Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32421 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32421 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
Oggetto: avviso di accertamento -art.39 d.P.R. n.600/73 -studi settore -II.DD. e IVA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1227/2017 R.G. proposto da
NOME COGNOME, titolare dell’omonima ditta individuale, rappresentata e difesa dall’Avv. Di COGNOME Paolo, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma alla INDIRIZZO (PEC: studiolegaledigravioEMAILpec.it);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n.5279/52/16 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, depositata il 6.6.2016, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 27 settembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, veniva rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME titolare dell’omonima ditta individuale, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Benevento n. 384/7/15 con la quale il giudice aveva parzialmente accolto il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO/2014.
L’accertamento , basato sull’accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, d), del d.P.R. 600/73 nell’ambito del quale veniva fatta applicazione degli studi di settore ex art.62-sexies del d.l. 331/1993, accertava per l’anno d’imposta 2009 maggiori ricavi non dichiarati per euro 57.800,00, con conseguente rideterminazione di IRREF, IVA, IRAP, Addizionale regionale e relative sanzioni.
Il giudice di prime cure, disattese le questioni preliminari, nel merito accoglieva solo in parte le difese della contribuente, rideterminando i maggiori ricavi in euro 22.800,00. La decisione veniva confermata dal giudice d’appello.
Avverso tale sentenza la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tredici censure, al quale l’Agenzia delle Entrate ha replicato con controricorso.
Considerato che:
Una prima censura, non numerata, ma individuabile alla lettera ‘ A ‘ a pag.3 del ricorso prospetta, senza indicazione del pertinente paradigma de ll’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., prospetta in termini generici l’ error in procedendo commesso dal giudice d’appello ,
che non si sarebbe pronunciato su punti decisivi della controversia, generando anche un difetto di motivazione.
La censura è infondata, perché la motivazione della sentenza impugnata è congrua ed intellegibile. Anche si ipotizzasse una qualificazione della doglianza come dedotta ai sensi della nuova versione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., comunque sarebbe inammissibile per doppia conforme di merito, alla luce del doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sia in primo sia secondo grado. Infatti, la CTP ha solo rideterminato il quantum della pretesa, e l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse.
Una seconda censura, anch’essa non numerata, ma individuabile alla lettera ‘ B ‘ a pag.3 del ricorso, ai fini de ll’art. 360, comma 1, n.5, cod. proc. civ., prospetta in termini generici l’ error in iudicando che il giudice d’appello avrebbe commesso, per non aver il giudice tenuto della documentazione prodotta dal contribuente nei due gradi di giudizio.
3.1. Il motivo, abbozzato in poche righe, è inammissibile per radicale genericità e apoditticità.
Il terzo motivo di ricorso, numerato primo a pag.4, deduce, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’i nsufficiente
e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
La censura è inammissibile. L’art. 54, comma primo, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, ha riformato il testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., e si applica nei confronti di ogni sentenza pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e, dunque, dall’11 settembre 2012. La novella trova dunque applicazione nella fattispecie, in cui la sentenza impugnata è stata depositata il 6 giugno 2016 e, nel testo applicabile, il vizio motivazionale dev ‘ essere dedotto censurando l’ «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più l’«omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione» circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio come precedentemente previsto dal ‘vecchio’ n.5, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso il quale non ha tenuto conto del mutato quadro normativo processuale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 2014).
Con il quarto motivo, numerato secondo a pag.14, la ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 167 cod. proc. civ. e dell’art. 23 del d. lgs. 546/92 per non aver il giudice esaminato la documentazione della contribuente versata nel fascicolo processuale, mancando di porre a base della decisione le prove offerte dalla parte e di non aver tenuto conto dei fatti non contestati dall’Amministrazione.
6.1. Con l’ottavo motivo, numerato sesto a pag. 25 del ricorso, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., perché la CTR non avrebbe rilevato che l’Ufficio non ha allegato né dimostrato attraverso prove il
fondamento delle riprese, tenuto anche conto dell’art. 115 cod. proc. civ.
7. I due mezzi di impugnazione, connessi, sono inammissibili, in quanto chiaramente diretti ad ottenere un nuovo apprezzamento della prova. La Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332). Non vi sono ragioni per discostarsi da tale insegnamento nel caso di specie.
Inoltre, va tenuto conto del fatto che l’amministrazione finanziaria ha fondato l’accertamento su indizi qualificati e, comunque, sull’antieconomicità della gestione, e perciò non vi è stata alcuna inversione dell’onere della prova in violazione dell’art. 2697 cod. civ., e dalla sentenza impugnata emerge chiaramente che l’amministrazione finanziaria, prima, ed i giudici di merito, poi, hanno tenuto in considerazione le particolarità del caso concreto.
8. Con il quinto motivo, numerato terzo a pag. 15 del ricorso, NOME COGNOME in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt.42 del d.P.R. 600/73, 56 del d.P.R. 633/72, e 7 della Legge 212/2000 per non aver la CTR esaminato né essersi pronunciata sulla nullità dell’atto di accertamento, benché del tutto carente di motivazione e di indicazione della tipologia di accertamento seguito dall’Amministrazione e riportante per relationem atti presupposti non allegati all’avviso impugnato.
