Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2078 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2078 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
Accertamento sinteticoredditometro
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15346/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, in forza di procura in calce al ricorso, p.e.c. EMAIL;
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5301/2015 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 9 dicembre 2015, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 novembre 2023 dal consigliere dott. NOME COGNOME.
Rilevato che:
La CTR della Lombardia ha rigettato l’appello di NOME COGNOME contro la sentenza della CTP di Milano che aveva rigettato il ricorso proposto dal medesimo contro l’avviso di accertamento sintetico per maggior reddito dell’ anno di imposta 2008, in base al cd. redditometro, che aveva fondamento nel possesso, quali beni indice, di due autovetture, un furgone, due immobili e undici cavalli da equitazione. In particolare, i giudici d’appello evidenziavano che la somma percepita nel 2006 quale TFR e il reddito annuo del contribuente non erano in grado di giustificare le spese di mantenimento dei beni indice.
Contro tale decisione propone ricorso il contribuente, affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
La causa è stata fissata per l’adunanza camerale del 29 novembre 2023.
Considerato che:
Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360, n. 5) cod. proc. civ., il ricorrente deduce omesso esame di un fatto oggetto di discussione, dolendosi che la CTR abbia ritenuto il possesso di undici cavalli laddove il ricorrente ne aveva ammessi solo quattro e in generale un non corretto e adeguato apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie.
Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3) c.p.c. in particolare quanto all’art. 38 d.P.R. n. 600/1973, comma 4 , lamentando che la CTR abbia errato laddove, pur non espressamente pronunciandosi sul punto, non ha considerato che il possesso di beni indice costituisce presunzione
semplice e che l’ufficio avrebbe dovuto accompagnar ne la deduzione con altri elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti, nel caso di specie insussistenti, sottoponendo poi a rassegna critica la valenza indiziaria dei singoli beni indice.
Col terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360, n. 3 in s pecie dell’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997 per aver ritenuto legittimo l’avviso di accertamento con il quale erano state irrogate le sanzioni pecuniarie, senza alcuna motivazione.
2. Il primo motivo è inammissibile.
L’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22/06/2012, n. 83, conv. in legge 7/08/2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto RAGIONE_SOCIALE previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6) e 369, secondo comma, n. 4) cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053).
In primo luogo, infatti, occorre evidenziare che si è in presenza di una cd. doppia conforme di merito, caso in cui la parte ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5) cod. proc. civ., disposta dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83/2012, conv., con modif., dalla l. n. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11/09/2012, come nel caso di specie, essendo l’appello stato depositato in data il 24/03/2015), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 11/09/2020, n. 18867; Cass. 06/05/2020, n. 8515; Cass. 20/06/2019, n. 16554; Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass., Sez. U. 21/09/2018, n. 22430), il che non è avvenuto nel caso in esame.
Inoltre, esso appare ulteriormente inammissibile perché la censura sostanzialmente non attinge (come è necessario: cfr. Cass. 06/09/2019, n. 22397, ex plurimis ) un fatto , ovvero un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, ma una serie di argomentazioni difensive che, complessivamente considerate, renderebbero fondato l’assunto de l possesso in capo al contribuente di solo quattro cavalli anziché undici, costituendo in realtà il motivo una richiesta di generale revisione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie
Infine, la parte omette del tutto di indicare e chiarire la portata decisiva del fatto che assume omesso (essendo l’accertamento fondato su una pluralità di beni indice).
Deve infine certamente escludersi un vizio motivazionale in termini di nullità della sentenza, adombrato nella parte finale del motivo, in
quanto la motivazione della sentenza appare rispettosa del principio del cd. minimo costituzionale (Cass., Sez. U., n. 8053/2014 cit.).
3. Il secondo motivo non è fondato.
In tema di accertamento tributario con metodo sintetico, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis , anteriore alla modifica intervenuta con il d.l. 31/05/2010, n. 78, convertito dalla l. 30/07/2010, n. 122, infatti, l’Amministrazione finanziaria può presumere il reddito complessivo netto del contribuente sulla base della «spesa per incrementi patrimoniali» da questi sostenuta, la quale si presume affrontata nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro anni precedenti, e di una serie di indici di capacità contributiva fondati sui consumi e, in particolare, sulla disponibilità dei beni e servizi descritti nella tabella allegata al d.m. 10 settembre 1992 e nel d.m. 19 novembre 1992 (c.d. redditometro) e su ulteriori circostanze di fatto indicative di una diversa capacità contributiva, quando il reddito dichiarato non risulti congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta.
Il sistema del ‹‹redditometro›› collega, cioè, alla disponibilità di determinati beni e servizi, in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.
Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla
loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) RAGIONE_SOCIALE somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 13/11/2023, n. 31579; Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335).
Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588).
Questa Corte ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto,
pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della ‹‹durata›› del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la ‹‹durata›› del possesso dei redditi in esame (Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
Il motivo quindi, assumendo la natura di presunzione semplice attribuibile al possesso dei beni indice e la necessità che a tale presunzione l’ufficio dovesse aggiungerne altre, contrasta con tale consolidata giurisprudenza di legittimità, avendo correttamente i giudici di appello ritenuto di farne applicazione, laddove, in premessa della parte motiva, hanno affermato che il contribuente non fornisce prova alcuna in grado di smentire efficacemente la presunzione prevista dalla normativa fiscale .
4. Il terzo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione dell’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, per aver ritenuto legittimo l’avviso di accertamento con il quale erano state irrogate le sanzioni
pecuniarie, senza alcuna motivazione, è in parte inammissibile e in parte infondato.
Osserva il Collegio che la sentenza qui impugnata, nel confermare la legittimità dell’avviso di accertamento, ha espressamente confermato le sanzioni irrogate in relazione alle violazioni contestate con l’atto di accertamento, così ritenendo (implicitamente) che la loro motivazione trovava fondamento nell’accertamento RAGIONE_SOCIALE violazioni finanziarie. In sostanza, nella misura in cui la sentenza impugnata ha ritenuto legittime le violazioni finanziarie contestate con l’atto di accertamento, ha, parimenti, ritenuto legittime le conseguenti sanzioni che sono state irrogate con l’atto di accertamento.
Se è vero, infatti, che il secondo comma dell’art. 16 del d. lgs. n. 472 del 1997 prevede, a pena di nullità, la necessità della motivazione dell’atto di contestazione, è pur vero che tale requisito di validità opera quando le sanzioni vengono irrogate con atto separato e non quando le stesse siano irrogate contestualmente e unitamente all’accertamento del maggior reddito rispetto a quello dichiarato e contestato.
Costante è infatti l’orientamento della Corte (Cass. 4/05/2021, n. 11610, in tema di accertamento Irpef a seguito di redditometro; in materia di ICI, Cass. 5/08/2016, n. 16484; in materia di imposte indirette, Cass. 1/08/2019 n. 20733, e Cass. 18/02/2020 n. 4070), secondo cui: «In tema di sanzioni amministrative tributarie, nel caso in cui la sanzione, collegata al tributo cui si riferisce, sia irrogata – ai sensi dell’art. 17 (Irrogazione immediata) del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, essa è da intendersi motivata per relationem alla pretesa fiscale che sia definita nei suoi elementi essenziali, sì da giustificare la sanzione per essa irrogata e contenuta nel medesimo atto».
5. Il ricorso va quindi respinto.
Segue condanna alle spese liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, 29 novembre 2023.