendo interamente i documenti richiamati, non ne riporta neppure il contenuto al fine di consentirne la valutazione da parte della Corte di legittimità. Con riguardo al tema di specificità dei motivi di ricorso, questa Corte, da ultimo, ha avuto occasione di precisare che « Ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo
eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito » ( Cass., Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950).
1.3 Il principio, escludendo l’eccessivo rigore nella imposizione di oneri di integrale trascrizione e allegazione di documenti, ha comunque sottolineato come i motivi debbano comunque indicare puntualmente, per le parti di rilievo, il contenuto degli atti richiamati, in modo da consentire al giudice l’esatta comprensione e portata della doglianza, oltre che l’esatta collocazione del documento nel fascicolo di causa.
1.4 A tali oneri la società ricorrente non ha ottemperato, come era, invece, necessario, in ragione anche delle richiamate allegazioni relative alla riproposizione della questione in appello « non potendo a tal fine essere sufficientemente esaustivo il riferimento indicato alla pag. 5 dello stesso, in un contesto che è peraltro ancora riferito alle premesse ricostruttive dello svolgimento del precedente grado di giudizio » (come assume anche la difesa erariale alle pagine 4 e 5 del controricorso), con conseguente inammissibilità del motivo.
2. Il secondo mezzo deduce, in subordine rispetto al secondo motivo, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4 del decreto legislativo n. 546 del 1992, in connessione con l’art. 111, comma 6 della Costituzione ed in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. , per vizio di motivazione sull’eccezione riguardante la contestata nullità dell’avviso di accertamento perché sprovvisto dell’allegato prospetto di calcolo effettuato dall’Ufficio per la determinazione dei maggiori ricavi accertati in capo alla Società contribuente.
Il terzo mezzo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia su altra specifica eccezione, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. , riguardante « l’illegittimità dei criteri utilizzati dall’ufficio per la determinazione del maggior reddito imponibile accertato: determinazione del maggior ricavo in base al ricavo puntuale » debitamente rilevata sia in sede di ricorso introduttivo (pag. 7), che in sede di appello (pag. 22).
Il quarto mezzo deduce, in subordine rispetto al terzo motivo, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, in connessione con l’art. 111, comma 6 de lla Costituzione ed in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per difetto di motivazione sulla illegittimità dei criteri utilizzati dall’ufficio per la determinazione del maggior reddito imponibile accertato.
Il quinto mezzo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia su altra specifica eccezione, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. , riguardante la rivendicazione della congruità dei ricavi dichiarati rispetto a quelli determinabili con una corretta applicazione degli studi di settore così denunciata «Inesistenza della violazione -erronea e/o falsa interpretazione di una norma di legge -Manifesto travisamento dei fatti», rilevata dalla società contribuente sia in sede di ricorso introduttivo (pagine 8 e 9), sia in sede di appello (pagine 23 e 24). L’Ufficio non aveva verificato, in fase di contraddittorio con il contribuente, l’esatta applicazione dei contratti prodotti nell’anno 2005 e i giudici di secondo grado non avevano considerato che la società contribuente aveva prodotto le liste dei compensi di intermediazione maturati degli anni 2004, 2005 (anno oggetto di accertamento) e 2006 (cosiddetto Tabulato di calcolo delle provvigioni maturate verso le due società che rappresentavano circa l’80% ed a volte il 90% del fatturato della medesima), che si riferivano ad un campione di tre mesi tipo,
individuati nei mesi di gennaio, giugno e dicembre, dell’anno 2005 , da cui emergeva che la provvigione applicata era pari all’1% -0,50% da calcolarsi sul fatturato al netto dell’Iva, spese di trasporto e note di credito (compresi i premi di fedeltà di fine anno), e, dunque, al di sotto delle percentuali minime applicate dallo studio di settore. La stessa Amministrazione finanziaria aveva riconosciuto la dedotta variabilità dei risultati relativi all’attività di intermediazione con la circolare n. 27/E del 18 giungo 2004 (par. 10) e con la successiva circolare n. 44/E del 29 maggio 2008.
