Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12456 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12456 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18009/2018 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dal Prof. Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura a margine del ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
PEC: EMAIL
– ricorrenti- contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO. PEC: EMAIL
– controricorrente e ricorrente in via incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della PUGLIA, sezione staccata di Lecce, n. 3673/2017, depositata in data 7 dicembre 2017, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto un avviso di accertamento, relativo ad Iva ed altro, per l’anno di imposta 2007, con il quale veniva determinato un reddito d’impresa di euro 333.296,00, a fronte di quello dichiarato, e venivano determinate maggiori imposte e sanzioni.
2 . I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che nel contenzioso in atto si discuteva degli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci, avverso i quali non si ravvisavano, nel ricorso, motivi di contestazione specifici, in quanto i contribuenti avevano presentato alcune argomentazioni a sostegno delle proprie doglianze che, però, si riferivano tutte al contenzioso riguardante la società «RAGIONE_SOCIALE, di cui erano soci ciascuno con una quota di partecipazione pari al 50%.; i ricorrenti contestavano un contenzioso che era diventato, peraltro, definitivo e, dunque, in mancanza di censure specifiche mosse nei confronti degli accertamenti dei soci, gli appelli dovevano essere dichiarati inammissibili.
COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione del combinato disposto dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 44 e ss. del d.P.R. n. 917 del 1986. I ricorrenti avevano impugnato i due atti impositivi a loro notificati deducendo la mancanza di un valido avviso di accertamento emesso nei confronti della società all’epoca della notifica in liquidazione e successivamente cancellata dal registro delle imprese, avviso che costituiva un indispensabile antecedente logico-giuridico de ll’accertamento nei confronti dei soci.
Il secondo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. La questione della non corretta notifica dell’avviso di accertamento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, quale atto presupposto degli atti impositivi notificati ai soci, era dunque rilevante ai fini del giudizio, ma la CTR aveva omesso di affrontare la questione della corretta o meno notifica dell’avviso di accertamento della società e sul punto vi era stata una omessa pronuncia. Inoltre, la CTR non aveva considerato che la sentenza n. 491/2/14, divenuta definitiva per mancata impugnazione da parte di COGNOME Vincenzo non poteva estendere i suoi effetti di giudicato nel giudizio riguardante i ricorrenti rimasti estranei al giudizio, così violando l’art. 2909 c.c.
2.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono inammissibili per difetto del requisito dell’attinenza delle censure alla ratio decidendi della sentenza impugnata, laddove i giudici di secondo grado hanno affermato che i contribuenti avevano proposto
delle argomentazioni che si riferivano tutte al contenzioso riguardante la società, lamentando la nullità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di COGNOME NOME perché notificato a soggetto non legittimato a ricorrere in nome della società e che i ricorrenti in appello avevano contestato un contenzioso che peraltro era divenuto definitivo. Inoltre, i giudici di secondo grado hanno affermato che i ricorrenti non avevano formulato motivi di contestazione nei confronti del contenzioso in atto relativo agli avvisi di accertamento emessi nei loro confronti, né erano state mosse censure specifiche nei confronti degli accertamenti dei soci (cfr. pagine 4 e 5 della sentenza impugnata).
2.2 Non è superfluo rilevare che secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, non vi è litisconsorzio necessario tra società e soci, sussistendo unicamente il nesso di pregiudizialitàdipendenza tra l’accertamento sociale e quello dei soci (Cass., 7 luglio 2022, n. 21644; Cass., 4 gennaio 2022, n. 94; Cass., 8 ottobre 2020, n. 21649; Cass., 28 agosto 2017, n. 20507; Cass., 10 gennaio 2013, n. 426; Cass., 31 gennaio 2011, n. 22143.) Dunque, sebbene la giurisprudenza di questa Corte ritenga che tra la società di capitali e il socio che ricevano, la prima, un avviso di accertamento di maggiori utili extrabilancio conseguiti e, il secondo, un avviso di ricevimento di maggiori utili a lui distribuiti pro quota , non ricorra un caso di litisconsorzio necessario, si ammette tuttavia un rapporto di dipendenza tra le sorti dell’avviso di accertamento a carico della società e quello emesso a carico del socio, con la conseguenza che il giudicato nei confr onti della società (o comunque l’irrevocabilità dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società) non può
non spiegare effetti riflessi nei confronti del socio e che l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, in ipotesi come quelle riferibili alla contestazione di utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano, con la conseguenza che si è affermato che non ricorrendo, come invece accade per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, quello relativo al maggior reddito accertato in capo al socio deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., applicabile nel giudizio tributario in forza del generale richiamo dell’art. 1 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Cass., 15 marzo 2022, n. 8480, in motivazione; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1574; Cass., 31 gennaio 2011, n. 2214).
