Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4617 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4617 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
IRAP IVA ACCERTAMENTO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16421/2017 R.G. proposto da:
COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME nonché, per procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. COGNOME elettivamente domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultimo ;
-ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avv ocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 49/2017, depositata il 17 gennaio 2017; udita la relazione svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 5 febbraio 2025; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentiti l’ Avvocato NOME COGNOME per i ricorrenti dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
-controricorrente -e l’Avvocato
FATTI DI CAUSA
Il 16 aprile 2014 l’Agenzia delle Entrate notificò l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE/2014 a NOME COGNOME e NOME COGNOME nella loro qualità di soci di RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, nel frattempo estinta.
La pretesa erariale traeva origine dall’accertamento di un maggior reddito di impresa in capo alla società, ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con conseguente rideterminazione dell’Irap e dell’Iva dovute per l’anno di imposta 2009.
I contribuenti impugnarono l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che respinse il loro ricorso.
2. Il successivo appello seguì identica sorte.
Con la sentenza indicata in epigrafe, e per quanto in questa sede ancora di interesse, i giudici regionali rilevarono:
-l’infondatezza della denunzia di nullità dell’avviso di accertamento in quanto sottoscritto da funzionario privo di delega, essendo prodotto in atti un provvedimento motivato di delega del direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Milano del 13 gennaio 2014, e a nulla rilevando il fatto che lo stesso non fosse stato allegato all’atto impositivo;
-che l’avviso di accertamento aveva effettivamente fatto seguito all’invio di un questionario ex art. 32, comma 4, del d.P.R. n. 600/1973, rivolto a una società già estinta; tale questionario, tuttavia, risultava effettivamente ricevuto da NOME COGNOME che ne era così giunta a conoscenza, con conseguente assolvimento delle finalità informative di cui alla menzionata disposizione;
-che all’accertamento in questione, svoltosi ‘a tavolino’, non era applicabile il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. 27 luglio 2000, n. 212;
che tantomeno i ricorrenti potevano dolersi -relativamente all’accertamento ai fini Iva -del mancato rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, non avendo essi adempiuto all’onere di allegazione specifica delle ragioni concrete che avrebbero potuto far valere in caso di tempestiva attivazione;
che, a tale specifico riguardo, erano irrilevanti le produzioni da questi effettuate in prossimità dell’udienza di discussione innanzi alla C.T.P., che non potevano sanare l’originario difetto di allegazione, come osservato dagli stessi giudici di primo grado;
che era errata anche la tesi difensiva dei contribuenti secondo cui l’Amministrazione aveva «operato un ricarico globale del 1706,69% in violazione dell’art. 53 della Costituzione», poiché l’importo nel quale si era concretizzata la ripresa a
tassazione corrispondeva all’ammontare dei costi non giustificati e, quindi, dedotti in assenza dei requisiti di legge;
-che, infine, non sussisteva alcuna nullità dell’avviso di accertamento in dipendenza del fatto che l’Amministrazione lo aveva notificato ai soci in solido, senza distinguere fra le rispettive qualità di accomandante e accomandatario, operando tale ultima distinzione unicamente nella successiva ed eventuale fase di escussione della pretesa erariale.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrati da successiva memoria.
L ‘Amministrazione finanziaria ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano «nullità della sentenza per violazione degli artt. 14, 19 e 59 del decreto legislativo n. 546 del 1992, degli artt. 101 e 102 del codice di procedura civile e dell’art. 111 Cost., anche nel relativo combinato disposto».
La censura ha ad oggetto la mancata integrazione del contraddittorio, da parte della C.T.R., nei confronti «di tutti i litisconsorti necessari».
Il secondo mezzo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 2312 e 2495 cod. civ., nonché dell’art. 10 della l. n. 212/2000.
I ricorrenti contestano la legittimità della notificazione del questionario ex art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600/1973 in quanto effettuata a società estinta e quindi divenuta priva della capacità di agire; ne deducono, in particolare, la sussistenza di una fattispecie di nullità assoluta, non sanabile dal fatto, ritenuto
invece rilevante dalla C.T.R., che l’ex legale rappresentante della società sarebbe stato comunque messo a conoscenza dell’atto notificato.
Il terzo motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 24 e 53 Cost. e dell’art. 10 della l. n. 212/2000.
I ricorrenti si dolgono della mancata considerazione, da parte dei giudici d’appello, dei documenti da loro prodotti nel corso del giudizio di primo grado a sostegno dell’eccezione circa il mancato rispetto del contraddittorio; evidenziano, al riguardo, le ragioni per le quali il ritardo nella produzione non sarebbe loro imputabile e richiamano, in ogni caso, la giurisprudenza che ha ritenuto legittime le produzioni tardive, sulla base del principio affermato dall’art. 58, comm a 2, del d.lgs. n. 546/1992 e del diritto costituzionale alla difesa in giudizio.
