Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1692 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1692 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 23/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 18580/2020, proposto da:
SEGRETO COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al ricorso per cassazione, da ll’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’Avv. NOME COGNOME a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
– intimata –
avverso la sentenza n. 6283/2019 della Commissione tributaria regionale della Sicilia- sez. distaccata di Messina, depositata il 4 novembre 2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16
gennaio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Il 27 luglio 2007 l’Amministrazione finanziaria notificò a NOME COGNOME un avviso di accertamento contenente ripresa a tassazione di un maggiore imponibile ai fini Irpef per l’anno 2001, oltre all’irrogazione di sanzioni.
La pretesa erariale traeva origine dal rilievo di maggiori redditi accertati in capo alla s.n.c. RAGIONE_SOCIALE di Segreto NOME RAGIONE_SOCIALE, a ristretta base partecipativa, della quale la contribuente era socia al 20%.
La Segreto impugnò l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Messina, la quale, disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società, accolse il ricorso.
La sentenza fu parzialmente riformata dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia -sezione staccata di Messina, adìta in via di gravame dall’Agenzia delle entrate.
I giudici regionali rilevarono anzitutto che la pretesa tributaria nei confronti della società era venuta meno non già per ragioni di merito, bensì per adesione di quest’ultima a provvedimento di condono; esclusero, pertanto, che da ciò derivassero ripercussioni sul reddito da partecipazione della Segreto, alla quale gli effetti del condono non potevano essere estesi.
Ciò posto, e ritenuta perciò legittima la pretesa erariale quanto alla ripresa a tassazione, la disattesero invece in punto alle sanzioni,
ritenendo non estensibili ai soci le conseguenze delle scelte societarie che avevano determinato la verifica fiscale.
NOME COGNOME ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a un unico motivo. L’Amministrazione finanziaria è rimasta intimata.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso è dedotta «violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 40, co. 2, del d.P.R. n. 600/73 e 5, co. 1, del d.P.R. n. 917/86 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ.».
La ricorrente osserva che la pretesa erariale trae origine da un accertamento svolto dalla Guardia di finanza nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE sfociato -tuttavia -non già in un atto impositivo, ma in un semplice processo verbale di constatazione, e assume che la ripresa a tassazione, a suo carico, di un maggiore imponibile dovuto a redditi di partecipazione avrebbe invece dovuto essere preceduta da un avviso di accertamento.
Del resto, osserva ancora, il p.v.c., redatto nei soli confronti della società, era rimasto «totalmente sconosciuto» ai soci, non essendo neppure stato allegato all’avviso di accertamento loro successivamente notificato.
Pertanto, conclude la ricorrente, l’atto impositivo era stato emesso in violazione del principio di «unitarietà dell’accertamento» fra società e soci.
In via preliminare, va osservato che la sentenza d’appello risulta resa anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, alla quale, tuttavia, il ricorso per cassazione non è stato notificato; del pari, il contraddittorio non risulta essere mai stato esteso al socio di maggioranza NOME COGNOME
Il rilievo di tali circostanze, pur designando la sussistenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario originario alla quale non ha fatto seguito l’integrazione del contraddittorio, non impedisce al Collegio di pronunziarsi sul merito dell’impugnazione.
Va infatti data continuità, in proposito, al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, laddove il ricorso per cassazione appaia inammissibile o prima facie infondato (ipotesi che, come si dirà, ricorre nella specie), occorre evitare comportamenti che si concretino in dispendio di attività processuale e inconcludenti formalità. In tali casi, poiché la riapertura del giudizio non soccorre esigenze difensive del litisconsorte, si determinerebbe un ingiustificato e inutile appesantimento con la retrocessione della controversia, che si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (in tal senso, Cass. n. 18890/2021; v. anche Cass. n. 11287/2018).
Ciò premesso, l’unico motivo di ricorso è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi .
3.1. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza d’appello, e non contestata dalla ricorrente, la pretesa erariale trae origine da un p.v.c. notificato alla SE.PI. s.n.c., in esito al quale quest’ultima definì la propria posizione mediante accesso a procedura di condono.
La sentenza impugnata, nel ritenere legittima la ripresa a tassazione del maggior reddito da partecipazione in capo alla ricorrente, ha dunque fatto applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili extra bilancio prodotti da società a
ristretta base partecipativa non viene meno in ipotesi di presentazione di domanda integrativa di condono da parte della società, essendo questa ed il socio titolari di posizioni fiscali distinte e indipendenti (Cass. n. 29503/2020; Cass. n. 9117/2016; Cass. n. 386/2016; Cass. n. 7134/2014; Cass. n. 15642/2013).
3.2. La ricorrente non si confronta con tale decisivo rilievo.
Essa, infatti, insiste sul dato della mancata emissione di un avviso di accertamento nei confronti della società, che corrobora con la produzione di una ‘certificazione tributaria’ ove si attesta questa circostanza (la nota prot. 11031/2010 della Direzione dell’ufficio locale di Patti dell’Agenzia delle Entrate); ma tale rilievo non incide sull’argomento portante della sentenza impugnata, proprio perché l’insussistenza di atti impositivi a carico della società è dipesa dal fatto che quest’ultima ha definito la propria posizione con adesione a provvedimento di condono dopo la notifica del processo verbale.
3.3. Peraltro, e per completezza, si può osservare che è privo di rilievo il fatto che l’accertamento operato nei confronti della società fosse sfociato in un p.v.c., e non (ancora) in un atto impositivo; per l’operatività della presunzione di attribuzione pro quota , infatti, è sufficiente che -oltre al dato della ristretta base sociale e/o familiare, qui pacifico -sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, ancorché non definitivo (Cass. n. 26032/2024; Cass. n. 15334/2013).
Né, in tal caso, occorre che l’avviso di accertamento emesso a carico del partecipe rechi allegato il p.v.c. riferito alla società; questa Corte, in proposito, ha infatti ripetutamente affermato che l’atto impositivo emesso nei confronti del socio è adeguatamente motivato anche quando costui non abbia partecipato all’accertamento nei confronti della s ocietà e l’atto contenga un mero rinvio per
relationem ai redditi di quest’ultima , in virtù dei poteri concessi ai soci di consultare la documentazione contabile e di partecipare, perciò, agli accertamenti che riguardano la società (così, fra le altre, Cass. n. 16522/2022).
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conferma della statuizione impugnata.
Nulla sulle spese, in assenza di attività difensiva da parte dell’Amministrazione.
Sussistono i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento di un importo pari a quello previsto per il contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1bis del d.P.R. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025.