In tema di giudicato, poi, questa Corte ha più volte ribadito che, in tema di effetti del giudicato, la sentenza che sia passata in giudicato, oltre ad avere un’efficacia diretta tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, ne ha anche una riflessa, poiché, quale affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche anche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo nel quale sia stata resa, qualora essi siano titolari di diritti dipendenti dalla situazione definita in quel processo, o comunque subordinati a questa. In coerenza con tali principi si è altresì precisato che, nella materia tributaria, la sentenza favorevole alla società contribuente, che esclude il conseguimento di superiori ricavi non contabilizzati a fini IRAP, divenuta irrevocabile per mancata impugnazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, può essere utilizzata, nonostante la diversità delle imposte, dal socio come prova nel giudizio tributario per contestare ai fini IRPEF i presunti utili percepiti nell’esercizio della medesima attività d’impresa, posto che, anche in difetto di espressa previsione legislativa, l’esclusione dello
stesso dato economico e fattuale di partenza fa venir meno, di riflesso, anche la fonte giustificativa dei pretesi redditi incassati dal socio (Cass. 16 novembre 2011, n. 24049; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24793; Cass. 23 maggio 2019, n. 13989).
Sulla scorta di tali principi, deve, dunque, ritenersi che nel giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo al socio di una società di capitali a ristretta base sociale debba riconoscersi l’efficacia riflessa del giudicato formatosi nel giudizio intercorso tra l’Agenzia delle Entrate e la società (Cass. 19 gennaio 2021, n. 752; Cass., 13 settembre 2024, n. 24621).
Più in particolare, è stato affermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la validità dell’avviso in ordine a ricavi non contabilizzati, emesso a carico di società di capitali a ristretta base partecipativa, costituisce presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, con la conseguenza che l’annullamento dello stesso con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari; tale carattere pregiudicante non si rinviene, invece, nelle ipotesi di annullamento per vizi del procedimento (nella specie per inesistenza della notifica e per errata intestazione dell’avviso), le quali danno luogo ad un giudicato formale, e non sostanziale, difettando una pronuncia che revochi in dubbio l’accertamento sulla pretesa erariale (Cass., 19 gennaio 2021, n. 752). Inoltre, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la previsione di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, con la conseguente inversione dell’onere della prova a carico del
contribuente, il quale non può limitarsi a denunciare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, ma deve dimostrare -eventualmente anche ricorrendo alla prova presuntiva -che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società e che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne è appropriato altro soggetto (Cass., 29 luglio 2024, n. 21158).
2.3 Dunque, dato per accertato che l’avviso di accertamento notificato alla società, nella persona del legale rappresentante COGNOME NOMECOGNOME non è stato impugnato ed è, pertanto, divenuto definitivo, correttamente i giudici di merito hanno affermato che non si poteva discutere di vizi di notifica dell’avviso emesso nei confronti della società, in quanto di tali vizi di poteva discutere soltanto in sede di impugnazione di quell’avviso; sempre correttamente i giudici di merito hanno rilevato che i soci non avevano formulato censure specifiche agli avvisi di accertamento a loro notificati, né i ricorrenti hanno mai prima allegato e poi provato che i maggiori ricavi non erano stati effettivamente realizzati dalla società e che quest’ultima non li avesse distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne fosse appropriato altro soggetto.
3. Il terzo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992. I ricorrenti, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, avevano ritualmente dedotto l’infondatezza della maggiore pretesa fiscale. Sul punto vi era stata una omessa pronuncia o, in alternativa, una motivazione apparente. Inoltre, le contestazioni di merito contenute nell’appello non erano nuove, in quanto il contraddittorio su tali dati era stato introdotto dallo stesso Ufficio nel corso del giudizio di merito di primo grado.
3.1 Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
3.2 E’ in primo luogo inammissibile per difetto di specificità, stante che, nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del «fatto processuale», intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass., 14 ottobre 2021, n. 28072), onere che nel caso in esame non è stato assolto, a fronte dell’accertamento operato dai giudici di secondo grado sulla mancanza di motivi di contestazione nei confronti del contenzioso in atto relativo agli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci e di censure specifiche mosse nei confronti degli accertamenti dei soci (cfr. pagine 4 e 5 della sentenza impugnata).
3.3 La censura è pure inammissibile, in quanto l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado,
che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. (come nel caso di specie), o del vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo «error in procedendo» – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello; pertanto, alla mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro «ex actis» dell’assunta omissione, consegue l’inammissibilità del motivo (Cass., 13 ottobre 2022, n. 29952; Cass., 12 ottobre 2017, n. 23930; Cass., 27 ottobre 2014, n. 22759; Cass., 16 marzo 2013, n. 6835).
4. Il primo ed unico motivo del ricorso incidentale, con il quale si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, nn. 3 e 4, c.p.c., nonché dell’art. 36, nn. 4 e 5, del d.lg s. n. 546 del 1992, e contrasto tra dispositivo e motivazione, in quanto la CTR nel dispositivo aveva dichiarato l’inammissibilità degli appelli presentati dall’Agenzia delle Entrate, quando, invece, l’Agenzia delle Entrate non aveva proposto alcun appello incidentale avverso le sentenze di primo grado che avevano integralmente rigettato i ricorsi introduttivi dei contribuenti, deve ritenersi assorbito, in quanto espressamente condizionato.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso principale va rigettato e il ricorso incidentale va dichiarato assorbito; i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2025.