Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33379 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33379 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12830/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-resistente- avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 10595/2015 depositata il 25/11/2015;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La Int. RAGIONE_SOCIALE società che svolge attività di tinteggiatura, impugnò l’avviso di accertamento n. TFK030403053/2011 (relativo ad IRES, IRAP e IVA) con il quale l’ Agenzia delle entrate accertò, per l’anno 2007, maggiori ricavi per euro 34.832,00 (dichiarati euro 147.580,00) ed un reddito di impresa pari ad euro 52.335,00 (a fronte di un reddito dichiarato di euro 17.503,00) sostanzialmente in applicazione dello specifico studio di settore TG50U, stante l’incongruenza dei ricavi reiterata nel tempo e l’antieconomicità della gestione.
L’impugnazione in primo grado, così come emerge dalla sentenza e dallo stesso ricorso del contribuente, era fondata su tre motivi: violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d. P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 62 -bis del d.l. n. 331 del 1993 essendo l’accertamento non motivato ma basato esclusivamente sullo studio di settore; errore e falsa applicazione dell’aliquota IVA giacché l’attività espletata era sottoposta alla disciplina del reverse charge di cui all’art. 17, comma 6, del d.P.R. n. 633 del 1972; errata applicazione delle sanzioni all’amministratore e legale rappresentante liquidatore della società ai sensi del d.l. n. 269 del 2003.
Il giudice di prime cure accolse il ricorso e la decisione venne impugnata dall’Agenzia delle entrate.
La C.T.R., premessi i principi regolanti la disciplina degli studi di settore, il contenuto dei tre motivi di ricorso della società contribuente e dato atto del deposito di una memoria ove si affermava l’omesso invio del questionario, affermò che l’avviso di accertamento non fosse nullo in quanto non fondato sul solo studio di settore ma anche su diverse anomalie, quali la incongruenza dei ricavi reiterata nel tempo, l’antieconomicità della gestione, l’incongruenza del reddito complessivo dichiarato, nonché l’assenza di
difese da parte del appellato, il quale non aveva riproposto ‘le pur generiche motivazioni che sostenevano il ricorso introduttivo, dove nemmeno si contestava il risultato dell’applicazione dello studio di settore.’ Si evidenziò come, pertanto ‘nessuna giustificazione vera, reale, convincente, assiste lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli determinati con lo studio di settore’ , né tanto meno risultava provato che la società operasse in regime di reverse charge mentre l’Agenzia aveva diversamente provato l’antieconomicità della gestione e l’incongruità della situazione economica.
Si osservò inoltre come l’appellato ben avrebbe potuto produrre in giudizio la documentazione non esibita in sede amministrativa e che, comunque, non era stata formulata specifica doglianza in punto di originaria illegittimità dell’atto per difetto di contraddittorio.
Avverso questa decisione ricorre il contribuente con tre motivi.
L’agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 in combinato disposto con l’art. 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, con l’art. 10, comma 3bis della l. n. 146 del 1998, con l’art. 42, comma 2, del d.p.r. n. 600 nonché con gli artt. 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Con questo strumento impugnatorio si censura la sentenza per non aver correttamente valutato i fatti di causa e la ratio decidendi della decisione di prime cure sebbene l’avviso non fosse stato preceduto da un valido contraddittorio preventivo assumendo ‘apoditticamente che l’attività di impresa svolta dall’odierna
ricorrente, nell’anno di imposta 2007, in correlazione con i redditi d’impresa nell’anno precedente (il 2006) e nell’anno successivo a quello accertato (il 2008) fosse connotata da antieconomicità fondando tale asserzione su ulteriori elementi di cui si contesta la gravità, precisione e concordanza’.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 in combinato disposto con l’art. 62 sexies, comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, con l’art. 10, comma 3bis della l. n. 146 del 1998 nonché la violazione dell’art. 41 Carta fondamentale UE e art. 6 del trattato UE, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. non avendo il giudice valutato la censura sollevata circa l’invalidità della notifica dell’invito al contraddittorio.
3 . Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 17, comma 6, del d.P.R. n. 633 del 1972 in tema di IVA, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. perché il giudice di merito ha ritenuto legittimo il recupero dell’IVA senza considerare che la società ricorrente svolgeva un’attività in regime di reverse charge .
Il primo motivo del ricorso è fondato nei limiti di cui appresso si dirà ed il suo accoglimento determina l’assorbimento della seconda doglianza.
Lo strumento impugnatorio mira a censurare la sentenza perché ha ritenuto valido l’avviso in assenza di un valido preventivo contraddittorio, senza avvedersi che tale invalidità era stata oggetto di specifica doglianza ed era stata altresì posta a fondamento della decisione del primo giudice (che aveva accolto integralmente il ricorso del contribuente).
