Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31383 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31383 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9702/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio dei medesimi in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore .
-resistente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 5522/2015, depositata in data 22 ottobre 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 novembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE riceveva notifica di avviso di accertamento ai fini IVA, IRAP e IRES relativo all’anno 2005, con il quale l’Agenzia delle Entrate -direzione provinciale di Roma I -accertava induttivamente, ex art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, maggiori ricavi per € 159.715,00,
Avv. Acc. IVA, IRAP e IRES 2005
successivamente ridotti a € 111.956,00, e ciò sulla base dell’applicazione degli studi di settore.
Avverso l’avviso di accertamento la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Roma; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 595/07/2013, rigettava il ricorso della contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello la società contribuente dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituiva in giudizio anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 5522/04/2015, depositata in data 22 ottobre 2015, la C.t.r. adita rigettava il gravame della contribuente.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi.
L’Agenzia delle Entrate non ha notificato nè depositato controricorso, ma ha prodotto mera nota di costituzione al dichiarato solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 15 novembre 2024 per la quale l’ente erariale ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.: violazione e falsa applicazione dell’art. 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 delle disposizioni attuative cod. proc. civ. in ordine all’eccepita illegittimità costituzionale degli artt. 62 bis e 62 sexies del D.L. 30 agosto 1993, n. 321» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha omesso di esplicitare le ragioni per le quali non ha ritenuto fondate le ragioni circa l’incostituzionalità dell’utilizzo degli studi di settori come
metodo di rideterminazione del reddito, anziché come strumento di verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 57 D.Lgs. n. 546/1992, art. 345 cod. proc. civ., art. 153 cod. proc. civ., degli artt. 156 e 157 cod. proc. civ., in relazione alla sent. 367/2015 della Corte Costituzionale, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha dichiarato inammissibili le difese della stessa volte a far dichiarare la nullità dell’atto impositivo per insussistenza della sottoscrizione ad opera di soggetto munito dei relativi poteri, essendo manifesto che, solo in seguito alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale, l’appellante aveva avuto modo di rilevare il vizio sopravvenuto dell’avviso impugnato, in virtù dell’efficacia retroattiva delle pronunce della Consulta.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 42, primo e terzo comma, d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. 21 septies L. 7 agosto 1990, n. 241, in relazione alla sent. 367/2015 della Corte Costituzionale, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha rilevato la nullità assoluta dell’avviso di accertamento in quanto sottoscritto ad opera di soggetto non munito dei relativi poteri, secondo quanto dichiarato dalla sent. della Corte Costituzionale n. 367/2015.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 42, primo e terzo comma, d.P.R. n. 600/1973, nonché dell’art. 21 septies L. n. 241/1990, in relazione alla sent. 367/2015 della Corte Costituzionale, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta, sotto la veste dell’ error in iudicando, le censure proposte anche nel motivo di ricorso precedente.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.: violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/92, dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 delle disposizioni attuative del cod. proc. civ., motivazione apparente in ordine all’eccepita violazione dell’art. 7 della l. 18 agosto 2000, n. 242 in relazione all’art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 600/73, e all’art. 62 sexies , terzo comma, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331» la ricorrente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha affermato la tesi opposta a quella espressa dal contribuente, statuendo che l’accertamento può basarsi anche su un mero scostamento fra il ricavo accertato mediante gli studi di settore e quello dichiarato, senza tuttavia esprimerne le ragioni ma rinviando in maniera generica ad un imprecisato orientamento giurisprudenziale di legittimità.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 primo comma, d.P.R. n. 600/1973, nonché dell’art. 62 sexies , terzo comma, D.L. n. 331/1993, in relazione all’art. 7 L. 212/2000, ex art. art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto legittimo l’accertamento basato sul mero scostamento tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione degli studi di settore, omettendo quindi di dare conto alle difese svolte dal contribuente durante il contraddittorio e al perché le stesse non potessero trovare applicazione nel caso di specie.
1.7. Con il settimo motivo di ricorso, così rubricato: «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in relazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 62 sexies , terzo comma, D.L. n. 331/1993, e dell’art. 7 L. 212/2000» la contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha mancato di valutare le circostanze addotte per spiegare lo scostamento fra ricavi dichiarati e quelli elaborati dagli studi di settore.
1.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha fatto applicazione della norma in materia di contributo unificato indicata nella rubrica del presente motivo all’interno di un giudizio tributario, pur essendo espressamente prevista per i soli giudizi civili.
Il primo motivo è infondato.
