Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9210 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9210 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2194/2016 R.G. proposto da : COGNOME con gli avvocati NOME COGNOME e NOME
COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente-
avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 1061/2015 depositata il 16/06/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugnava l’avviso di accertamento n. T6301DP02612/2012, emesso dalla Direzione Provinciale di Venezia in data 13.11.2012 e notificatogli in data 15.11.2012, con il quale l’Ufficio , accertato ex art. 41 DPR n. 600/73 un maggior reddito ammontante a 63.887,00 euro derivante da utili ritenuti distribuiti in quanto socio della RAGIONE_SOCIALE, società di capitali a ristretta base partecipativa, provvedeva a recuperare le imposte dovute a titolo di IRPEF ed addizionali oltre, relative sanzioni ed interessi.
1.1. Con l’avviso di accertamento n. T6303N101912/2012, notificato in data 15.10.2012, era stato imputato per l’anno 2007, in capo alla predetta società, che non aveva presentato alcuna dichiarazione fiscale, un reddito d’impresa pari a 127.775,00 euro, derivante dal recupero di ricavi analitici non dichiarati.
Le ragioni del contribuente non trovavano accoglimento nei gradi di merito.
Avverso la sentenza della CTR indicata in epigrafe NOME COGNOME ricorre con sei motivi e resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la motivazione apparente della sentenza in violazione degli artt. 35 e 36 del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’a rt. 132 c.p.c.
1.1. Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata ha risolto le questioni attinenti al giudizio di secondo grado mediante «affermazioni apodittiche che costituiscono una motivazione apparente, non spiegando sulla base di quali elementi il Giudice abbia ritenuto fondato l ‘accertamento ».
1.2. Il motivo è infondato.
1.3. L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo , la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della sentenza.
1.4. D’altro canto, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel giudizio di cassazione censure incentrate sulla pretesa insufficienza dell’apparato argomentativo sorreggente il decisum (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
1.5. Nessuna di tali fattispecie ricorre nel caso in esame, in quanto dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, ove viene esaminata analiticamente ciascuna delle censure formulate con i motivi di appello, emerge con chiarezza ed esaustività l’iter logico seguito dalla CTR per argomentare i propri convincimenti.
Con il secondo motivo il ricorrente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c. denuncia la violazione dell’art. art. 42 D.P.R. 600/1973 per carenza di legittimazione del firmatario dell’avviso di accertamento, perché sottoscritto da funzionario diverso dal capo ufficio, e non essendo nella delega espressamente indicato il nome del delegato.
2.1. Il motivo è inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione
che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
2.2. Il motivo è comunque infondato.
2.3. Incontestato (per stessa ammissione del ricorrente -v. pag. 6 del ricorso) che l’atto impugnato sia stato sottoscritto da funzionario delegato dal d irettore dell’ ufficio, va premesso che sul tema della sottoscrizione degli atti impositivi tributari questa Corte, con decisione condivisa ( ex multis v. Cass. n. 11013/2019; Cass. 11778/2023), ha affermato che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poich é́ realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessit à di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass. n. 6678/2023).
2.4. Il principio è stato precisato anche in rapporto all’intervento della Consulta in ordine alla decadenza del firmatario nell’inquadramento nella dirigenza dell’Agenzia delle entrate, affermando che in tema di accertamento tributario, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il
quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalit à̀ dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito dalla l. n. 44 del 2012 (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5177/2020).
Con il terzo strumento di impugnazione il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’ art. 75 c.p.c. e la conseguente nullità dell’atto di costituzione nel giudizio di appello dell’Agenzia delle Entrate di Venezia.
3.1. Allega il contribuente che la Commissione tributaria regionale avrebbe omesso di esprimersi sull’eccezione di parte appellante relativa all’art. 75 c.p.c. violando, altresì, l’art. 182 c.p.c., applicabile al processo tributario per espresso richiamo dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 546/1992. Il giudice di secondo grado, afferma, avrebbe dovuto esprimersi per la nullità della costituzione in giudizio dell’Ufficio tributario, in quanto l’atto di costituzione non è stato firmato dal rappresentante legale dell’Agenzia delle Entrate né da un Procuratore ad litem . Sostiene parte ricorrente che la costituzione in giudizio è un atto giudiziario e non un atto amministrativo, per cui nessuna delega può essere data dal rappresentante legale della struttura “avente personalità giuridica di Diritto Pubblico” ma necessita del rispetto del codice di procedura civile e dell’art.12 D. Lgs.546/1992, il quale esonera dall’assistenza in giudizio di un difensore abilitato, soltanto gli uffici del Ministero delle Finanze e gli Enti Locali.
3.2. Il motivo è infondato, in primo luogo ove si censura il mancato rilievo officioso del dedotto difetto di legittimazione.
3.3. Va a tale riguardo, infatti, osservato che questa Corte ha affermato che «In tema di processo tributario, il difetto di legittimazione della sottoscrizione dell’atto di appello da parte del funzionario di un ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, anche ove non sia esibita in giudizio una specifica delega, non è rilevabile
d’ufficio, trattandosi di circostanza che deve essere eccepita dal contribuente, dovendosi in mancanza presumere che l’atto provenga dal soggetto legittimato e ne esprima la volontà». (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 2901 del 31/01/2019).