9. Il mezzo di impugnazione è inammissibile per difetto di specificità, in quanto lamenta in termini generici vizi motivazionali dell’avviso di accertamento senza riprodurne il contenuto, al fine di consentire alla Corte di apprezzare la decisività della censura.
10. Con la sesta censura, numerata quarta a pag. 18 del ricorso, ai fini de ll’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 del d.P.R. 600/73, 54 del d.P.R. 633/72 e 2979 cod. civ. con riferimento all’accertamento alla base del processo. Il giudice non si sarebbe pronunciato sulla questione dell’adozione dell’avviso in violazione dell’art.39 cit.
11. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza. Innanzitutto, come il precedente, è privo di specificità perché non riproduce il contenuto dell’avviso di accertamento e ciò rende impossibile una verifica del suo contenuto. E’ in ogni caso priva di fondamento la deduzione secondo cui le riprese sarebbero fondate esclusivamente sullo scostamento tra il reddito dichiarato e lo studio di settore applicato, dal momento che è pacifico il fatto che l’anomalia dei redditi dichiarati ha riguardato un arco temporale ampio (2007-11) entro il quale si colloca il periodo di imposta oggetto del processo, e ciò evidenzia una strutturale antieconomicità della gestione aziendale che corrobora le risultanze degli studi di settore, e tale compendio è certamente idoneo a fondare l’accertamento ex art. 39 cit. nei confronti della contribuente.
12. Il settimo motivo, numerato quinto a pag. 23 del ricorso, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., censura la violazione e falsa applicazione degli artt.75 TUIR e 53 della Costituzione, con riferimento specifico a ll’attività esercitata dalla contribuente e prospetta il fatto che l’Agenzia non avrebbe debitamente considerato i costi che hanno generato i maggiori ricavi accertati in presenza di un accertamento induttivo puro.
13. Il motivo è inammissibile. La censura è dedotta sul presupposto, erroneo, che quello condotto nella specie dall’amministrazione finanziaria sia un accertamento induttivo puro (v. pag. 23 del ricorso). Al contrario, dalla lettura della sentenza e degli atti di parte (l’avviso, si ribadisce, non è riprodotto), l’accertamento non risulta essere induttivo puro ex art. 39, comma 2, del d.P.R. 600/73, bensì analitico induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. 600/73. N ell’ambito di questo sono stati applicati gli studi di settore ex art.62-sexies del d.l. 331/1993 con riscontro, ulteriore allo scostamento dal reddito dichiarato, costituito dalla pluriennale antieconomicità della gestione e l’ individuazione dei componenti positivi di reddito accertati è stata calcolata proprio sulla base dei costi concretamente sostenuti dalla contribuente e da lei dichiarati. Dunque, dei costi si è già tenuto conto e, se ne fossero esistiti di ulteriori in misura maggiore e inerenti all’attività commerciale, avrebbero dovuto essere provati dalla ricorrente, mentre dalla lettura del ricorso non vi è evidenza in tal senso.
14. Il nono motivo, numerato settimo a pag. 27 del ricorso, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. 600/73, 56 del d.P.R. 633/72 e 7 della l. 212/2000, in quanto l’atto impositivo non sarebbe stato sottoscritto per conto dell’Agenzia da personale a ciò abilitato, questione sollevata all’udienza di trattazione in primo grado.
15. Il motivo è inammissibile. La ricorrente non coglie la ratio decidendi espressa a riguardo dalla CTR, che ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha di chiarato inammissibile la censura perché tardiva, in quanto la questione non era stata formulata nel ricorso introduttivo. Era tale ratio a dover essere censurata, mentre la ricorrente ripropone in questa sede la questione di merito già posta all’attenzione del giudice d’appello.
Con il decimo motivo, numerato ottavo a pag. 31 del ricorso, viene prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt.36, comma 2, del d.lgs. 546/92 e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.. Secondo la ricorrente il giudice non si sarebbe pronunciato su varie questioni sollevate con il ricorso introduttivo, nello specifico:
nullità per carente e contraddittoria motivazione. Violazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600/1973, e 56 del d.P.R. n.633/1972, oltre che dell’art. 7 della Legge n.212/2000;
nullità dell’atto impugnato per difetto di motivazione;
nullità dell’atto impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 54 del d.P.R. 633/72;
nullità dell’atto impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600/1973, comma 1, lettera d). Utilizzazione del criterio dell’antieconomicità;
nullità dell’atto impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600/73 comma 1 lettera d). Utilizzazione di dati di annualità diverse;
nullità dell’atto impugnato per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600/73 comma 1 lettera d). Utilizzazione degli studi di settore. Illegittimità del metodo accertativo. Carenza dei presupposti di legge;
nullità dell’atto impugnato per violazione e falsa applicazione dell’art. 75 comma 4 del d.P.R. n. 917/86 e dell’art. 53 della Costituzione;
nullità dell’atto impugnato per mancato assolvimento dell’onere della prova in violazione all’art. 2697 cod. civ.;
nullità per violazione della Legge 241/90 e della Legge 212/2000 e dell’art. 97 della Costituzione;
nullità dell’atto impugnato per violazione e falsa applicazione dell’art.53 della Costituzione;
nullità dell’atto impugnato per illegittimo utilizzo di presunzioni – infondatezza, nel merito, del medesimo atto;
nullità dell’accertamento per non avere l’Ufficio riconosciuto i relativi costi in presenza di un accertamento induttivo;
nullità dell’atto impugnato per violazione di norme Costituzionali;
nullità dell’atto impugnato per l’illegittimità, l’infondatezza e/o l’inapplicabilità delle sanzioni irrogate.
