Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13624 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13624 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
AVV. ACC. IRPEF e altro 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26576/2017 R.G. proposto da: COGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA SEZ. DIST. SALERNO n. 2958/2017, depositata in data 3 aprile 2017.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 marzo 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO ai fini IRPEF, relativo all’anno di imposta 2008, con cui accertava, con metodo sintetico, maggiori redditi a carico della contribuente, sul presupposto che nell’anno 2009 sarebbe stato effettuato un
investimento patrimoniale rilevante ex art. 38, d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600 (c.d. incremento patrimoniale), assunto a manifestazione di capacità contributiva in relazione ai quattro anni antecedenti l’investimento.
Avverso l’avviso di accertamento, la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Salerno; si costituiva l’Agenzia delle Entrate che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Salerno, con sentenza 505/2012, rigettava il ricorso.
Contro tale sentenza proponeva appello la contribuente dinanzi alla C.t.r. della Campania; l’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 2958/2017, depositata in data 3 aprile 2017, la C.t.r. rigettava l’appello.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Campania, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 18 marzo 2025 per la quale la contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato «violazione e falsa dell’art. 38, quarto e quinto comma, d.P.r. 29 settembre 1973, n. 600 -nel testo vigente ante d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)» la contribuente lamenta l’ error in iudicando, nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto legittimo l’accertamento attribuendo rilevanza agli incrementi patrimoniali riferiti ad anni successivi a quello oggetto di verifica fiscale.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato «violazione e falsa applicazione dell’art. 38, quarto e quinto comma, d.P.r. 600/1733 -nel testo vigente ante d.l. 31 maggio 2010, n. 78, e violazione e falsa applicazione art. 22, primo comma, d.l. 78/2010 conv. con modifiche dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (art. 360,
primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)» la contribuente lamenta l’ error in iudicando, nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha dichiarato legittimo l’accertamento per gli anni di imposta 2008 -2009 sulla base di un incremento patrimoniale realizzatosi nell’anno 2009, anno dal quale prende ad applicarsi la nuova disciplina sul redditometro.
I due motivi di ricorso proposti, da trattarsi congiuntamente stante l’affinità delle censure con essi proposte, sono infondati.
2.1. Invero, questa Corte ha avuto modo di ricordare come: «conformemente all’orientamento assolutamente prevalente espresso da questa Corte (cfr., ex multis , Cass. nn. 3403/2019, 12207/2017, 1510/2017, 19030/2014), al quale il Collegio intende dare continuità, va rilevato che l’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 disciplina, fra l’altro, com’è noto, il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la legge n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui consumi), dall’altro (quinto comma), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente (esempio tipico, l’acquisto di una casa di abitazione): in questo caso, è stabilita una presunzione di imputabilità del reddito, in quote costanti, all’anno in cui la spesa è stata effettuata ed ai cinque precedenti, cioè una disciplina di favore, adottata in base all’ id quod plerumque accidit , ossia al fatto che la capacità di effettuare una determinata spesa ben può attribuirsi non al reddito prodotto nello stesso anno
d’imposta cui l’accertamento si riferisce, bensì alla disponibilità di capitale accumulato negli anni precedenti; la norma detta, quindi, una presunzione ( iuris tantum ) di favore per il contribuente: quella, cioè, che la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’Ufficio sia sostenuta dal contribuente con redditi conseguiti non nel solo anno in cui la spesa risulta effettuata (e in misura pari al suo intero ammontare) ma già a partire dai cinque anni precedenti in misura costante (e ovviamente minore) pari ad una frazione dell’esborso per ciascuno degli anni contemplati dalla norma; come puntualmente osservato da Cass. n. 1510/2017, citata, ‘tale disciplina implica necessariamente che, per ciascuno dei detti anni, la spesa per incremento patrimoniale autorizza bensì la determinazione sintetica ai sensi dell’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, di maggior reddito (…) ma lascia intatti – per ciascun anno la facoltà e l’onere per il contribuente di dimostrare ‘ che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta ‘, con documentazione idonea a comprovare ‘ l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso ”; in tale prospettiva, a dimostrazione che l’interpretazione qui condivisa non si risolve in un’ingiustificata compressione delle facoltà e delle prerogative del contribuente, va particolarmente rimarcato che lo stesso ha la facoltà (e, ovviamente, anche l’onere) di dimostrare che la spesa per incremento patrimoniale in realtà sia stata sostenuta per intero (con redditi esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta conseguiti) nell’anno stesso in cui essa risulta effettuata ovvero in uno solo dei cinque anni precedenti: prova contraria, questa, che ovviamente escluderebbe l’attribuzione “spalmata” del maggior reddito presunto, pro quota, in ciascuno degli anni compresi nell’arco temporale di cinque anni considerati dalla norma, suscettibili di accertamento (cfr. anche Sez. 5, n. 14509 del 15/07/2016, in motivazione); tale prova, in
particolare, è idonea a privare di fondamento la presunzione di maggior reddito fondata su quella spesa non soltanto per l’anno oggetto dell’accertamento impugnato ma anche per gli altri anni cui la presunzione si estende ai sensi del citato art. 38, comma 5, posto che non potrebbe più ritenersi che le risorse necessarie a sostenere la spesa sono state rappresentate da ‘redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti’; al contribuente, peraltro, è altresì riconosciuta la facoltà di provare, nel giudizio relativo all’accertamento sintetico relativo ad uno dei cinque anni coperti dalla detta presunzione, di aver percepito redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta per un ammontare pari a (o comunque idoneo a giustificare solo) la quota di maggior reddito presunta per quell’anno. Ed anche tale prova vale, evidentemente, a superare la presunzione di maggior reddito “parcellizzata” per quel dato anno, pur senza poter impedire che la presunzione valga per ciascuno degli altri anni, precedenti o successivi, ai quali si estende» (Cass. n. 18386/2019).
2.2. Non va ad intaccare tale ricostruzione la modifica (anche) al quinto comma dell’art. 38 d.P.R. n. 600/1973 apportata dall’art. 22, comma 1, D.L. n. 78/2010, prevendendosi adesso che la spesa per incremento patrimoniale debba essere imputata all’anno del suo effettivo sostenimento e non, invece, ripartita tra questo e i quattro anni precedenti, modifica richiamata dall’odierna ricorrente. Orbene, questa Corte (da ultimo, Cass. n. 28445/2024) ha chiarito che con riguardo all’anno d’imposta 2008 si applica, ratione temporis , l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 nella versione antecedente le modifiche introdotte dall’art. 22 D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, poiché tale novella si applica solo a far data dall’anno d’imposta 2009. Infatti, il primo comma del predetto art. 22 D.L. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al
testo dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice . A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012, conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le «disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
2.3. E la stessa giurisprudenza di legittimità ha anche escluso l’applicazione retroattiva della novella in questione, chiarendo che:
non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo, ex plurimis , Cass. n. 556/2019) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento;
neppure è in questione il principio del favor rei , la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro;
comunque, l’individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale e di fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, già richiamata, che inequivocabilmente identifica la norma applicabile, è recessivo anche il principio tempus regit actum , altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali ( ex plurimis , Cass. n. 28445/2024, Cass. n. 18729/2024, Cass. n. 7269/2022 e Cass. n. 30355/2019).
2.4. Dunque, alla stregua della summenzionata giurisprudenza, non può che evidenziarsi la correttezza della decisione della C.t.r. qui impugnata laddove ha riconosciuto la legittimità dell’avviso di accertamento in oggetto che faceva riferimento a spese per incrementi verificatisi in anni successivi agli anni oggetto di accertamento e, in particolare, nell’anno 2009.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 18 marzo 2025.