Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24493 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24493 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20534/2021 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come in atti
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 3310/16/2020 depositata il 18/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Maggio Anna impugna per cassazione, con tre motivi, la sentenza della CTR in epigrafe che, in riforma della decisione della CTP di Messina , riteneva legittimo l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate in base agli studi di settore e previa instaurazione del contraddittorio, con cui era stato rideterminato il reddito d’impresa da £ 161.260.000 a £ 255.452.000 per l’anno 200 0 ai fini Ires, Irap e Iva.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa interpretazione dell’art. 10, comma 3 -bis, l. n. 146 del 1998, come introdotto dalla l. n. 311 del 2004, nonché dell’art. 62 sexies d.l. n. 331 del 1993, conv. dalla l. n. 427 del 1993 per aver la CTR ritenuto che la mancata partecipa zione del contribuente al contraddittorio legittimasse l’Ufficio a motivare l’accertamento sulla base del solo scostamento dagli standards degli studi di settore, ritenendo che tale conseguenza, pur recepita dalla Suprema Corte, non possa derivare dalla legge che non porrebbe alcun obbligo a carico del contribuente rispetto all’invito al contraddittorio. Rileva la natura sanzionatoria e punitiva del diverso orientamento, pure affermato dalla Corte di cassazione.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis , n. 1, cod. proc. civ.
2.1. La giurisprudenza assolutamente costante e unanime di questa Corte, a partire da Sez. U, n. 26635 del 18/12/2009, ha affermato il principio secondo il quale « La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé
considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito. » (v. ex multis Cass. n. 24931 del 18/08/2022; Cass. n. 24598 del 10/08/2022; Cass. n. 16545 del 20/06/2019; Cass. n. 21754 del 20/09/2017; Cass. n. 9484 del 12/04/2017; Cass. n. 10047 del 16/05/2016; Cass. n. 17646 del
06/08/2014; Cass. n. 13741 del 31/05/2013; Cass. n. 22599 del 11/12/2012; Cass. n. 13594 del 04/06/2010).
Né le ragioni addotte sono suscettibili di determinare una nuova riflessione, neppure potendosi accedere alla prospettiva, sollevata dal ricorrente, di una asserita valenza punitiva dell’orientamento della Corte, il quale, invece, trova il suo fondamento non solo nelle specificità dello strumento accertativo ma anche nei principi di correttezza e buona fede, che presidiano lo stesso, posto che la condotta inerte della parte si pone in evidente frontale contrasto con essi.
Nella specie, peraltro, la CTR, dopo aver evidenziato la mancata partecipazione del ricorrente al contraddittorio, ha anche sottolineato che nessun elemento probatorio è stato addotto dalla parte, tale da poter inficiare, in qualsiasi misura, la pretesa de ll’Ufficio.
Il secondo motivo denuncia ‘omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia’.
3.1. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.
La doglianza, in primo luogo, non è più proponibile ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. ratione temporis applicabile, nella formulazione introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. con modif. nella l. 7 agosto 2012 n. 134, che ha circoscritto il controllo del vizio di legittimità alla verifica del requisito “minimo costituzionale” di validità prescritto dall’art. 111 Cost., sicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, condizioni qui non sussistenti.
In secondo luogo, anche a voler ricondurre la doglianza al vizio di ‘omesso esame di fatto decisivo’, la censura resta inammissibile sia perché, in realtà, non viene dedotto alcun fatto di cui sia stato omesso
l’esame, sia perché osta alla deduzione del vizio l’art. 348 ter cod. proc. civ. avendo la CTR statuito in piena conformità alla decisione di primo grado.
Il terzo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2729 cod. civ. e conseguente mancato rilievo della nullità dell’avviso di accertamento’.
4.1. Pure tale motivo è inammissibile, riproponendo, e in termini generici, le medesime censure sollevate con il primo motivo sulla idoneità della ripresa fondata sullo studio di settore in assenza di partecipazione al contraddittorio, di cui contesta il valore presuntivo.
La censura, in ogni caso, nel contestare la valenza degli elementi apprezzati dalla CTR mira ad una rivalutazione degli elementi probatori acquisiti in giudizio in vista di una rivisitazione dell’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito, non consentita nel giudizio di legittimità.
5. il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese a favore del controricorrente , che liquida in complessive € 4.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 08/07/2025.