Il motivo è inammissibile, per la sua tecnica di formulazione che coniuga profili di censura tra loro estremamente eterogenei, riportando questioni di diritto certamente già affrontate da altre censure e su cui la CTR si è pronunciata (es. mancato assolvimento dell’onere della prova in violazione all’art. 2697 cod. civ., nullità dell’atto impugnato per difetto di motivazione, ecc..), come emerge del resto dai precedenti motivi di ricorso per cassazione già scrutinati. A ciò si aggiunge che la contribuente vi mescola profili nuovi di cui non dà prova della rituale presenza nel ricorso introduttivo e riproposizione in appello. A ben vedere, la ricorrente non allega neppure che gli ulteriori profili (es. nullità per carente e contraddittoria motivazione, nullità dell’atto impugnato per l’illegittimità, l’infondatezza e/o l’inapplicabilità delle sanzioni irrogate ecc..) siano formulati nel ricorso introduttivo, riportandone i passaggi a riprova, siano stati poi riproposti in appello.
Con l’undicesimo motivo, numerato nono a pag. 35 del ricorso, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., viene prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt. 47 e 61 del d.lgs. 546/92, 19, comma 2, del d.lgs. n. 472/97 e la nullità della sentenza per non aver il giudice esaminato la domanda di tutela cautelare.
19. Il motivo è inammissibile, innanzitutto per la contraddittoria tecnica di formulazione che non individua neppure il pertinente paradigma processuale con riferimento alla pretesa omessa pronuncia, che è quello dell’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ..
Inoltre, vi è anche carenza di interesse ex art. 100 cod. proc. civ. alla luce della decisione da parte del giudice d’appello nel merito delle questioni, in un breve spazio temporale successivo alla proposizione dell’appello in data 25 novembre 2015, considerato che l’appello è stato discusso e deciso cinque mesi dopo il deposito del ricorso, all’udienza del 27 aprile 2016.
Infine, vi è anche un profilo di difetto di specificità non risultando dalla sentenza impugnata che la domanda cautelare fosse stata proposta contestualmente al l’appello .
20. La dodicesima censura, numerata decima a pag. 36 del ricorso, in relazione a ll’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 67 del d.P.R. 600/73, e 2727 cod. civ. in quanto «I giudici della CTR, evidenziando nelle premesse della sentenza tale richiesta, non si sono pronunciati su tale richiesta, né hanno evidenziato che non era stata fissata l’udienza di trattazione della sospensione. L’atto impugnato deve ritenersi nullo, in quanto si basa su presunzioni a catena, in violazione del divieto di praesumptio de praesumpto, sancito dall’ordinamento tributario» (p. 36 del ricorso).
21. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi espressa dal giudice nella sentenza impugnata. La causa è stata decisa non sulla base di presunzioni di secondo grado, ma nell’ambito di un accertamento analitico-induttivo e, dunque, sulla base di presunzioni semplici, facendo anche applicazione dell’ art. 62-sexies del d.l. 331/1993, ossia dello scostamento tra reddito dichiarato e studi di settore, non giustificato dalla contribuente e riscontrato dall’antieconomicità della gestione aziendale per un vasto arco temporale.
22. Con la tredicesima censura, numerata undicesima a pag. 36 del ricorso, in riferimento all’ art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., si deduce anche la violazione e falsa applicazione dell’art. 2979 cod. civ., questione sulla quale il giudice d’appello non si sarebbe pronunciato.
23. Il motivo è inammissibile, sia per la tecnica di formulazione, che non individua le condizioni utili ai fini dell’art.360 , primo comma, n.4, e non n. 3 cod. proc. civ. per introdurre in cassazione una doglianza di omessa pronuncia, tra cui quelle di specificità e di localizzazione della censura sul segmento della domanda in cui sarebbe occorsa l’omessa pronuncia, anche per incongruenza nella formulazione della doglianza, dal momento che l’art. 2979 cod. civ., relativo alle forme della vendita, non è pertinente con l’oggetto della presente controversia.
24. Il ricorso è conclusivamente rigettato. Le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 1.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27/09/2024