Il sesto mezzo deduce, in subordine rispetto al terzo motivo, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, in connessione con l’art. 111, comma 6 del la Costituzione ed in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per difetto di motivazione sulla determinazione induttiva dei ricavi operata dall’Ufficio nonostante la contestata attribuzione di un valore alle provvigioni sulle vendite riconosciute alla società contribuente dalle ditte mandanti diverso da quello dichiarato dalla società e che trovava conforto nella documentazione prodotta in giudizio.
Il settimo mezzo deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, in connessione con l’art. 111, comma 6 della Costituzione ed in relazione all’ar t. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non avendo la sentenza impugnata spiegato i motivi in fatto e in diritto in base ai quali l’operato dell’Ufficio era stato ritenuto legittimo, nonostante quanto dedotto e comprovato dalla parte.
Devono essere unitariamente esaminate le censure di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. (terzo e quinto motivo) perché infondate per la stessa ragione.
8.1 In proposito, deve premettersi la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto il motivo di gravame costituisce la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello e rappresenta, dunque, uno dei fatti costitutivi della «domanda» di appello, sicché la mancanza di presa di posizione del giudice rispetto ad una domanda od eccezione ritualmente formulata implica l’omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, traducendosi in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (Cass., 13 ottobre 2022, n. 29952; Cass., 12 ottobre 2017, n. 23930; Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759; Cass., 16 marzo 2013, n. 6835).
8.2 Più in particolare, deve precisarsi che il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., si ha quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass., 26 gennaio 2021, n. 1616; Cass., 27 novembre 2017, n. 28308).
8.3 Inoltre, secondo costante giurisprudenza, « ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa
avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia » (Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 10 maggio 2007, n. 10696; Cass., 26 novembre 2013, n. 26397; Cass., 18 giugno 2018, n. 15936).
8.4 Ciò posto, nella vicenda in esame, non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto i giudici di secondo grado, esaminando nel merito la fondatezza dell’accertamento operato dall’Ufficio, hanno rigettato, anche implicitamente, le questioni poste dalla società contribuente sulla illegittimità dei criteri di determinazione del maggior reddito imponibile e sulla congruità dei ricavi dichiarati rispetto a quelli determinabili con una corretta applicazione degli studi di settore.
I motivi secondo, quarto, sesto e settimo, che devono essere esaminati unitariamente perché connessi, sono infondati.
9.1 Ed invero, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302).
9.2 Nel caso in esame, la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società contribuente, ritenendo che l’Ufficio legittimamente avesse fatto ricorso agli studi di settore in sede di accertamento induttivo e che l’Ufficio avesse dato la prova, con presunzioni gravi, precise e concordanti, del grave scostamento esistente tra i ricavi dichiarati e i ricavi accertati, nonché della condotta commerciale anomala posta in essere ed in contrasto con i
principi di ragionevolezza anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento.
9.3 R
10. L’ottavo mezzo deduce, in subordine rispetto al settimo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ… I giudici di secondo grado avevano errato nell’affermare che il mero scostamento tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dagli studi di settore fosse sufficiente a legittimare la contestazione dei presunti maggiori ricavi, essendo necessario anche dimostrare l’applicabilità in concreto dello standard prescelto, con le ragioni per le quali erano state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Inoltre, la società contribuente aveva affermato che lo scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi accertati non dipendeva dalla condotta antieconomica desunta dall’Ufficio e dalla Commissione tributaria regionale, ma dalla peculiarità dell’attività di intermediazione, come espressamente riconosciuto dalla stessa Amministrazione nelle circolari n. 44/E del 29 maggio 2008 e 27/E del 18 giugno 2004.
10.1 Il motivo è infondato, alla luce dei principi statuiti da questa Corte in tema di studi di settore e di antieconomicità del comportamento posto in essere dal contribuente e dei correlati oneri probatori, che sono stati correttamente applicati dai giudici di secondo grado.
10.2 Ed invero, secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un
sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente pena la nullità dell’accertamento notificato al contribuente e, in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame (cfr., per tutte, Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2009, n. 26635). Conseguentemente, la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Una volta svoltosi il contraddittorio con il contribuente, l’Ufficio può, in assenza di valide giustificazioni dello scostamento dallo studio di settore da parte del contribuente, fondare l’avviso di accertamento mediante il riferimento anche solamente a tale scostamento, ferma restando la possibilità, per il contribuente medesimo, di fornire la prova contraria anche in sede contenziosa (cfr., sul punto, Cass., 8 luglio 2022, n. 21656; Cass., 18 settembre 2019, n. 23252; Cass., 15 gennaio 2019, n. 769).
