Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17750 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17750 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
Redditometro
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35736/2018 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, p.e.c. EMAIL e EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna n. 386/2018 depositata in data 2/05/2018, non notificata;
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale dell’8 maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Sardegna rigettò, previa loro riunione, gli appelli proposti da NOME COGNOME contro le due sentenze della Commissione tributaria provinciale di Oristano che ne avevano rigettato i ricorsi presentati contro due avvisi di accertamento sintetico, emessi a fini Irpef per gli anni di imposta 2006 e 2007, in base al cd. redditometro e in particolare in base alla spesa per incrementi patrimoniali avvenuta nel 2008 e costituita dall’investimento di euro 564.465,36 per l’acquisto delle quote della s.rRAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE
In particolare, i giudici del gravame ritennero infondata la tesi della simulazione sostenuta dalla contribuente, in assenza di prova documentale della controdichiarazione; la natura simulata dell’acquisto era inoltre esclusa dall’aver essa stessa anche richiesto la consegna dei libri contabili.
Contro tale decisione propone ricorso la contribuente in base a tre motivi.
L ‘Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio dell ‘ 8 maggio 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente deduce la violazione dell’art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973 nella parte in cui tale disposizione onera l’ufficio di fornire la prova del sostenimento di una data spesa, per l’incremento patrimoniale, che nel caso di specie non era stata sostenuta dalla sig. COGNOME la CTR avrebbe quindi errato nel ritenere provato l’esborso in base alle dichiarazioni contenute
nell’atto notarile e senza considerare il contenuto di un p.v.c. della Guardia di finanza, depositato in appello, dal quale risultava che il pagamento del prezzo era avvenuto senza esborso da parte sua.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione de ll’art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973, laddove la CTR ha errato nell’imputare la spesa a un soggetto diverso da quello che l’aveva sostenuta effettivamente, cioè una società, quanto meno per l’acconto versato nel 2007, come emerge da un documento allegato fin dal primo grado di giudizio.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973 per insussistenza dello scostamento tra reddito accertabile e reddito dichiarato nel 2006 e quindi per l’ assenza del biennio previsto da tale disposizione; alla luce di quanto dedotto nei primi due motivi di ricorso, infatti, la sola spesa imputabile alla ricorrente era quella sostenuta a titolo di saldo nel 2008; di conseguenza, avuto riguardo al quinto di tale spesa, il reddito dichiarato nel 2006 era congruo e pertanto, per il 2007, veniva meno il requisito dello scostamento per due anni di imposta previsto dalla disposizione.
I primi due motivi devono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.
I l vizio di violazione di legge consiste nell’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di diritto, e quindi necessariamente implica un problema interpretativo della disposizione asseritamente inosservata; viceversa, l’allegazione di un’inesatta ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa rimane estranea alla corretta esegesi della norma e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito,
sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Il discrimine fra l’una e l’altra ipotesi -violazione di legge in senso proprio ed erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta- è segnato, in modo evidente, dalla peculiarità che solo in quest’ultima, e non anche nella prima, la censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 25182/2024; Cass. n. 21844/2022, Cass. n. 14199/2021, Cass. n. 34738/2019, Cass. n. 24054/2017).
Nel caso di specie è evidente che con i primi due motivi la ricorrente deduce un errore nella ricostruzione della fattispecie concreta, sostenendo che abbia errato la CTR nel considerare la spesa per l’incremento patrimoniale come sostenuta da lei mentre era stata sostenuta da terzi, in toto o almeno per quanto riguarda l’acconto.
Tale dato però non è affatto pacifico in causa, tanto che la ricorrente deduce in realtà un omesso esame di alcuni dati probatori, che smentirebbero quanto evidenziato nell’atto pubblico, mentre la stessa Agenzia ne effettua ampia ed esplicita contestazione nel proprio controricorso.
Tali considerazioni inducono a ritenere inammissibili i primi due motivi, ma anche il terzo, che, sebbene formulato in diritto, si fonda in realtà sul pregiudiziale esito favorevole della diversa ricostruzione del fatto sostenuta dai primi due motivi.
Ostano, peraltro, ad un’eventuale riqualificazione della doglianza come omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione della controversia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le circostanze che l’appello è stato depositat o il 13 dicembre 2013 e si è in presenza di una doppia decisione conforme di merito, per cui trova applicazione l’art. 348 -ter cod. proc. civ., il quale inibisce la possibilità di proporre ricorso per cassazione per vizio di motivazione.
Tale norma si applica per gli appelli depositati a decorrere dall’11 settembre 2012 e trova quindi applicazione anche nella controversia in esame, in cui sia il giudice di prime cure, sia il giudice d’appello, sono giunti alla medesima decisione, rigettando la tesi della contribuente, senza che questa evidenziasse i profili di differenza tra le due decisioni conformi.
Concludendo, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Ne segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 8 maggio 2025.