LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Accertamento studi di settore: onere della prova

Una società ha impugnato un avviso di accertamento basato sugli studi di settore. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 31383/2024, ha rigettato quasi tutti i motivi di ricorso, confermando che l’accertamento studi di settore è legittimo se preceduto da un contraddittorio. La Corte ha ribadito che spetta al contribuente l’onere di provare le circostanze specifiche che giustificano lo scostamento dai dati standard, non essendo sufficiente una generica contestazione. È stato accolto solo il motivo relativo all’errata applicazione del contributo unificato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento con Studi di Settore: la Cassazione sull’Onere della Prova

L’accertamento studi di settore rappresenta da anni uno degli strumenti più discussi nel contenzioso tributario. Con la recente ordinanza n. 31383 del 6 dicembre 2024, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza sui principi che regolano questa materia, delineando con precisione i confini dell’onere probatorio a carico del contribuente e dell’amministrazione finanziaria. La decisione analizza il caso di una società che ha contestato un avviso di accertamento per maggiori ricavi basato proprio sull’applicazione di tali parametri statistici.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata riceveva un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2005. L’Agenzia delle Entrate, utilizzando gli studi di settore, contestava maggiori ricavi per circa 160.000 euro (poi ridotti a circa 112.000 euro), procedendo a un accertamento induttivo ai fini IVA, IRAP e IRES.

La società impugnava l’atto, ma il suo ricorso veniva rigettato sia in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale, sia in secondo grado dalla Commissione Tributaria Regionale. Quest’ultima, con sentenza del 2015, confermava la legittimità dell’operato dell’Ufficio. Ritenendo la decisione errata, la società proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a otto distinti motivi di censura.

L’analisi della Corte sull’accertamento studi di settore

La Suprema Corte ha esaminato dettagliatamente le doglianze della ricorrente, rigettandone la maggior parte. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di accertamento studi di settore.

In primo luogo, è stato confermato che gli studi di settore non costituiscono una prova legale, ma un sistema di presunzioni semplici. La loro efficacia probatoria non deriva automaticamente dallo scostamento tra il reddito dichiarato e quello stimato, ma si consolida solo all’esito del contraddittorio con il contribuente. È in questa fase che l’amministrazione deve dimostrare l’applicabilità dello standard al caso concreto, mentre il contribuente ha l’onere di provare, senza limiti di mezzi, l’esistenza di condizioni specifiche che giustifichino un risultato economico differente (ad esempio, difficoltà lavorative, crisi di mercato, inesperienza, ecc.).

La questione della firma dell’atto e della motivazione

Tra i motivi di ricorso, la società lamentava anche la nullità dell’avviso di accertamento perché sottoscritto da un funzionario la cui qualifica dirigenziale era stata ottenuta illegittimamente, come stabilito da una nota sentenza della Corte Costituzionale. La Cassazione ha respinto anche questa censura, chiarendo che la validità dell’atto dipende dalla sua riferibilità all’ufficio titolare del potere e non dalla legittimità dell’investitura del singolo funzionario firmatario.

Inoltre, la Corte ha giudicato infondate le critiche relative alla motivazione della sentenza d’appello. Sebbene la motivazione fosse sintetica e facesse riferimento alle argomentazioni del primo giudice, è stata ritenuta sufficiente per comprendere l’iter logico-giuridico seguito, che aveva dato peso allo scostamento dei ricavi e alle anomalie riscontrate, a fronte di giustificazioni generiche fornite dalla società.

L’unico motivo accolto: il contributo unificato

L’unico motivo di ricorso che ha trovato accoglimento è stato l’ottavo, relativo all’erronea applicazione della norma che prevede il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato in caso di rigetto dell’impugnazione. La Cassazione ha ricordato che tale misura, di carattere sanzionatorio, si applica al processo civile ordinario ma non ai giudizi tributari. Di conseguenza, ha cassato la sentenza impugnata su questo specifico punto.

le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale consolidato. L’accertamento studi di settore è una procedura legittima a condizione che sia garantito il diritto di difesa del contribuente attraverso il contraddittorio. L’onere della prova è ripartito: l’Agenzia deve motivare l’applicabilità dello standard prescelto, mentre il contribuente deve fornire prove concrete e specifiche che dimostrino la peculiarità della sua situazione imprenditoriale. Nel caso di specie, le giustificazioni addotte dalla società (difficoltà lavorative dei soci, vendita a prezzi inferiori per superare difficoltà momentanee) sono state ritenute generiche e non supportate da prove adeguate, come ad esempio i rogiti di vendita che da soli non bastavano a dimostrare la congruità del prezzo. La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici di merito fosse congruamente motivata, in quanto illustrava come l’Ufficio avesse correttamente applicato gli studi di settore, rilevando uno scostamento significativo e altre anomalie, a fronte delle quali le difese del contribuente erano apparse insufficienti.

le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza riafferma la validità dell’accertamento basato sugli studi di settore come strumento di presunzione, ma ne circoscrive l’utilizzo all’interno di una cornice procedurale che tuteli il contraddittorio. La decisione finale è una parziale riforma della sentenza d’appello: l’accertamento fiscale è stato confermato, ma è stata annullata la condanna accessoria al pagamento del doppio del contributo unificato. Per i contribuenti, la lezione è chiara: per contestare efficacemente un accertamento di questo tipo, non basta negare, ma è necessario fornire prove documentali e circostanziate che dipingano un quadro realistico e credibile della propria attività economica, diverso da quello statistico proposto dall’amministrazione.

Un accertamento fiscale può basarsi solo sullo scostamento dei dati degli studi di settore?
No. Lo scostamento è solo il punto di partenza. L’accertamento basato sugli studi di settore è legittimo solo se l’Ufficio avvia un contraddittorio con il contribuente, motivando l’applicabilità dello standard al caso concreto e valutando le giustificazioni fornite.

Cosa deve fare il contribuente per contestare un accertamento basato sugli studi di settore?
Il contribuente ha l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi, l’esistenza di circostanze di fatto specifiche che allontanano la sua attività dal modello standard di riferimento, giustificando così un reddito inferiore. Non sono sufficienti contestazioni generiche.

La firma di un funzionario con qualifica dirigenziale ottenuta illegittimamente rende nullo l’avviso di accertamento?
No. Secondo la Corte, ai fini della validità dell’atto impositivo, ciò che conta è la sua riferibilità all’organo titolare del potere (l’Ufficio), non la legittimità formale della nomina del singolo funzionario che lo ha materialmente sottoscritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati