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Accertamento studi di settore: la grave incongruenza

Una società ha impugnato un avviso di accertamento basato sugli studi di settore. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, specificando che l’accertamento studi di settore richiede una ‘grave incongruenza’ tra il dichiarato e il presunto. Una volta dimostrata tale incongruenza, spetta al contribuente fornire la prova contraria per giustificare lo scostamento, senza che l’Agenzia delle Entrate debba fornire ulteriori elementi presuntivi.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento studi di settore: quando è legittimo? La Cassazione chiarisce

L’accertamento studi di settore rappresenta da anni uno degli strumenti più discussi nel contenzioso tributario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce sui presupposti di legittimità di tale procedura, soffermandosi in particolare sul requisito della ‘grave incongruenza’ e sulla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione analizza il caso di una società a cui era stato notificato un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relativo all’anno 2005, fondato proprio sull’applicazione degli studi di settore.

I fatti di causa

Una società si vedeva recapitare un avviso di accertamento basato sulle risultanze degli studi di settore, che evidenziavano ricavi superiori a quelli dichiarati. La società impugnava l’atto, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano i suoi ricorsi. I giudici di merito ritenevano l’operato dell’Ufficio corretto, sottolineando che l’accertamento non era un’applicazione automatica dei risultati del software ‘Gerico’, ma era supportato da ulteriori elementi, come l’antieconomicità della gestione aziendale e la non congruità del reddito dichiarato per diversi anni. Secondo i giudici, il contribuente non aveva fornito elementi concreti per smontare le presunzioni dell’Agenzia delle Entrate.

L’accertamento studi di settore e i motivi del ricorso in Cassazione

La società decideva di ricorrere in Cassazione, articolando la propria difesa su tre motivi principali:
1. Motivazione apparente della sentenza: Si lamentava che la Commissione Tributaria Regionale avesse omesso di motivare adeguatamente la propria decisione rispetto alle contestazioni sollevate.
2. Violazione delle norme sull’accertamento: Si sosteneva che l’Ufficio avesse erroneamente utilizzato lo strumento degli studi di settore senza fondare l’accertamento su altri elementi presuntivi e senza dimostrare che lo scostamento tra ricavi dichiarati e presunti fosse ‘grave’.
3. Violazione delle norme sul contraddittorio: Si contestava la legittimità del procedimento per non aver tenuto conto dei rilievi presentati dalla società in sede di contraddittorio preventivo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo importanti chiarimenti sulla disciplina dell’accertamento studi di settore.

In primo luogo, ha escluso che la motivazione della sentenza d’appello fosse meramente apparente. Sebbene sintetica, essa esprimeva chiaramente le ragioni della decisione: la correttezza dell’uso delle presunzioni derivanti dagli studi di settore, l’antieconomicità dell’attività e la mancanza di prove contrarie da parte del contribuente.

Il cuore della pronuncia risiede nell’analisi del secondo e terzo motivo, esaminati congiuntamente. La Corte ha ribadito un orientamento consolidato, anche delle Sezioni Unite, secondo cui l’applicazione degli studi di settore costituisce un sistema di ‘presunzioni semplici’. La loro validità non deriva automaticamente dallo scostamento, ma si perfeziona solo all’esito del contraddittorio con il contribuente. In questa sede, il contribuente ha il diritto e l’onere di provare l’esistenza di condizioni particolari che giustifichino la non applicabilità degli standard al suo caso specifico.

La Corte ha poi affrontato il nodo centrale della ‘grave incongruenza’. Ha confermato che, nonostante le modifiche legislative intervenute nel tempo, questo requisito rimane un presupposto impositivo necessario per gli avvisi di accertamento fondati sugli studi di settore. Tuttavia, una volta che l’Ufficio dimostra l’esistenza di tale significativa divergenza, non è tenuto a fornire ulteriori elementi presuntivi. È la semplice esistenza di uno scostamento grave a invertire l’onere della prova, spostandolo sul contribuente, che dovrà giustificarlo prima in sede di contraddittorio e poi, eventualmente, in giudizio.

Nel caso specifico, la Corte ha dichiarato inammissibili le censure del ricorrente sulla gravità dello scostamento e sulla violazione del contraddittorio, poiché la questione non era stata specificamente sollevata nei gradi di merito e il ricorso mancava della necessaria specificità, non avendo trascritto né l’avviso di accertamento né i rilievi formulati in sede amministrativa.

Conclusioni

L’ordinanza conferma un principio fondamentale in materia di accertamento studi di settore: la ‘grave incongruenza’ è un presupposto essenziale per la legittimità dell’atto. Tuttavia, una volta che questa è palese, l’onere di dimostrare la specificità della propria situazione economica e le ragioni dello scostamento ricade interamente sul contribuente. La decisione sottolinea, ancora una volta, l’importanza cruciale della fase del contraddittorio preventivo e la necessità di articolare difese precise e ben documentate sin dai primi gradi di giudizio, pena l’inammissibilità delle censure in sede di legittimità.

Un accertamento basato sugli studi di settore richiede sempre una ‘grave incongruenza’ tra reddito dichiarato e presunto?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che il requisito della ‘grave incongruenza’ tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore costituisce un presupposto impositivo necessario per la legittimità degli avvisi di accertamento su di essi fondati.

L’Agenzia delle Entrate deve fornire ulteriori prove oltre allo scostamento derivante dagli studi di settore?
No. Una volta dimostrata l’esistenza di una ‘grave incongruenza’, non occorre alcun elemento presuntivo diverso dalla semplice esistenza di tale scostamento. A questo punto, l’onere di giustificare la differenza passa alla società contribuente.

Cosa succede se il contribuente non partecipa al contraddittorio con l’Agenzia?
Se il contribuente, regolarmente convocato, non partecipa al contraddittorio, ne assume le conseguenze. L’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standard. Tuttavia, il contribuente mantiene la piena facoltà di giustificare lo scostamento in sede giudiziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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