2.1. Preliminarmente va rilevato che costituisce principio consolidato di questa Corte quello secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard”
prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass. 18/08/2022, n. 24931). Ancora, in tema di accertamento tributario mediante studi di settore, ai fini del riparto degli oneri probatori, grava sul contribuente l’onere di allegare, ed anche di provare ancorché senza limitazioni di mezzi e di contenuto – la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre sull’ente impositore quello di dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (Cass. 21/12/2021, n. 40936).
2.2. Quanto alla questione di legittimità costituzionale, premesso che la decisione di appello ha comunque fatto rinvio per relationem alla quota di decisione al riguardo assunta dai giudici di prime cure, vale considerare che ‘non può costituire motivo di ricorso per cassazione la valutazione negativa che il giudice di merito abbia
fatto circa la non rilevanza e la manifesta infondatezza di una questione di legittimità costituzionale, avendo il relativo provvedimento carattere puramente ordinatorio (Cass. 20/03/2023, n. 8033; Cass. 09/07/2020, n. 14666; Cass. 16/04/2018, n. 9284)’, poiché ‘la questione di legittimità costituzionale di una norma, in quanto strumentale rispetto alla domanda che implichi l’applicazione della norma medesima, non può costituire oggetto di un’autonoma istanza rispetto alla quale, in difetto di esame, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia, ovvero (nel caso di censure concernenti le argomentazioni svolte dal giudice di merito) un vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione (Cass. 10/04/2018, n. 8777; Cass. 19/01/2018, n. 1311)’ (Cass. 05/02/2024, n. 3224). In ogni caso, in ordine alla questione di costituzionalità degli studi di settore, sono ormai consolidate in sede di giurisprudenza di legittimità (Cass. 20/06/2019, n. 16544) le considerazioni per cui la legittimità costituzionale dell’utilizzazione degli studi di settore, purché si provveda all’instaurazione del contraddittorio con il contribuente in sede di accertamento, è stata di recente indirettamente confermata dalla stessa Corte costituzionale (ord. n. 187 del 2017)’, nonché dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. IV, con sent. 21/11/2018, in causa C-648/16, sempre a condizione che siano rispettati i diritti di difesa del contribuente, avendo la Corte Europea ritenuto che non contrastano con la normativa convenzionale le previsioni della legislazione italiana che consentono all’Amministrazione finanziaria, a fronte di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere ad un metodo induttivo, basato sugli studi di settore stessi, al fine di accertare il volume d’affari realizzato dal contribuente e procedere, di conseguenza, a rettifica fiscale , a condizione che tale normativa e la sua applicazione permettano al contribuente stesso, nel
rispetto dei principi di neutralità fiscale, di proporzionalità nonché del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo.
2.3. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha disatteso la doglianza C.t.p. e comunque va qui richiamato l’orientamento giurisprudenziale (Cass. 26/05/2022, n. 17011) secondo cui, pur in assenza di specifica argomentazione, non è configurabile un vizio di omessa pronuncia o motivazione,
riportandosi alle motivazioni della dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa
o l’eccezione non espressamente esaminata non risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.
I motivi secondo, terzo e quarto, da trattare congiuntamente stante l’evidente connessione e l’affinità delle critiche sollevate, sono infondati.
3.1. Con riferimento agli effetti della delega con riguardo ai requisiti dell’atto e ai requisiti del firmatario, si è chiarito che (Cass. 29/03/2019, n. 8814) la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex all’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni; ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto. Ancora, con riguardo specificamente della sorte degli atti tributari sottoscritti da soggetti capi di ufficio o delegati, la cui qualifica dirigenziale sia risultata conseguita illegittimamente in relazione alla sopravvenuta sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale -che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26
aprile 2012, n. 44 -questa Corte (Cass., sez. 5, 9/11/2015, n. 2:2810) ha, altresì, escluso che, ai fini della valida sottoscrizione di un atto impositivo, sia necessario in chi ha sottoscritto l’atto ovvero ha conferito la delega il possesso di una qualifica dirigenziale, rilevando che tale presupposto non è giustificato dal dato normativo. Alla stregua delle considerazioni che precedono, dovendo, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, nessun effetto sulla validità dell’atto impositivo, in questa sede impugnato può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d. L. n. 16 del 2012, convertito dalla legge n. 44 del 2012 (in senso conforme, Cass., sez. 5, 26/02/2020, n. 5177)», così Cass., n. 33323 del 2023. Comunque, in generale, ai fini della validità dell’atto, ciò che conta è la riferibilità dello stesso all’ufficio ossia all’organo titolare del potere nel cui esercizio è stato adottato e non al materiale sottoscrittore risultando irrilevante che la persona fisica che lo abbia sottoscritto ovvero abbia delegato la relativa firma sia un dirigente, in quanto la questione relativa all’accesso legittimo alla dirigenza si pone su un piano diverso rispetto a quella concernente la legittimazione alla sottoscrizione degli atti.