3.4. Il vizio denunciato, comunque, non sussiste, dovendosi ricordare che «La rappresentanza processuale dell’articolazione periferica dell’Agenzia delle entrate si concentra sul capo di essa ed anche, a termini dell’art. 3 del regolamento interno di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, sul semplice preposto all’ufficio legale (in favore del quale è da ritenersi operativa una delega generale); perciò, ai fini della legittima spendita del potere rappresentativo, è sufficiente l’effettiva attribuzione in organigramma di taluna delle suddette posizioni al soggetto che sottoscrive l’atto ex artt. 10 e 11, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, a prescindere dalla sua qualifica dirigenziale, con la conseguenza che, agli effetti della validità, è irrilevante la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, di cui a Corte cost. n. 37 del 2015» (da ultimo v. Cass., Sez. 5, n. 23782 del 04/09/2024).
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la mancata instaurazione del contradditorio, in palese violazione di norme di diritto , con riferimento all’ art. 360, comma 1, n. 3 e 5 с.p.с.
4.1. Il motivo è inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione
(Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
4.2. Il motivo è comunque infondato, non ravvisandosi, nella specie, l’obbligo per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale.
4.3. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito». Dunque «non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. a tavolino» (Cass. S.U. n. 24823/2015).
4.4. Nel caso di specie non vi era pertanto alcun obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, in quanto risulta circostanza pacifica
che la verifica, avente ad oggetto delle imposte dirette, non si è svolta presso i locali del contribuente.
Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 4 e n. 5 c.p.c. la «Carenza di litisconsorzio ex art. 14 D.Lgs. n. 546/1992 -Violazione art. 41-bis D.P.R. 600/1973»
5.1. Lamenta il ricorrente che i giudici di appello abbiano ritenuto inammissibile l’eccezione, asserendo essere la stessa una richiesta fatta in violazione dell’art. 57 del D.Lgs. 546/1992, laddove non si trattava di un motivo nuovo, come affermato in sentenza, bensì del rilievo di error in procedendo commesso da parte della CTP di Venezia, in quanto, per poter attribuire il reddito ai soci, era necessario che la controversia instaurata dalla società fosse definita con sentenza passata in giudicato.
5.2. Il motivo, da interpretarsi, in ragione delle argomentazioni svolte e nonostante la coacervata rubrica, quale denuncia del mancato rilievo officioso della violazione del litisconsorzio, è infondato, dovendosi peraltro correggere la motivazione della sentenza impugnata nei termini che seguono.
5.3. Prevede l’art. 14, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 che, se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. Ne consegue che il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass., ord., 28 febbraio 2018, n. 4580; Cass., ord., 22 gennaio 2018, n. 1472), e dunque erroneamente la relativa contestazione è stata ritenuta inammissibile perché in violazione del divieto di nova in appello.
5.4. Tuttavia, nel caso di specie non è ravvisabile, in radice, una ipotesi di litisconsorzio necessario, giacché «secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di impugnazione
dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, non sussiste litisconsorzio necessario tra società e soci, sussistendo unicamente il nesso di pregiudizialità dipendenza tra l’accertamento sociale e quello dei soci (Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2020, n. 21649; Cass., Sez. VI, 28 agosto 2017, n. 20507; Cass., Sez. V, 10 gennaio 2013, n. 426; Cass., Sez. V, 31 gennaio 2011, n. 2214). Il mancato intervento (in astratto) di uno dei soci della società di cui è stata predicata la ristretta base non comporta violazione dell’art. 14 d.lgs. n. 546/1992» (Cfr. Cass., V, n. 94/2022).
Il motivo deve pertanto essere rigettato.
Con il sesto strumento di impugnazione il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il «Vizio di motivazione. Insufficienza -Illogicità, in relazione al fatto controverso e decisivo del giudizio sotteso agli artt. 41 bis Dpr 600/73 e 2697 c.c.»
6.1. Deduce il contribuente che la CTR del Veneto avrebbe omesso di valutare nel merito la controversia riguardante l’attribuzione ai soci del presunto reddito extra contabile conseguito dalla società. Se ciò avesse fatto, di altro tenore sarebbe stata la sentenza emessa, che avrebbe portato inevitabilmente a conclusione diversa e, segnatamente, avrebbe dovuto dichiarare nullo l’accertamento del socio Corigliano essendo ancora pendente il giudizio instaurato da parte della società avverso l’avviso di accertamento nei confronti della stessa.
6.2. Il motivo è inammissibile.
6.3. È infatti censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del
discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. 31/01/2017, n. 2474).
6.4. Per fatto decisivo deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto di discussione tra le parti, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e se preso in considerazione avrebbe determinato una decisione diversa (Cass. 13/04/2017, n. 9637). Pertanto, non costituiscono ‘fatti’ suscettibili di fondare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le argomentazioni o deduzioni difensive, il cui omesso esame non è dunque censurabile in Cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (Cass. 13/04/2021, n. 9637), né costituiscono ‘fatti storici’ le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative (Cass. 31/03/2022, n. 10525).
6.5. Pacifica l’applicabilità della norma al processo tributario (così Sez. U n. 8053/2014, cit.), questa Corte, in tema di contenzioso tributario, ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale non si censuri l’omesso esame di un fatto decisivo, ma si evidenzi solo un’insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio (Cass. 28/6/2016 n. 13366, in materia di idoneità delle dichiarazioni rese da un terzo a fondare la prova, da parte della contribuente, di fatture per operazioni inesistenti).
6.6. Infine, il vizio in esame non è denunciabile qualora, come nel caso di specie, le sentenze di merito siano fondate sulle medesime ragioni di fatto (cd. doppia conforme), incombendo al ricorrente in
cassazione l’onere di allegare che, di contro, le due decisioni si fondino su ragioni diverse.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 05/03/2025.