Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8306 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8306 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
Avviso di accertamento IRPEF ed altro 2007
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5963/2018 R.G. proposto da: dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio
COGNOME, rappresentato e difeso dell’Avvocato NOME COGNOME sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE ENTRATE -Direzione centrale e Direzione Provinciale, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. SICILIA, SEZ. DISTACCATA SIRACUSA n. 3075/2017, depositata in data 21 agosto 2017.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE in relazione all’anno di imposta 2007 con il quale veniva rettificato il reddito ai fini IRPEF ed addizionali regionale e comunale in complessivi € 72.332,83, ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in forza del possesso di beni indice e segnatamente: compravendita di fabbricato e possesso di autovetture.
Avverso l’avviso di accertamento, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Siracusa; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate che presentava un riformulato accertamento rideterminando il reddito in € 30.433,00.
La C.t.p. di Siracusa, con sentenza 1272/2014 accoglieva il ricorso annullando l’atto impositivo, ritenendo provato da parte del contribuente il possesso di redditi esenti.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla C.t.r. della Sicilia; il contribuente si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 3075/2017, depositata il 21 agosto 2017, la C.t.r. accoglieva l’appello, ritenendo legittimo l’avviso di accertamento così come rideterminato in sede di autotutela.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Sicilia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo, così rubricato «violazione e falsa dell’art. 22 d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ammesso l’accertamento sostitutivo in ‘autotutela’ dell’appellata, ha computato nel calcolo del reddito, le
spese per incrementi patrimoniali degli anni 2009, 2010, 2011, che ratione temporis, dovevano invece computarsi fino al 2009.
Con il secondo motivo, così rubricato «omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.)», il contribuente lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha dichiarato ammissibile l’accertamento dell’Ufficio in ‘autotutela’ che, al contrario, risultava manifestamente illegittimo per omessa notificazione dei termini al contribuente, in violazione dell’art. 43 d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600 e per falsa esposizione, nel nuovo accertamento sostitutivo, dei dati presuntivi del reddito e, falsa imputazione a discarico dei maggiori redditi esenti.
Con il terzo motivo, così rubricato «nullità della sentenza e/o procedimento per error in procedendo per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.)», il contribuente il contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha valutato a discarico i maggiori redditi esenti come provati e versati in atti.
Il primo motivo di ricorso proposto è inammissibile oltre che infondato.
Invero, il contribuente ha introdotto nuove eccezioni rispetto ai gradi di giudizio di merito in violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992 perché mai ha contestato che le spese per incrementi patrimoniali degli anni 2009, 2010 e 2011, ratione temporis, dovevano computarsi sino al 2008.
2.1. Costituisce giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di
contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 6989/2004; Cass. n. 5561/2004; Cass. n. 1915/2004). Pertanto, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 28/07/2008, n. 20518).
2.2. Il motivo è anche infondato perché l’Ufficio ha opportunamente applicato le disposizioni previste dall’art. 38 de d.P.R. n. 600/73 commi 4, 5 e 6 determinando sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali conseguiti dal contribuente nel periodo 2007-201.
Con un autorevole e recente arresto (30/01/2024, n. 2746), preceduto da altri di eguale tenore, la Corte ha statuito che ‘In materia di giudizio tributario, il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall’art. 6 della l. n. 130 del 2022, secondo cui il giudice deve valutare la prova comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, non si pone in contrasto con la persistente applicabilità delle presunzioni legali che, nella normativa tributaria sostanziale, impongano al contribuente l’onere della prova contraria’.
Il secondo motivo di ricorso è innanzitutto inammissibile.
Le censure ivi declinate, in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ, non illustrano dove e quando sarebbe stato proposto in atti il nuovo accertamento sostitutivo. A completa obliterazione di qualsivoglia riferimento a se, dove e quando sia stato prodotto il relativo documento, la censura non adempie all’onere di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti
processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Cass., 15/01/2019, n. 777; Cass., 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U. 03/11/2011, n. 22726).
Tale onere viene ribadito ed aggravato, con l’inserimento altresì della necessaria illustrazione del contenuto rilevante degli stessi atti processuali e documenti, dall’ art. 3, comma 27, del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, applicabile tuttavia ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, ex art. 35, comma 5, del medesimo d.lgs.
3.1. Il motivo è, inoltre, infondato con riferimento ad entrambe le censure che propone.
3.1. Con la prima il contribuente lamenta l’omesso rilievo da parte della C.t.r. della mancata notifica nei termini di cui all’art. 43 d.P.R. n. 600/1973 dell’accertamento sostitutivo in autotutela.
