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Accertamento studi di settore: onere della prova

Una società ha impugnato un avviso di accertamento basato sugli studi di settore, lamentando una determinazione errata dei maggiori ricavi. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che l’accertamento studi di settore genera una presunzione semplice. Spetta al contribuente, in sede di contraddittorio, fornire la prova contraria per giustificare lo scostamento, soprattutto in presenza di una condotta gestionale considerata antieconomica. La Corte ha ritenuto legittimo l’operato dell’Agenzia delle Entrate e ha confermato la validità dell’accertamento.

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Pubblicato il 16 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento studi di settore: a chi spetta l’onere della prova?

L’accertamento studi di settore rappresenta da anni un tema centrale nel contenzioso tributario. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 221/2024, è tornata a fare chiarezza sui principi che regolano questo strumento di rettifica dei ricavi, con particolare attenzione alla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione analizza il caso di una società a cui erano stati contestati maggiori ricavi sulla base delle risultanze degli studi di settore e di una presunta condotta antieconomica.

I Fatti del Caso: La Controversia sui Ricavi Dichiarati

Una società si vedeva notificare un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, con cui venivano rideterminati maggiori ricavi per l’anno d’imposta 2005. La contestazione si fondava principalmente sullo scostamento tra i ricavi dichiarati dalla società e quelli stimati tramite l’applicazione degli studi di settore. Secondo l’Ufficio, tale discrepanza, unita a una generale antieconomicità del comportamento imprenditoriale, giustificava la rettifica.
La società impugnava l’atto, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale confermavano la legittimità dell’accertamento. I giudici di merito ritenevano che il Fisco avesse correttamente applicato gli studi di settore e che il contribuente non avesse fornito giustificazioni sufficienti a contrastare la presunzione di maggiori ricavi.

La Decisione della Corte di Cassazione: Rigetto del Ricorso

La società proponeva quindi ricorso per Cassazione, articolando diversi motivi di doglianza, tra cui l’omessa pronuncia su specifiche eccezioni e il vizio di motivazione della sentenza d’appello. La Suprema Corte ha esaminato unitariamente le censure, rigettando integralmente il ricorso e condannando la società al pagamento delle spese processuali.

Le Motivazioni: L’onere della prova nell’accertamento da studi di settore

Il cuore della pronuncia risiede nella ricostruzione dei principi consolidati in materia di accertamento studi di settore. La Corte ha ribadito che tale procedura costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non derivano automaticamente dallo scostamento, ma si configurano solo all’esito del contraddittorio con il contribuente.

Il Ruolo del Contraddittorio Preventivo

La Cassazione sottolinea che il contraddittorio è una fase obbligatoria, la cui omissione determina la nullità dell’atto impositivo. In questa sede, il contribuente ha l’onere non solo di allegare, ma anche di provare, senza limitazioni di mezzi, l’esistenza di circostanze di fatto che giustificano la divergenza della propria attività dal modello standard di riferimento. Una mera asserzione, non supportata da validi riscontri probatori e documentali, non è sufficiente a superare la presunzione dell’Ufficio.

La Condotta Antieconomica come Indizio Aggiuntivo

Un punto cruciale evidenziato dai giudici è che un accertamento basato sugli studi di settore può trovare fondamento anche in altri elementi, come la riscontrata antieconomicità della gestione aziendale. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano legittimamente ritenuto che l’accertamento non si basasse solo sullo scostamento matematico, ma anche su elementi ulteriori, quale appunto la condotta commerciale anomala. Di fronte a tale contestazione, era onere del contribuente fornire le necessarie spiegazioni per dimostrare la ragionevolezza economica delle proprie scelte gestionali, onere che, secondo la Corte, non è stato assolto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti

L’ordinanza n. 221/2024 conferma un orientamento giurisprudenziale ormai granitico. Per i contribuenti, le implicazioni sono chiare: di fronte a un accertamento studi di settore, la difesa non può limitarsi a una contestazione generica. È indispensabile preparare e presentare, già in fase di contraddittorio amministrativo, tutta la documentazione e gli elementi probatori idonei a dimostrare le specifiche peculiarità della propria attività che possono giustificare ricavi inferiori agli standard. In assenza di una prova concreta e convincente, la presunzione di maggiori ricavi mossa dal Fisco, specialmente se corroborata da indizi di antieconomicità, risulterà difficilmente superabile in sede contenziosa.

Quando un accertamento basato sugli studi di settore è legittimo?
Un accertamento basato sugli studi di settore è legittimo quando è stato preceduto da un regolare contraddittorio in cui il contribuente ha avuto la possibilità di difendersi. La sua legittimità si fonda sulla presunzione di maggiori ricavi che emerge dallo scostamento, a meno che il contribuente non fornisca prove concrete che giustifichino tale differenza.

A chi spetta l’onere della prova in caso di scostamento dai ricavi degli studi di settore?
L’onere della prova spetta al contribuente. Non è sufficiente affermare l’esistenza di circostanze particolari, ma è necessario dimostrarle con prove concrete (documentali o di altro tipo) che giustifichino un reddito inferiore a quello standardizzato. La sola allegazione non basta.

L’antieconomicità della gestione può supportare un accertamento da studi di settore?
Sì. La Corte ha chiarito che l’accertamento può essere rafforzato da ulteriori elementi, come la ritenuta antieconomicità della gestione aziendale. Se l’Amministrazione Finanziaria contesta una condotta palesemente contraria ai canoni dell’economia, spetta al contribuente l’onere di fornire le necessarie spiegazioni per dimostrare la razionalità delle proprie scelte imprenditoriali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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