Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4996 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4996 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1870/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
Contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 4237/2016, depositata in data 28 giugno 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Roma III provvedeva ad emettere avviso di accertamento ai fini IRPEF, per l’anno 2007, con il quale rideterminava sinteticamente il reddito
Avv. Acc. IRPEF 2007
complessivo di NOME COGNOME ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un reddito di € 137.742,26, per l’anno 2007, a fronte di quello dichiarato pari a € 19.342,00; la rettifica originava dal riscontro, operato dall’Ufficio, della disponibilità da parte del contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: due autovetture, motociclo, immobili e spese per incrementi patrimoniali.
Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Roma; si costituiva anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La RAGIONE_SOCIALE Roma, con sentenza n. 8799/11/2015, rigettava il ricorso del contribuente.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 4237/09/2016, depositata in data 28 giugno 2016, la C.t.r. adita accoglieva il gravame dell’Ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r . del Lazio, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo. Il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 38, quarto comma e ss., 2697 cod. civ. e 22, comma 1, D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che non potesse attribuirsi rilievo, in relazione ad un avviso di accertamento per l’anno 2007, a spese per incrementi patrimoniali sostenute anche in anni successivi, in particolare nell’anno 2009.
Il motivo di ricorso proposto è fondato.
2.1. Invero, questa Corte ha avuto modo di ricordare come: «conformemente all’orientamento assolutamente prevalente espresso da questa Corte (cfr., ex multis , Cass. nn. 3403/2019, 12207/2017, 1510/2017, 19030/2014), al quale il Collegio intende dare continuità, va rilevato che l’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 disciplina, fra l’altro, com’è noto, il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la legge n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui consumi), dall’altro (quinto comma), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente (esempio tipico, l’acquisto di una casa di abitazione). In questo caso, è stabilita una presunzione di imputabilità del reddito, in quote costanti, all’anno in cui la spesa è stata effettuata ed ai cinque precedenti, cioè una disciplina di favore, adottata in base all’ id quod plerumque accidit , ossia al fatto che la capacità di effettuare una determinata spesa ben può attribuirsi non al reddito prodotto nello stesso anno d’imposta cui l’accertamento si riferisce, bensì alla disponibilità di capitale accumulato negli anni precedenti.
2.2. La norma detta, quindi, una presunzione iuris tantum di favore per il contribuente: quella, cioè, che la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’Ufficio sia sostenuta dal contribuente con redditi conseguiti non nel solo anno in cui la spesa risulta effettuata (e in misura pari al suo intero ammontare) ma già a partire dai
cinque anni precedenti in misura costante (e ovviamente minore) pari ad una frazione dell’esborso per ciascuno degli anni contemplati dalla norma. Come puntualmente osservato da Cass. n. 1510/2017, citata, ‘tale disciplina implica necessariamente che, per ciascuno dei detti anni, la spesa per incremento patrimoniale autorizza bensì la determinazione sintetica ai sensi dell’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di maggior reddito (…) ma lascia intatti – per ciascun anno – la facoltà e l’onere per il contribuente di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta’, con documentazione idonea a comprovare ‘l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso.
2.3. In tale prospettiva, a dimostrazione che l’interpretazione qui condivisa non si risolve in un’ingiustificata compressione delle facoltà e delle prerogative del contribuente, lo stesso ha la facoltà e l’onere di dimostrare che la spesa per incremento patrimoniale in realtà sia stata sostenuta per intero, con redditi esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta conseguiti, nell’anno stesso in cui essa risulta effettuata ovvero in uno solo dei cinque anni precedenti; prova contraria, questa, che ovviamente escluderebbe l’attribuzione “spalmata” del maggior reddito presunto, pro quota, in ciascuno degli anni compresi nell’arco temporale di cinque anni considerati dalla norma, suscettibili di accertamento (cfr. Cass. 15/07/2016, n. 14509, in motivazione). Tale prova, in particolare, è idonea a privare di fondamento la presunzione di maggior reddito fondata su quella spesa non soltanto per l’anno oggetto dell’accertamento impugnato ma anche per gli altri anni cui la presunzione si estende ai sensi del citato art. 38, comma 5, posto che non potrebbe più ritenersi che le risorse necessarie a sostenere la spesa sono state rappresentate da ‘redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata
effettuata e nei quattro precedenti’; al contribuente, peraltro, è altresì riconosciuta la facoltà di provare, nel giudizio relativo all’accertamento sintetico relativo ad uno dei cinque anni coperti dalla detta presunzione, di aver percepito redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta per un ammontare pari a (o comunque idoneo a giustificare solo) la quota di maggior reddito presunta per quell’anno. Ed anche tale prova vale, evidentemente, a superare la presunzione di maggior reddito “parcellizzata” per quel dato anno, pur senza poter impedire che la presunzione valga per ciascuno degli altri anni, precedenti o successivi, ai quali si estende» (Cass. n. 18386/2019).
2.4. Non va ad intaccare tale ricostruzione la modifica (anche) al quinto comma dell’art. 38 d.P.R. n. 600/1973 apportata dall’art. 22, comma 1, D.L. n. 78/2010, prevendendosi adesso che la spesa per incremento patrimoniale debba essere imputata all’anno del suo effettivo sostenimento e non, invece, ripartita tra questo e i quattro anni precedenti.
Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza qui impugnata, infatti, questa Corte (da ultimo, Cass. n. 28445/2024) ha chiarito che con riguardo all’anno d’imposta 2007 si applica, ratione temporis , l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 nella versione antecedente le modifiche introdotte dall’art. 22 D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, poiché tale novella si applica solo a far data dall’anno d’imposta 2009. Infatti, il primo comma del predetto art. 22 D.L. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice . A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012,
conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le «disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
2.5. La stessa giurisprudenza di legittimità ha anche escluso l’applicazione retroattiva della novella in questione, chiarendo che:
non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo, ex plurimis , Cass. n. 556/2019) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento;
neppure è in questione il principio del favor rei , la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro;
comunque, l’individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale e di fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, già richiamata, che inequivocabilmente identifica la norma applicabile, è recessivo anche il principio tempus regit actum , altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali ( ex plurimis , Cass. n. 28445/2024, Cass. n. 18729/2024, Cass. n. 7269/2022 e Cass. n. 30355/2019).
2.6. Nella fattispecie in esame, i giudici di appello hanno fatto malgoverno dei principi normativi e giurisprudenziali testè illustrati laddove hanno affermato che un incremento patrimoniale avvenuto nel 2009 non potesse fondare la ricostruzione sintetica del reddito per il 2007 in quanto tale conclusione va ad obliterare del tutto l’inciso ‘e nei quattro anni precedenti’ di cui all’art. 38 comma 5 d.P.R. cit.
In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 21 gennaio 2025.