3.2. La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di ricordare che: «Questa Corte (Cass. 22019/2014; Cass.937/2009) ha affermato che solo “l’integrazione o la modificazione “in aumento” dell’originario avviso, che determina una “nuova” pretesa tributaria rispetto a quella originaria, deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento, che, aggiungendosi o sostituendosi a quello originario, indichi i nuovi elementi di fatto, di cui è sopravvenuta la conoscenza, come prescritto dall’art. 43, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a garanzia del contribuente, a differenza della modifica in diminuzione che non necessita di forme o motivazioni particolari, in quanto non integra una nuova pretesa tributaria, ma si risolve in una mera riduzione di quella originaria” (Cass. 11699/2016).
L’atto emesso in autotutela all’esito dell’esame della documentazione offerta dalla parte in sede di accertamento con adesione implicava, nella specie, una riduzione della pretesa
tributaria accertata con il pregresso atto impositivo e quindi non poteva ritenersi nuovo, costituendo mera revoca parziale del precedente atto, già notificato, e non doveva essere emesso nel termine decadenziale di esercizio del potere impositivo. Nella specie, peraltro l’autotutela parziale era intervenuta nel corso del giudizio di primo grado di impugnazione dell’originario avviso, in cui l’Agenzia delle Entrate aveva dato atto di avere adottato un atto in autotutela e ribadito, per la parte residua dell’avviso, la legittimità del proprio operato. A tal riguardo questa Corte ha affermato che ‘Poiché anche nel processo tributario le parti conservano la disponibilità dei diritti in contestazione, qualora l’Amministrazione finanziaria si avveda in corso di causa che è corretta e da accogliere una eccezione del contribuente relativa all’erroneo computo del credito d’imposta indicato nell’avviso impugnato, non per questo deve rinnovare l’intero procedimento amministrativo di accertamento, avendo il potere – dovere di ridurre la domanda originaria. Tale riduzione della domanda, non equivalendo a diverso e autonomo accertamento in via di rettifica da parte dell’Amministrazione, è ammissibile anche se operata per la prima volta in grado d’appello, con conseguente dovere del giudice di valutare la pretesa fiscale residua’ (Cass. n. 15413/2017; conf. n. 11265/2003; Cass. 2262/2018)» (Cass. n. 13311/2019).
3.3. Dunque, nessuna omissione sul punto è rintracciabile nella sentenza della C.t.r. qui impugnata che dà atto che si tratta di autotutela in melius per il contribuente laddove nel motivo non viene illustrato perché sarebbe, invece, un nuovo accertamento sostitutivo; vieppiù che dalla sentenza impugnata risulta che la C.t.r. si limiterebbe a ritenere fondata una parte della prova contraria offerta dal contribuente né evidenzia quale interesse avrebbe, in qualità di contribuente, a respingere un atto quale l’autotutela riduttiva in melius per lui, dal quale gli derivano solo vantaggi.
3.4. Con la seconda censura del motivo in esame, il contribuente lamenta l’omesso rilievo da parte della C.t.r. della falsa esposizione, nel nuovo accertamento sostitutivo, dei dati presuntivi del reddito e della falsa imputazione a discarico dei maggiori redditi esenti.
3.5. Ebbene, se in merito alla falsa esposizione, nel nuovo accertamento sostitutivo, dei dati presuntivi del reddito, il ricorrente richiama ancora la mancata applicazione della nuova disciplina portata dall’art. 22 del D.L. n. 78/2010, dovendosi quindi rimandare sul punto alle considerazioni svolte nell’analisi del primo motivo, con riguardo alla falsa imputazione a discarico dei maggiori redditi esenti, invece, non può che evidenziarsi come la censura non faccia che risolversi nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal Giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al Giudice di legittimità (Cass., SS.UU., sent. n. 34476/2019); in altri termini, viene chiesto di effettuare un nuovo esame sul merito della controversia e di approdare ad una valutazione degli elementi di prova difforme da quella fatta propria dal collegio di seconda istanza la cui decisione ritiene corretto l’operato dell’Ufficio per mezzo dell’atto di autotutela sostitutivo del precedente accertamento e non idonee ulteriori prove offerte dal contribuente.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. In primo luogo, la censura si appalesa inammissibile sul base del principio per il quale «in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e, dunque, nei limiti consentiti dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012» (Cass. n. 10342/2022, Cass. n. 3572/2021, Cass., SS.UU., n. 20867/2020 e Cass. n. 23940/2017).
Contrariamente a ciò, la presente censura risulta dedotta ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
4.2. Inoltre, anche questo motivo non fa che risolversi nell’invito a questa Corte ad effettuare un nuovo esame meritale, illegittimo in questa sede.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 7 febbraio 2025.