Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1236 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1236 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/01/2025
Avviso di accertamento società di persone- soci giudicato -Vizio di contestazione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28396/2016 R.G. proposto da:
DELLE CESE NOME e DELLE CESE NOME, rappresentati e difesi dall’ Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dal l’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LAZIO, n. 2373/2016, depositata il 27/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME e NOME COGNOME entrambi soci per una quota pari alla metà ciascuno della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, ricorrono nei confronti d ell’Agenzia delle entrate , che si è difesa a mezzo controricorso, avverso la sentenza in epigrafe.
1.1. L’Ufficio emetteva Processo Verbale di Costatazione relativo agli anni 2005 e 2006, e successivi avvisi di accertamento nei confronti della società con i quali, verificata la non corretta tenuta della contabilità aziendale, accertava ricavi occulti.
Di seguito emetteva nei confronti dei soci altro avviso di accertamento (TK7013106894/2011) con il quale imputava loro per trasparenza il maggior reddito conseguito nell’anno 2006 .
1.2. Entrambi i soci, con separati ricorsi, impugnavano l’atto impositivo personale.
1.3. La C.t.p., previa riunione, rigettava entrambi i ricorsi. Rilevava che in separati giudizi aveva già rigettato i ricorsi proposti dalla società, per gli anni di imposta 2005 e 2006, e che la rideterminazione del reddito societario comportava l’imputazione per trasparenza ai soci in ragione della metà ciascuno.
1.4. La C.t.r., dopo aver riunito gli appelli proposti dai due soci avverso la medesima sentenza, li rigettava. In primo luogo disattendeva l’eccezione di violazione del litisconsorzio necessario con la società rilevando che si trattava di litisconsorzio facoltativo e che il primo giudice aveva comunque tenuto conto della vicenda societaria da lui conosciuta. Nel merito, rilevava che la posizione dei due soci era collegata a quella della società, oggetto di separati giudizi relativi agli anni 2005 e 2006, chiamati alla stessa udienza e conclusisi entrambi con rigetto dell’appello e conferma della sentenza di primo grado; che le sentenze emesse nei confronti della società producevano sui giudizi incardinati dai soci l’effetto tipico del giudicato esterno, sicché all’accertamento del maggior reddito societario conseguiva l’imputazione del medesimo ai due soci; che le obiezioni formulata da questi ultimi non erano idonee a sorreggere una diversa valutazione
rispetto a quella compiuta in primo grado e sorretta da motivazione congrua e coerente.
Considerato che:
I contribuenti propongono tre motivi di ricorso.
1.1. Il primo motivo è così rubricato: «nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. Il Giudice di merito ha infatti motivato in maniera assolutamente incerta circa un fatto decisivo della vicenda giuridica che ci impegna. Tale omesso esame emerge, nei modi che seguono, in maniera inequivocabile dagli atti di causa e le motivazioni della sentenza hanno l’ambizione di assorbirlo senza tuttavia, nemmeno succintamente, indicarne le ragioni in fatto od in diritto che legittimano ad avallare il contegno procedurale e processuale dell’Ufficio. In relazione alla doglianza di cui al punto 2 del Ricorso in Appello (pag. 6) circa la decadenza dal potere accertativo dell’Ufficio ».
Rilevano che, sin dai ricorsi introduttivi, avevano eccepito le ragioni che rendevano illegittimi il recupero, per l’anno di imposta 2006, di maggiori Irap ed Iva e censurano la sentenza per aver resto motivazione generica ed insufficiente.
1.2. Il secondo motivo è così rubricato: «decadenza dal potere accertativo ed omessa applic azione dell’art. 32 DPR 600/73, violazione e falsa applicazione dell’art. 43 del DPR 600/73 errore e falsa applicazione dell’art. 39 comma 1 lettera d) DPR 600/73 . I ricavi contestati nell’avviso di accertamento erano da riferire al 2005 e dunque sono del tutto estranei all’annualità 2006, che qui ci impegna. Chiarisce la stessa CTR che i ricavi sono frutto di una indagine finanziaria; non si comprende dunque per quale motivo la CTR del Lazio non abbia stralciato questa specifica voce dall’avviso di accertamento ».
Censurano la sentenza impugnata per aver rigettato l’eccezione di decadenza e per aver ritenuto che l’Ufficio avesse chiarito per quali ragioni i ricavi contestati fossero imputabili al 2006. Evidenzia che
l’accertamento aveva ad oggetto versamenti bancari eseguiti nel 2005 e non assoggettati a tassazione nell’anno di competenza per aggirare le preclusioni di cui all’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973.
1.3. Il terzo motivo è così rubricato: «violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1 lettera d) : il contribuente non può che invocare la cassazione della sentenza che non ha rilevato la n ullità dell’avviso di accertamento per difetto di prova e di motivazione ex art. 360, co. 1, n. 5, del Codice di Procedura Civile».
