Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31656 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31656 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25271/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in CATANIA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. CATANIA n. 2735/2022 depositata il 29/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 1573/2016 del 04.12.2015, depositata il 12.02.2016, la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Catania, accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE in
liquidazione avverso l’avviso di accertamento emesso ai sensi dell’art. 39, comma 1, lettera d), art. 40 del D.P.R. 600/73 e art. 54 del D.P.R. n 633/1972, con il quale l’Agenzia delle entrate, tenuto conto dello scostamento tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore UG75U, aveva accertato, per l’anno 2010, maggiori imposte IRES, IRAP ed IVA, rispettivamente di € 16.758,00, di € 2.938,00 e di € 12.188,00, ed aveva irrogato sanzioni per € 25.137,00.
La CTP ha accolto il ricorso del contribuente dando rilievo allo studio di settore evoluto VG75U, da cui si desumeva la congruità della dichiarazione.
La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia ha accolto l’appello.
Secondo i Giudici d’appello, non ricorreva alcun difetto di motivazione dell’avviso impugnato, scaturito dall’applicazione dello studio di settore, perché la società non aveva partecipato al contraddittorio, a cui era stato regolarmente invitata; nel merito, ha rilevato che lo studio evoluto, valorizzato dai primi giudici, era stato oggetto di specifici rilievi dell’Ufficio, contro i quali la società appellata non aveva mosso nessuna specifica contestazione, finendo, in buona sostanza, col confermare la legittimità dell’accertamento svolto.
La società ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza fondato su tre motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 comma 3 bis, della legge 8 maggio 1998, n. 146, così come introdotto dalla l. 30 dicembre 2004, n. 311, degli artt. 24 e 53 della Cost. e degli artt. 2697 c.p.c. e 2729 c.c., per aver i giudici della CTR statuito,
sulla scorta del comportamento omissivo della mancata partecipazione all’invito al contraddittorio, la fondatezza dell’avviso di accertamento e l’acquiescenza allo stesso del contribuente.
1.1. Il motivo è inammissibile, perché la ricorrente non ha correttamente inteso il senso della decisione sul punto, ed è comunque infondato.
1.2. Dalla mancata partecipazione della contribuente al contraddittorio la CTR ha fatto derivare soltanto la legittimità dell’atto impugnato, motivato con riferimento allo studio di settore UG75U, conformemente al consolidato orientamento di questa Corte.
1.3. Invero, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, di cui all’art. 62sexies , comma 3, del d.l. n. 331 del 1993, conv. con mod. dalla l. n. 427 del 1993, fondata sulla ricorrenza di ‘gravi incongruenze’ (anche dopo la modifica dell’art. 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146 da parte dell’art. 1, comma 23, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, v. Cass. n. 20608 del 2022), secondo l’orientamento affermato dalle Sezioni Unite n. 26635 del 2009, costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento ma deve essere
integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. Nel qual caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards , dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass., sez. un., n. 26635 del 2009; Cass. n. 12558 del 2010; Cass. n. 12428 del 2012; Cass. n. 23070 del 2012; Cass. n. 17787 del 2016; Cass. 9806 e 17289 del 2017; Cass. n. 18907 del 2018; Cass. n. 379 del 2019; Cass. n. 23252 del 2019; Cass., n. 769 del 2019; Cass. 21656 del 2022; Cass. n. 24931 del 2022).
1.3.1. Va precisato, altresì, che la ricorrenza delle “gravi incongruenze” non può essere fondata, in via assoluta, su precise soglie quantitative di scostamento, perché quella nozione si ricava da indici di natura relativa, da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività (Cass. n. 22946 del 2015; Cass. n. 20608 del 2022, par. 9.3); orientativamente, si fissa nel 10% lo scostamento minimo indicativo di « divergenze significative tra i ricavi dichiarati e
quelli risultanti dagli studi di settore» (Cass. n. 8854 del 2019; Cass. n. 8028 del 2021; Cass: n. 5719 del 2024).
Con il secondo motivo si deduce in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973, 62-bis e 62-sexies del d.l. n. 331/1993 convertito, con modificazioni dalla legge n. 427/1993, 2727 e 2729 c.c., perché la CTR non aveva valutato né il «’ quid pluris’ accertativo, da dimostrarsi ad opera dell’Ente Impositore » né lo scostamento accertato pari all’11%, fondando la decisione sul calcolo standardizzato.