Con il quarto mezzo di impugnazione è dedotta violazione dell’art. 267 TFUE e dell’art. 24 della l. 7 gennaio 1929, n. 4.
La sentenza d’appello è criticata nella parte in cui ha respinto il motivo concernente il rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, coessenziale al fatto che si trattava di accertamento in ambito di Iva.
Il quinto motivo denunzia violazione degli artt. 53 Cost. e 39, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973, «come recepiti dalla circolare n. 32/E del 2006».
I ricorrenti ribadiscono la censura già svolta in sede d’appello in punto alla quantificazione del credito erariale, che assumono determinato non già «con le usuali percentuali di ricarico o le medie ponderate degli esercizi precedenti o gli indici statistici di mercato», ma , attraverso l’eliminazione dei costi, con
«un’iperbolica percentuale di ricarico globale che non ha riscontri nell’economia reale».
Osservano, peraltro, che la stessa amministrazione finanziaria, con la richiamata circolare, ha stabilito che in caso di accertamento di maggiori ricavi o compensi l’Ufficio deve tener conto anche dell’incidenza dei relativi costi.
Il sesto mezzo denunzia violazione dell’art. 2313 cod. civ.
La sentenza d’appello è criticata nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento, quantunque notificato ai soci dell’estinta RAGIONE_SOCIALE senza alcuna distinzione in ordine alle rispettive qualità di accomandante e accomandatario.
Infine, con il settimo motivo, denunziando «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 d.P.R. 600/73», i ricorrenti contestano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’atto impositivo benché sottoscritto da funzionario privo di delega; rilevano, in proposito, che la delega prodotta dall’Ufficio sarebbe «priva dei requisiti minimi per essere ritenuta valida», in quanto priva di motivazione, non conferita per il singolo atto ma per la totalità degli accertamenti concernenti un maggiore imponibile compreso fra 50.001,00 e 300.000,00 euro e priva della data di scadenza.
Occorre preliminarmente dar conto del fatto che, con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, i ricorrenti hanno chiesto a questa Corte di rilevare che «i principali capisaldi del ricorso rimangono acquisiti in base al principio di non contestazione», in quanto l’Agenzia controricorrente non li avrebbe confutati, avendo anzi espressamente concluso per «l’accoglimento della sentenza impugnata»; gli stessi ricorrenti, in ogni caso, sostengono che «sui medesimi temi si sono già
formati i giudicati per i ricorsi-fotocopia in risposta ad altrettanti accertamentifotocopia concernenti l’annualità precedente».
8.1. Entrambi gli assunti sono immeritevoli di àdito.
Quanto, infatti, all’affermata «non contestazione» dei motivi di ricorso, è appena il caso di osservare che, al contrario, l’Amministrazione ne ha dedotto l’inammissibilità o l’infondatezza sotto distinti e specifici profili.
La richiesta di annullamento -anziché di conferma -della sentenza impugnata, contenuta nelle conclusioni del controricorso erariale, è verosimilmente riconducibile ad errore materiale e non può incidere sulla valutazione del contenuto dell’atto , che non va limitata al dato letterale delle conclusioni, ma va svolta con riferimento ai profili sostanziali della richiesta rivolta al giudice (cfr. Cass. Sez. U, n. 3041/2007; successive conformi, fra le numerose altre, Cass. n. 4302/2023; Cass. n. 11631/2018; Cass. n. 22893/2008).
8.2. Quanto, poi, all’affermata sussistenza di un giudicato esterno, formatosi in seguito al rigetto della pretesa erariale concernente l’anno di imposta 2008, l’assunto dei contribuenti non è munito di un sufficiente grado di specificità.
Questa Corte, infatti, ha affermato in più occasioni (v. ad es. Cass. n. 36741/2022; Cass. n. 19199/2022; Cass. n. 9710/2018; Cass. n. 21395/2017) che in questi casi l’ efficacia esterna del giudicato richiede che l ‘ accertamento compiuto nel giudizio definito con decisione irrevocabile abbia ad oggetto elementi costitutivi della fattispecie, i quali, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere «tendenzialmente permanente»; esso, per contro, non può avere alcuna efficacia
vincolante laddove l’ accertamento relativo ai diversi anni di imposta si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli.
Ed invero, i ricorrenti non hanno fornito elementi significativi della sussistenza di tale indefettibile presupposto per l’invocata operatività del giudicato esterno; essi, infatti, si sono limitati ad indicare l’ordinanza di questa Corte n. 11139/2019, con la quale è stato respinto il ricorso erariale avverso la sentenza d’appello favorevole ai soci sul rilievo del fatto che era divenuto medio tempore definitivo l’accertamento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE ma che non contiene alcuna indicazione circa la tipologia di accertamento compiuta nel giudizio definito.