Con il medesimo motivo si censura la sentenza per aver ritenuto che i fatti posti a fondamento dell’avviso, così considerandolo legittimo, fossero gravi, precisi e concordanti.
Dal contenuto del ricorso nonché dall’esame di quello introduttivo emerge che il ricorrente, nel primo motivo, ha contestato la validità dell’accertamento effettuato dall’Agenzia perché non preceduto da valido contraddittorio.
Alla censura ha poi fatto seguito la memoria (indicata dal ricorrente e dal giudice di seconde cure) nella quale è stata ulteriormente illustrata la doglianza con l’allegazione di non aver ricevuto alcun questionario.
Va, in primo luogo, evidenziato che dall’esame della sentenza della CTR, emerge con evidenza che l’accertamento è intervenuto in applicazione degli studi di settore, sebbene l’avviso di accertamento sia stato corroborato da ulteriori elementi indiziari idonei a fondare la ripresa, tra i quali anche l’antieconomicità della gestione.
Ciò premesso, erra il giudice di merito nell’affermare che il ricorrente ha formulato una generica contestazione slegata da una specifica censura e quindi erra nella sua valutazione in punto di legittimità dell’avviso, slegata dalla previa verifica circa l’avvenuto contraddittorio preventivo con il contribuente.
Deve rimarcarsi, invero, che l’accertamento operato sulla base dell’ applicazione degli studi di settore impone, a pena di nullità, l’obbligo di un preventivo contraddittorio con il contribuente, in quanto il sistema delle presunzioni semplici su cui gli studi si fondano – la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati – richiede un percorso di adeguamento dell’elaborazione statistica alla concreta realtà economica del contribuente, il cui esito confluisce nella motivazione, la quale deve ricomprendere le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa sono stati disattesi (ex multis, Cass. S.U. n. 26635 del 18/12/2009).
Il motivo è quindi accolto sotto il profilo della mancata verifica dell’espletamento del contraddittorio preventivo con il contribuente , dovendo il giudice di rinvio accertare l’effettiva effettuazione di detto contraddittorio, previsto a pena di nullità dell’accertamento.
L’ulteriore contestazione concernente la gravità, precisione e concordanza degli elementi indiziari posti dall’avviso di accertamento a fondamento della ripresa è, invece, inammissibile, perché riguarda il merito della decisione del giudice di appello, che non può essere validamente contestato con la proposizione di una censura di violazione di legge.
L’accoglimento in parte qua del primo motivo comporta l’assorbimento del secondo motivo.
2 . Il terzo motivo è, invece, infondato.
Per consolidato orientamento di legittimità, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. descrivono i due momenti nei quali si articola il giudizio di diritto, ovvero quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto e quello afferente all’applicazione della norma stessa, una volta correttamente individuata ed interpretata. Più precisamente, il vizio di violazione di legge consiste nell’inesatta ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e si risolve nella negazione o affermazione erronea dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata, mentre il vizio di falsa applicazione di legge consiste o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista -pur rettamente individuata e interpretata- non è idonea a regolarla, o nel
trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione.
Non rientra, invece, nell’àmbito applicativo dell’evocato paradigma processuale l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la quale è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass. n. 9293/2023, Cass. n. 21844/2022, Cass. n. 14199/2012, Cass. n. 21944/2020).
Va, inoltre, rilevato che, in ossequio all’onere di specificità dei motivi sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., il ricorrente che denunci un simile vizio è tenuto, a pena d’inammissibilità della censura, a indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, a esaminarne il contenuto precettivo e a raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, da richiamare espressamente, onde far risaltare che queste ultime non sono rispettose del precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa officiosa trascendente le sue funzioni- la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (cfr. Cass. n. 19822/2023, Cass. n. 37257/2022, Cass. n. 17567/2022, Cass. n. 8003/2022, Cass. Sez. Un. n. 23745/2020).
Nel caso di specie, la società ricorrente, attraverso l’apparente denuncia di pretese violazioni di norme di legge e di princìpi di diritto, mira, in realtà a sollecitare una diversa ricostruzione della quaestio facti rispetto a quella operata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado e ad ottenere un riesame del materiale probatorio, allo scopo di farne derivare una decisione diversa da quella cui è pervenuto il giudice distrettuale e conforme alle proprie aspettative.
Il motivo, infatti, aldilà della disposizione invocata impinge nel merito, contestando la valutazione effettuata dalla C.T.R., circa l’insussistenza di una attività economica svolta in regime di reverse charge, così sollecitando una rivalutazione della controversia, inibita in questa sede.
3 .In conclusione è accolto, nei limiti di cui sopra, il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo e rigettato il terzo.
La sentenza è quindi cassata e rinviata alla Corte di giustizia di secondo grado della Campania, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, assorbito il secondo, rigettato il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2024