3.2. La C.t.r., nel rigettare la censura, ha fatto corretta applicazione dei principi sopra esposti, avendo richiamato i principi del diritto pubblico ‘quanto agli atti emessi dal funzionario il quale, pure in presenza di irregolarità nell’investitura e di inefficacia della sua nomina, mantengono la propria validità ed efficacia stante la diretta riferibilità degli atti stessi all’ente pubblico da cui provengono’.
Il quinto, sesto e settimo motivo, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione e per l’affinità delle critiche sollevate,
sono infondati. Con essi, sotto diversi profili, la ricorrente si duole della violazione delle regole accertative degli studi di settore per non essere stata presa in considerazione la concreta situazione imprenditoriale della società contribuente.
4.2. Richiamati i principi giurisprudenziali illustrati sub 2.1., la C.t.r. ha fatto corretta applicazione di essi e, con una motivazione della quale è agevole scorgere l’iter logico giuridico sottostante, ha illustrato come l’Ufficio avesse fatto corretta applicazione degli studi di settore rilevando, anche facendo uso del corretto studio per il 2005, lo scostamento dei ricavi e le plurime anomalie già esposte. Le eventuali minime differenze nell’uso dello studio del 2006, invece di quello per il 2005, opinano i giudici di appello, risultavano pienamente assorbite nella riduzione di circa un terzo della differenza tra i ricavi dichiarati e accertati operata dall’Ufficio ed, infatti, inizialmente era stata contestata dallo la norma la somma di euro 159.175,00 e poi era stata definitivamente accertata la minore somma di euro 111.956,00. Di poi, continua la C.t.r, non era necessario sussistesse il grave scostamento per legittimare l’accertamento induttivo in questione ed a fronte di una corretta ricostruzione dello scarto rilevato e dei plurimi indizi esposti dall’Ufficio la contribuente si è limitata a richiamare le difficoltà lavorative dei soci e la loro iniziale inesperienza adducendo di aver proceduto alla vendita di villini realizzati a un prezzo inferiore a quello realizzabile proprio per superare le difficoltà momentanee. In realtà, le difficoltà lavorative dei soci non rilevavano ai fini del presente giudizio avendo gli stessi dichiarato di avere interamente affidato ad altri la realizzazione dell’intervento edilizio programmato soprattutto in considerazione del fatto che è rimasta del tutto sfornita di prova l’affermazione relativa all’avvenuta vendita a prezzi più bassi, non essendo, a tal fine, sufficiente la sola produzione dei relativi rogiti, a fronte dell’accertato comportamento antieconomico dei soci stessi quanto
ai loro redditi derivanti dalla società certamente insufficienti il normale sostentamento.
4.3. Pertanto, nella sentenza impugnata è stata data congrua motivazione sulla sufficienza argomentativa ed induttiva dell’accertamento, a tacer del fatto che le critiche sollevate sul precipuo punto si risolvono nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata.
L’ottavo motivo, ossia quello relativo alla circostanza che la C.t.r. ha fatto applicazione della norma in materia di contributo unificato indicata nella rubrica del presente motivo all’interno di un giudizio tributario, pur essendo espressamente prevista per i soli giudizi civili, è fondato.
Costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello secondo cui l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sull’obbligo di versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nell’ipotesi di infondatezza o inammissibilità dell’impugnazione, non trova applicazione ai giudizi tributari, trattandosi di misura eccezionale di carattere sanzionatorio, la cui operatività deve, pertanto, essere circoscritta al processo civile; tale misura è invece applicabile al giudizio di legittimità, stante la sua natura di ordinario processo civile, disciplinato dal codice di rito ed avente ad oggetto l’impugnazione della pronuncia della Commissione tributaria regionale (Cass. 27/07/2018, n. 20018; Cass. 01/09/2023, n. 25612; Cass. 22/10/2024, n. 27296).
5.1. Nella sentenza impugnata, erroneamente, viene dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
In conclusione, va accolto l’ottavo motivo di ricorso e, rigettati i restanti, va cassata la sentenza nella parte relativa e, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con la cassazione della parte della sentenza che condanna al versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Si compensano le spese del giudizio di legittimità, atteso il parziale accoglimento del ricorso.
P.Q.M.
La Corte accoglie l’ottavo motivo di ricorso e, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata limitatamente alla condanna della parte appellante al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’appello, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 15 novembre 2024.