Ciò premesso, e passando all’esame del ricorso, i l primo motivo è inammissibile per carenza di interesse.
9.1. Secondo la prospettazione dei ricorrenti, i giudici d’appello avrebbero errato nel non rilevare la sussistenza di una fattispecie di litisconsorzio necessario, adottando ogni conseguente provvedimento per la ricostituzione del corretto rapporto processuale.
La censura appare dunque riferita al fatto che, oltre al presente, pende il giudizio relativo ai soci dell ‘estint a società RAGIONE_SOCIALE, in relazione alla ripresa a tassazione dei loro redditi per imputazione.
9.2. In questo senso, va anzitutto osservato che il motivo non ricostruisce correttamente i dati processuali, omettendo di riportare che il presente giudizio e quelli relativi ai soci sono stati oggetto di trattazione e decisione contestuali, sia in primo grado che in grado d’appello.
Al riguardo, è ben vero che questa Corte, con la nota pronunzia n. 14815/2008 resa a Sezioni Unite, ha affermato il
principio secondo cui, in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e dei relativi soci, ai quali tali redditi sono automaticamente imputati in misura proporzionale alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società, riguardi inscindibilmente sia la società che tutti i soci, salvo che questi prospettino questioni personali, sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere definita limitatamente ad alcuni di essi.
Nondimeno, sul medesimo tema questa stessa Corte ha affermato (dapprima con Cass. n. 3830/2010; in seguito, fra le numerose altre, con Cass. n. 10270/2024; Cass. n. 19402/2022; Cass. n. 36001/2021; Cass. n. 6135/2020) che la dichiarazione di nullità dei giudizi non va disposta laddove emerga la sussistenza di una complessiva fattispecie che in ciò non determini un pregiudizio effettivo per i litisconsorti, in quanto caratterizzata:
(a) dalla piena consapevolezza di ciascuna parte processuale dell’esistenza e del contenuto dell’atto impositivo notificato alle altre parti e delle difese processuali svolte dalle stesse;
(b) da ll’ identità oggettiva, quanto a causa petendi , dei ricorsi;
(c) dalla loro simultanea proposizione avverso l’ avviso di accertamento, sostanzialmente unitario, che fonda la rettifica delle dichiarazioni della società e di tutti i soci (con conseguente identità di difese);
(d) dalla loro simultanea trattazione e della identità sostanziale della decisione adottata dai giudici.
Tutti gli elementi di tale complessiva fattispecie sono rinvenibili nella presente vicenda, nella quale la posizione della società RAGIONE_SOCIALE, quanto alla ripresa ai fini Irap per l’anno 2009, e quella dei soci, in ordine ai rispettivi redditi per imputazione, sono state trattate contestualmente, nelle medesime udienze, dallo stesso collegio e con decisioni coincidenti, rese sulla base di identiche argomentazioni difensive.
9.3. In proposito, non sfugge al Collegio che la richiamata giurisprudenza, nell’escludere la nullità come conseguenza della mancata integrazione del contraddittorio ab origine , ha comunque attribuito una sorta di efficacia sanante alla circostanza della successiva riunione dei giudizi innanzi al giudice di legittimità.
Ciò, tuttavia, non osta a che in questo caso possa comunque addivenirsi a una pronunzia sul merito dell’impugnazione anche senza dar corso a detto incombente; e ciò in continuità con l’ orientamento di questa Corte secondo cui, laddove il ricorso per cassazione appaia inammissibile o prima facie infondato (ipotesi che, per le ragioni che si esporranno nel prosieguo, ricorre nella specie), occorre evitare comportamenti che si concretino in aggravio di attività processuali e inconcludenti formalità, senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell ‘ effettività dei diritti processuali delle parti (in tal senso, da ultimo, Cass. n. 1692/2025; in precedenza, fra le altre, Cass. n. 18890/2021; Cass. n. 11287/2018).
10. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Se, infatti, la notifica di un atto impositivo effettuata nei confronti di una società già cancellata dal registro delle imprese è
nulla, poiché l’estinzione impedisce che la società sia munita di autonoma legittimazione processuale, altrettanto non può dirsi per l’invio del questionario di cui all’art. 32, comma 4, d.P.R. n. 600/1973.
Quest’ultimo infatti, e come correttamente osservato dai giudici d’appello -non è previsto quale presupposto o momento necessario e indefettibile della serie procedimentale finalizzata alla rettifica che caratterizza l’accertamento tributario , ma costituisce una mera facoltà discrezionale dell’Amministrazione finanziaria, tant’è che, se viene omesso, non si determina alcuna invalidità dell’accertamento medesimo (v., fra le altre, Cass. n. 38060/2021; Cass. n. 27851/2018).
