Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3199 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3199 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
Avv. Acc. IRPEF 2006 – 2007
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16986/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
Contro
COGNOME, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘ in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 1569/2017, depositata in data 5 aprile 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Monza e Brianza – provvedeva ad emettere avvisi di accertamento ai fini
IRPEF per gli anni 2006 (n. NUMERO_DOCUMENTO) e 2007 (n. NUMERO_DOCUMENTO) con i quali rideterminava sinteticamente il reddito complessivo di NOME COGNOME ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un reddito di € 181.664,00 per l’anno 2006 e di € 173.348,00 per l’anno 2007, a fronte dei redditi rispettivamente dichiarati di € 28.464,00 e 82.218,00; la rettifica operata dall’Ufficio originava dalla disponibilità della contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente l’acquisto di un immobile nel comune di Bagnone (MS) per un corrispettivo di € 568.610,00. A richiesta di fornire la documentazione giustificativa (previo invio di questionario n. Q01621/2010), la contribuente precisava di aver percepito, nel periodo di imposta 2007, dividendi detenuti nella RAGIONE_SOCIALE per complessivi € 136.059,00
Avverso gli avvisi la contribuente proponeva distinti ricorsi dinanzi la C.t.p. di Milano; si costituiva anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Milano, con le sentenze n. 1603/43/2015 e n. 1605/43/2015, rigettava i ricorsi della contribuente.
Contro tali sentenze proponeva appello la contribuente dinanzi la C.t.r. della Lombardia; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo conferma della sentenza impugnata.
Previa riunione, con sentenza n. 1569/29/2017, depositata in data 5 aprile 2017, la C.t.r adita accoglieva gli appelli della contribuente.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e la contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025 per la quale la contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 38 d.P.R. n. 600/1973 e 2697 cod. civ. in combinato disposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che per lo scostamento del 25% tra reddito dichiarato e reddito determinato sinteticamente, quale condizione per avviare l’azione accertativa, la C.t.r. dovesse tenere conto anche dei redditi esenti, che invece subentrano solo più avanti a giustificazione del maggior reddito; così come ha ritenuto che proprio l’accoglimento della prova contraria in relazione ad una annualità fosse in grado di determinare l’illegittimità del potere accertativo per le due annualità in oggetto, dato il venir meno del requisito dello scostamento di un quarto tra reddito dichiarato e reddito accertato relativo ad almeno due annualità.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 38 d.P.R. n. 600/1973 e 2697 cod. civ. in combinato disposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha accertato il solo possesso di redditi diversi, senza verificare se ci fossero elementi sintomatici del fatto che gli stessi potevano essere stati realmente impiegati a copertura delle spese attenzionate dall’Ufficio.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza impugnata per inosservanza (violazione e falsa applicazione) degli artt. 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 112 e 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha motivato in maniera soltanto apparente in ordine all’esatto importo di dividendi che la contribuente ha incassato dalla società e che andavano scomputati dal computo del maggior reddito.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 38 d.P.R. n. 600/1973 e 2697 cod. civ. in combinato disposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha motivato in maniera solamente apparente in merito all’esistenza di documentazione dalla quale si evinceva l’utilizzo della somma ricavata dalla vendita di posto barca per il successivo acquisto immobiliare.
Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e per l’affinità delle critiche sollevate, sono infondati.
Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito che la prova contraria del possesso di redditi non imponibili che il contribuente deve fornire, per superare la ricostruzione presuntiva e sintetica del reddito operata dall’Amministrazione, non può limitarsi alla dimostrazione della mera disponibilità di ulteriori redditi o del semplice transito della disponibilità economica nella sfera patrimoniale dello stesso contribuente. Infatti, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per coprire le spese necessarie, il contribuente è comunque «onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››, poiché è la norma stessa a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di tali redditi, per consentirne la riferibilità alla maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente.. Né, peraltro, la prova documentale richiesta dalla
norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 30/01/2024, n. 2746; Cass. 28/12/2022, n. 37985; Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
2.1. Ancora si è affermato che ‘In tema di accertamento sintetico ai sensi dell’art. 38, co. 4, D.P.R. n. 600/1973, nel testo vigente ratione temporis, non è necessario che lo scostamento reddituale sia accertato per due anni, essendo sufficiente che esso venga rilevato nell’anno accertato e in un altro, anche successivo e non necessariamente consecutivo. L’Ufficio, pertanto, non è tenuto a procedere all’accertamento contestualmente per due o più periodi d’imposta per i quali ritenga che la dichiarazione non sia congrua: ciò che occorre, ai fini dell’accertamento sintetico, è che vi siano elementi e circostanze di fatto, in base ai quali si possa fondatamente attribuire al contribuente un reddito complessivo superiore a quello risultante dalla dichiarazione, per due o più anni’ (Cass. 19/07/2024, n. 19916).
2.2. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha fatto buon governo dei principi normativi e giurisprudenziali allorquando ha opinato, con una motivazione della quale è agevole scorgere l’iter logico -giuridico sottostante, come fosse pacifico che la contribuente, nel corso del 2007, ebbe ad incassare la somma di Euro 136.056,00 quale dividendo da partecipazione qualificata al capitale della società RAGIONE_SOCIALE, indicando a norma dell’art. 44 DPR 1986 n. 917 – in dichiarazione dei redditi, il 40% di tale importo (per la parte restante assoggettato ad IRES). La C.t.r. ha ritenuto che ‘L’importo complessivo di Euro 136.056 – costituisce quindi il reddito reale finanziario – totalmente assoggettato a imposizione fiscale nelle
forme previste dalla legge – che, addizionato agli ulteriori redditi esposti nel Modello Unico per il 2007, porta l’ammontare dei redditi della contribuente regolarmente sottoposti ad imposizione alla somma di Euro 163.853 -, ovvero ad un importo che non si discosta in misura superiore al 25% da quello accertato, per il 2007, nella misura complessiva di Euro 173.348 – mediante l’applicazione degli indici del ‘redditometro’ per l’impegno gestionale e per l’incremento patrimoniale . Tale dato oggettivo di mancata integrazione per l’anno 2007 della incongruenza reddituale nella misura fissata dall’art. 38 cit. inibisce – in difetto di scostamento presente in almeno due annualità il ricorso all’azione di accertamento, per espressa preclusione legale’.
2.3. Secondo oramai granitica giurisprudenza, dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. stesso codice, è desumibile il principio secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto, determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 03/01/2022, n. 6758). Questo principio, in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (comprese le sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma secondo, del d.lgs. 546/1992, è applicabile anche al rito tributario (Cass. n. 13990 del 2003; Cass. n. 9745 del 2017). Va osservato, inoltre, che a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo
costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).
2.4. La sentenza in esame, per quanto fin qui detto, non solo presenta le indicazioni richieste, contenendo lo svolgimento del processo e i fatti essenziali di causa, ma ha comunque una ratio decidendi chiaramente intellegibile, sicché la sua motivazione si colloca ben sopra la soglia del minimo costituzionale ex art. 111 cost. comma 6.
Il quarto motivo è inammissibile.
La complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento; in altri termini viene chiesto di effettuare un nuovo esame sul merito della controversa e di approdare ad una valutazione degli elementi di prova difforme da quella fatta propria dal collegio di seconda istanza la cui decisione dà contezza di come sia stata ritenuta erronea l’esclusione del ricavato della vendita dell’ormeggio per imbarcazione sito in prestigiosa marina sarda non profilandosi condivisibili le argomentazioni relative all’assoluta carenza di prova dell’impiego di quei proventi nell’investimento del 2007, valendo all’uopo le riflessioni esposte sub 2.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 7.600,00 oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2025.