10.3 Inoltre, è stato rilevato che a paralizzare l’applicabilità degli studi di settore, non è sufficiente la sola allegazione, ossia la sola affermazione della esistenza di circostanze idonee in astratto a contrastare la presunzione di maggior reddito, con conseguente onere incombente sull’Amministrazione di giustificare l’affermazione contraria, in quanto tale assunto non risponde ad una corretta lettura delle norme e che, piuttosto, dai principi enunciati dalle Sezioni Unite sopra richiamati si evince che, nella ripartizione dell’onere probatorio, spetta al contribuente quello non solo di allegare, ma anche di provare,
senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, in modo da giustificare un reddito inferiore a quello che normalmente si desume secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre sull’ente impositore incombe l’onere di dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (Cass., 21 dicembre 2021, n. 40936).
10.4 In sede di contraddittorio, il quale deve avvenire già in fase amministrativa, ma anche e soprattutto nel giudizio, il contribuente dovrà, quindi, non solo dedurre, ma anche dimostrare che i parametri utilizzati sono erronei perché basati su elementi fattuali non corrispondenti alla realtà o su criteri di elaborazione e di inferenza illogici o potrà anche dedurre e dimostrare che l’ufficio impositore è incorso in un errore nell’applicare i parametri alla sua realtà, in ragione della sussistenza di caratteri per così dire anormali, ossia di elementi che la diversificano rispetto a quelli in riferimento ai quali è stata individuata la normalità reddituale. Pertanto, qualora il contribuente, pur essendo stato messo in condizione di offrire elementi, anche presuntivi, idonei a contrastare l’opposta presunzione fondata sugli studi di settore «senza limitazione di mezzi e contenuto», si limiti ad una mera asserzione, non confortata da validi riscontri probatori e documentali, risulta evidente che l’ufficio impositore prima ed il giudice poi non hanno elementi per escludere che l’attività in esame sia una attività «normale» ed abbia quindi una redditività normale. Viceversa, se il contribuente prospetta la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale gli studi di settore fanno riferimento, spetta all’Ufficio prima ed al giudice poi valutare se tali circostanze siano vere e se esse siano effettivamente idonee a «giustificare» un reddito inferiore a quello che sarebbe normale e quindi presuntivamente vero in assenza di esse. Ne discende
che, a fronte di una rappresentazione di carattere presuntivo, e, quindi, presuntivamente attendibile, spetta al contribuente, che vi ha interesse, dedurre e provare la sussistenza di elementi di discordanza o disomogeneità idonei a togliere valore alla presunzione di cui all’art. 2729 cod. civ. (cfr. Cass., 30 ottobre 2018, n. 27617).
10.5 Inoltre va rilevato che il dato che l’accertamento sia «basato» sullo studio di settore non esclude che esso possa trovare anche altre giustificazioni come, ad esempio, riscontrate irregolarità contabili o la ritenuta antieconomicità della gestione aziendale (così nel caso in esame). Un accertamento tributario può dirsi basato su uno studio di settore, dunque, solo quando trovi in esso il suo fondamento prevalente. Tanto non si verifica quando, ad esempio, mediante l’utilizzo degli studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, riscoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata, raccogliendo l’Amministrazione finanziaria elementi gravi, precisi e concordanti, posti a fondamento dell’accertamento tributario (cfr., Cass., 6 giugno 2019, n. 15344).
10.6 In ultimo, è orientamento pacifico di questa Corte che, nel giudizio tributario, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia, incombe sul medesimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo – in difetto – pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte dell’amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass., 22 luglio 2021, n. 21128; Cass., 20 marzo 2013, n. 6918).
10.7 Ciò posto, nella vicenda in esame, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento non solo sulla base dello scostamento rilevato (di euro 196.140,00), ma anche in
considerazione di ulteriori elementi, quali l ‘antieconomicità della gestione imprenditoriale; i giudici di secondo grado, dunque, hanno ritenuto, con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità, che tali elementi fondavano l’accertamento dei maggiori ricavi e che, conseguentemente, era a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’insussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione dello standard utilizzato, onere che non è stata assolto.
11. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 18 ottobre 2023.