Il terzo e il quarto mezzo di impugnazione possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi; entrambi, infatti, concernono il tema del contraddittorio endoprocedimentale.
Anche detti motivi sono infondati.
La sentenza d’appello si è infatti conformata ai principi più volte affermati al riguardo da questa Corte; in particolare, va condiviso il rilievo della C.T.R. circa il fatto che, per il segmento accertativo riferito all’Iva, la doglianza dei contribuenti avrebbe potuto trovare conforto ove gli stessi avessero assolto all’onere di allegazione specifica delle ragioni concrete che potevano esser da loro fatte valere se il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, in quanto, per la loro serietà e pertinenza, tali ragioni avrebbero potuto incidere sul ‘se’ e sul contenuto dell’atto (v. Cass. n. 26068/2023; Cass. n. 37234/2022).
Sul punto, e con specifico riguardo al terzo motivo, conviene ribadire che l’onere non assolto concerne il piano delle allegazioni, non già quello delle produzioni che ad esse siano, eventualmente,
riferite; e sul punto, la sentenza impugnata ha affermato -in termini che la censura non scalfisce minimamente -che né il ricorso introduttivo, né l’atto di appello recavano in alcun modo l’indicazione delle ragioni che la società contribuente avrebbe potuto far valere nell’ ipotesi di tempestiva attivazione del contraddittorio (pag. 7).
12. Il quinto motivo non coglie la ratio decidendi .
I ricorrenti ribadiscono, infatti, l’argomentazione in base alla quale l’Ufficio avrebbe operato un abnorme ‘ricarico globale’ delle imposte dovute, denunziando la contrarietà della quantificazione al principio costituzionale di capacità contributiva.
Tale assunto non si confronta con l’affermazione contenuta in sentenza (pag. 8) circa il fatto che l’importo indicato «non è il ricarico operato dall’Ufficio, bensì semplicemente la conseguenza (in termini economici) del fatto che , non avendo i ricorre nti prodotto documentazione giustificativa e distinta analitica dei costi pari complessivamente ad € 82.929,00» , di tali ultimi è stato legittimamente recuperato a tassazione l’intero ammontare, trattandosi di costi dedotti in assenza dei presupposti.
In proposito, non è pertinente il richiamo operato dai ricorrenti al la circolare n. n. 32/E del 2006 dell’Agenzia delle entrate, secondo la quale (peraltro in conformità al consolidato orientamento di questa Corte, v. ad es. Cass. n. 2444/2024) nel caso, qui ricorrente, di accertamento induttivo ‘ puro ‘ deve riconoscersi la deduzione dei costi di produzione, determinata anche in misura percentuale forfettaria; tale indicazione opera, infatti, nel caso in cui l’Amministrazione abbia provveduto alla rideterminazione dei ricavi del contribuente, non certo, come
avvenuto nella specie, al mero rilievo della mancata deduzione di costi.
13. Manifestamente infondato è anche il sesto motivo.
In seguito alla cancellazione della società dal registro delle imprese, i soci ne acquisiscono la legittimazione processuale, mediante un fenomeno di tipo successorio in forza del quale i rapporti obbligatori relativi all’ente non si estinguono dal che conseguirebbe un ingiusto sacrificio dei diritti dei creditori sociali -ma si trasferiscono in capo a costoro.
Quindi, nell’ambito di tali rapporti, i soci rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico al quale erano soggetti pendente societate .
Tale ultimo regime non incide, pertanto, sulla legittimazione passiva dei soci, ma rileva unicamente -come afferma a ragione la sentenza impugnata -nella successiva fase di escussione della pretesa erariale.
Né, sul punto, possono trarsi diverse indicazioni dalla sentenza n. 1671/2013 di questa Corte invocata dai ricorrenti, che concerne la ben diversa fattispecie di responsabilità solidale del solo socio accomandatario per i debiti tributari contratti dalla s.a.sRAGIONE_SOCIALE in attività.
14. È infondato, infine, anche il settimo motivo, con il quale i ricorrenti svolgono le stesse considerazioni già disattese dai giudici d’appello in ordine a un asserito difetto di delega in capo al firmatario degli atti impositivi.
La sentenza impugnata appare invece conforme ai dettami di questa Corte sul punto, laddove, in particolare, ha statuito che la delega non deve essere conferita per il singolo atto e munita di
un termine di scadenza (Cass. n. 21972/2024), che essa non va allegata all’atto impositivo, in quanto provvista di mera rilevanza interna (Cass. n. 5826/2023), e che l’atto è comunque valido ove, come nella specie, sia stato sottoscritto da un funzionario delegato di carriera direttiva (Cass. n. 5177/2020).
15. In conclusione, il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Sussistono i presupposti per la condanna dei ricorrenti al pagamento di un importo pari al doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in € 2.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di