2.1. Questo motivo è per un verso inammissibile e per altro verso infondato.
2.2. Il motivo è inammissibile laddove si cerca di rimettere in discussione, sotto il paradigma della violazione di legge, l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito, il cui apprezzamento è incensurabile di per sé nel giudizio di legittimità (Cass. sez. un. n. 34476 del 2019), e si richiamano questioni meritali introdotte con il ricorso iniziale ma che non risultano riproposte in appello (v. pag. 18 e 19 del ricorso per cassazione), relative alla particolare situazione della società (che si occupava, con maestranze altamente qualificate, di lavorazioni specializzate, i cui corrispettivi venivano pagati a distanza di tempo e che non era più operativa dall’8.8.2012) nonché ai dati su cui si fonda l’ accertamento (in particolare, si era contestato quale indice di non coerenza il ‘valore aggiunto per addetto’ calcolato dall’Ufficio nella elevata percentuale del 112,36%).
2.2.1. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di
causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015); invero, « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass. n. 9097 del 2017).
2.3. La censura è anche infondata perché la decisione non si basa semplicemente sullo scostamento tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dallo studio di settore ma deriva dalle risultanze del concreto contraddittorio tra le parti.
2.3.1. Va precisato che la società aveva dedotto in giudizio lo studio di settore evoluto TARGA_VEICOLO che riduceva sensibilmente lo scostamento (5,5%), tanto da far ritenere al primo giudice « la congruità d l’Amministrazione
appellante
aveva «
per avere utilizzato il
correttivo congiunturale riferito alla crisi economica del 2012 (€ 67.333,00), si da pervenire ad un risultato congruo e ciò, seppure, del predetto dato correttivo non doveva tenersi conto nell’applicazione di detti studi di settore evoluti per il 2012, con
riferimento alla pretesa relativa all’anno 2010, come, peraltro, previsto dalla circolare n. 23 del 2013 dell’Agenzia delle Entrate, nonché per le rilevate incoerenze con riferimento all’incidenza degli ammortamenti dei beni strumentali mobili (€ 18.552,00) rispetto al valore degli stessi, risultato di incoerenza che determinava un risultato di maggiore ricavi da indicatori di normalità economica di € 28.301,00 ». Contro queste puntuali osservazioni dell’Ufficio – tra cui spicca il dato temporale (il correttivo era stato introdotto con riguardo al 2012 mentre l’accertamento riguarda il 2010) la società appellata, secondo la sentenza, non aveva « mosso nessuna specifica contestazione, neppure con la memoria illustrativa e. tantomeno ha offerto elementi di prova atti superare quanto rilevato dall’Ufficio appellante essendosi limitata, piuttosto, ad una generica contestazione, così finendo, in buona sostanza, con il confermare la legittimità dell’operato accertamento» . La Commissione ha concluso per l’inapplicabilità dello studio evoluto VG75U e la fondatezza dei rilievi dell’Ufficio, confermando quindi ì l’accertamento fondato sul precedente studio di settore UG75U che aveva rivelato uno scostamento dell’11% rientrante comunque nell’ambito di significatività della divergenza tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dal metodo standardizzato (v. par. 1.3.1.) – in linea con l’orientamento di questa Corte, secondo cui il comportamento del contribuente è valutabile nel contesto del quadro probatorio (v. par. 1.3.).
3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c. 1, n. 4. c.p.c., violazione degli artt. 1 e 36 d.lgs. n. 546/1992, 132, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., essendo la motivazione, con la quale la CTR ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, « assolutamente incoerente ed apparente » sia nella valutazione del « comportamento omissivo del contribuente in fase precontenziosa», dell’ « esistenza del ‘quid pluris’ accertativo» e della «’lievità’ dinanzi ad uno scostamento dell’11% in base allo
studio di settore UG75U e del 5,5 % in base allo studio di settore VG75U », sia nella considerazione degli elementi fattuali esposti dalla difesa .
3.1. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla
logicità del suo ragionamento). Come si desume dalla superiore espositiva, la motivazione attinge il c.d. ‘minimo costituzionale’ rendendo chiaramente intelligibile il percorso logico -giuridico seguito dalla CTR, la cui decisione è derivata dal confronto tra le posizioni delle parti.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito . ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 26/09/2024.