Va in primo luogo rilevato che i due giudizi introdotti dalla società avverso gli avvisi di accertamento relativi ai redditi del 2005 e del 2006 -quest’ultimo prodromico all’imputazione per trasparenza di cui all’avviso di accertamento impugnato in questa sede, – si sono conclusi innanzi a questa Corte con ordinanze nn. 1306 e 1339 del 2024 le quali, entrambe, hanno dichiarato inammissibile il ricorso societario. Nelle due sentenze si è dato atto che la società aveva riferito di aver presentato dichiarazione di definizione agevolata con riferimento agli atti impositivi di cui al giudizio; che tuttavia, non sussistevano i presupposti per la pronuncia di estinzione in quanto la definizione era relativa a cartelle mentre il giudizio aveva ad oggetto avviso di accertamento. Ciononostante, la Corte prendeva atto della espressa rinuncia manifestata dalla società per non avere più interesse al giudizio; di qui la dichiarazione di inammissibilità.
2.1. La rilevanza nel giudizio di detti provvedimenti è conseguenza del principio per il quale i poteri cognitivi della Corte possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche prescindendo dalle allegazioni delle parti facendo ricorso, se necessario, a strumenti informatici e banche dati elettroniche (Cass. 30/12/2020, n. 29923)
2.2. La definitività della pronuncia resa nei confronti della società impedisce l’integrazione del contraddittorio in quanto quest’ultima ha visto già definita la propria posizione. Questa Corte, infatti, ha già
affermato che, una volta divenuto incontestabile il reddito della società di persone, nel giudizio di impugnazione promosso dal socio avverso l’avviso di rettifica del reddito da partecipazione non è configurabile un litisconsorzio necessario con la società e gli altri soci, essendo venuta meno l’esigenza di unitarietà dell’accertamento (Cfr. Cass.14/03/2022, n. 8211). Stessi principi vanno applicati alla fattispecie in esame nella quale, comunque, risulta la definizione del contenzioso avverso l’avviso societario.
3 . Il primo motivo del ricorso è inammissibile.
3.1. Poiché la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 27/04/2016, trova applicazione l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b), dell’art. 54, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate dall’11/09/2012, donde l’inammissibilità delle censure prospettate secondo la precedente disciplina del vizio di motivazione.
3.2. Anche a voler reinterpretare il motivo riconducendolo al paradigma di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. e, dunque, come volto a censurare error in iudicando, ex art. 360, primo, per omessa o carente motivazione, il motivo è comunque infondato.
3.3. La C. t.r. ha rigettato l’appello dei contribuenti , così confermando la sentenza di primo grado, rilevando in primo luogo (§ 13) che la posizione fiscale dei due soci era strettamente collegata a quella della società, oggetto di separati giudizi, da cui dipendeva e che le controversie societarie erano state giudicate nella stessa udienza e decise con separate sentenze che avevano rigettato i ricorsi. Per l’effetto ha così statuito «Il rigetto delle predette impugnazio ni si riverbera inevitabilmente sulla posizione dei due odierni appellanti, con
l’effetto tipico del giudicato esterno, che è possibile far valere in questa sede».
La ratio decidendi è, pertanto, chiaramente esposta, in quanto la C.t.r. ha ritenuto che i soci non potessero contestare l’accertamento societario oggetto di separato giudizio, deciso contestualmente, e idoneo a produrre l’effetto tipico del giudicato esterno , indipendentemente dalla fondatezza dell’argomento .
Anche gli altri due motivi di ricorso sono inammissibili in quanto non colgono la ratio decidendi espressa dalla C.t.r. come sopra esposta.
4.1. Come già detto, La C.t.r ha espressamente affermato che le decisioni rese nei confronti della società, di rigetto dei ricorsi dalla medesima proposti con riferimento ad entrambe le annualità, riverberavano inevitabilmente sulla posizione dei due soci con l’effetto del giudicato esterno. Ha aggiunto che, del resto gran parte delle questioni riguardavano la società, e non la posizione individuale dei soci; di qui la loro dubbia ammissibilità essend o estranee all’oggetto del contendere ed ha ribadito che la rideterminazione dei redditi della società comportava il conseguente accertamento nei confronti dei soci; ha rigettato il motivo relativo alla violazione del litisconsorzio necessario, rilevando che la C.t.p. aveva tenuto conto della vicenda societaria e che, al più, il litisconsorzio era facoltativo. Infine, ha ribadito che «tutte le altre eccezioni, siccome rivolte verso il contenuto di un diverso contenzioso trovano la sede più idonea per la loro valutazione nelle relative sentenze».
4.2. Deve ribadirsi, pertanto, che la RAGIONE_SOCIALE con la prima statuizione ha ritenuto che i due soci non potessero contestare nel giudizio avente ad oggetto l’imputazione dei redditi per trasparenza l’avviso societario sulla cui legittimità affermava che fosse sceso il giudicato.
Tale statuizione non è stata oggetto di censura. Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, infatti, i contribuenti ripropongono le
questioni relative alla legittimità dell’accertamento societario non cogliendo la ratio decidendi della sentenza impugnata.
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento in favore dell ‘Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2024.