Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11975 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11975 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12583/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME NOME Antonio Maria (domicilio digitale: EMAILordineavvocaticataniaEMAIL)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA SICILIA, SEZIONE STACCATA DI CATANIA, n. 160/2023 depositata il 9 gennaio 2023
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 19 marzo 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Catania dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME un avviso di accertamento
con il quale determinava con metodo sintetico ex art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, in applicazione degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992, il reddito del predetto contribuente da sottoporre a tassazione ai fini dell’IRPEF per l’anno 2007.
Il Pastura impugnava tale avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Catania, che accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo per ritenuta inosservanza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000.
La decisione veniva successivamente confermata, con diversa motivazione, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, la quale, con sentenza n. 160/2023 del 9 gennaio 2023, rigettava l’appello erariale.
A sostegno della pronuncia resa i giudici regionali argomentavano che: – non potevano considerarsi operanti, nel caso di specie, le garanzie previste in favore del contribuente dal menzionato art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, essendosi in presenza di un accertamento cd. non emesso a sèguito di accessi, ispezioni o verifiche nei locali destinati all’esercizio dell’attività del soggetto accertato; l’Agenzia delle Entrate aveva sinteticamente determinato il reddito del Pastura relativo all’anno 2007 tenendo conto degli immobili da lui posseduti e delle spese di incremento patrimoniale dallo stesso sostenute nel corso del quinquennio, denotanti uno scostamento rispetto al reddito dichiarato; – il contribuente era riuscito a dimostrare di aver avuto fin dal 31 dicembre 2005 la disponibilità di titoli depositati presso istituti bancari per un ammontare complessivo di 1.301.863,33 (244.321,26 + 1.057,542,07) euro e aveva, altresì, dedotto di aver effettuato nel corso degli anni alcuni disinvestimenti per l’acquisto di beni immobili e per il rimborso dei mutui contratti; – in base all’art. 38, comma 5, del D.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione
vigente «ratione temporis» , la spesa per incrementi patrimoniali si presume sostenuta, salvo prova contraria, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti; a torto, quindi, l’Ufficio « (avev) a ritenuto non dimostrati i collegamenti fra la disponibilità economica derivante dagli investimenti e (le) spese sostenute, attesa la mancanza di sperequazione fra le risorse disponibili e gli acquisti e investimenti che d (oveva) no ritenersi giustificati» .
Contro questa sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
Il Pastura ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso sono denunciate: (a)ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo applicabile «ratione temporis» , e del D.M. 10 settembre 1992; (b)a norma dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c. e dell’art. 36 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.1 Si rimprovera alla CGT-2 di aver erroneamente ritenuto dimostrata l’inesistenza del maggior reddito determinato dall’Ufficio con metodo sintetico, senza procedere a un esame analitico delle prove documentali offerte dal contribuente allo scopo di contrastare la fondatezza della pretesa tributaria.
1.2 Viene, inoltre, lamentato che l’impugnata sentenza risulterebbe «in parte qua» siccome corredata di una motivazione solo apparente.
1.3 Il motivo è anzitutto ammissibile, sebbene inglobante due diverse censure sussunte sotto i due differenti paradigmi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) c.p.c., in quanto la sua
formulazione consente di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate dalla parte ricorrente, sì da consentirne la separata disamina esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se queste fossero state articolate in più motivi singolarmente numerati (cfr. Cass. n. 14558/2020, Cass. n. 6320/2018, Cass. n. 17298/2017).
1.4 Oltre che ammissibile, il motivo in disamina è fondato, nei termini che ci si accinge ad illustrare.
1.5 Deve sùbito escludersi che la sentenza gravata sia mancante del requisito previsto dall’art. 36, comma 2, n. 4) del D. Lgs. n. 546 del 1992 -norma speciale del diritto tributario che nel giudizio civile ordinario trova il suo corrispondente nell’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c.-, giacchè la motivazione posta a base del «decisum» esiste materialmente ed è perfettamente intelligibile, sì da raggiungere la soglia del cd. «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, la cui violazione segna il limite entro il quale può ancora essere sindacato in sede di legittimità il vizio motivazionale (cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014 e le numerose pronunce conformi successivamente emesse sulla scia del citato arresto nomofilattico).
1.6 Invero, per quanto qui interessa, il collegio di secondo grado ha in primo luogo individuato nelle disposizioni contenute nell’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo in vigore dal 3 dicembre 2005 al 30 maggio 2010, la disciplina regolatrice della fattispecie sottoposta al suo giudizio; quindi, una volta stabilito che, in virtù della richiamata normativa, incombeva sul contribuente l’onere di giustificare i maggiori redditi sinteticamente accertati dall’Ufficio, ha valutato la documentazione da questi prodotta -comprovante la disponibilità, a far data dal 31 dicembre 2005, di «titoli della MPS di Misterbianco per un ammontare di euro 244.321,26 e di titoli della Banca San Paolo di Catania per un ammontare di euro 1.057.542,07» -, giungendo alla conclusione che infondatamente
l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto «non dimostrati i collegamenti fra la disponibilità economica derivante dagli investimenti e (le) spese sostenute, attesa la mancanza di sperequazione fra le risorse disponibili e gli acquisti e investimenti che d (oveva) no ritenersi giustificati» .
1.7 L’iter logico seguìto dai giudici regionali è quindi agevolmente ricostruibile dalla lettura della pronuncia impugnata, la quale si sottrae, sotto questo aspetto, alle critiche che le vengono rivolte.
1.8 Merita, invece, di essere accolto il profilo di censura incentrato sulla prospettata inosservanza delle norme in tema di accertamento sintetico, con specifico riguardo alle modalità di assolvimento dell’onere probatorio posto a carico del contribuente.
1.9 Giova, in proposito, rammentare che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo, applicabile «ratione temporis» anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010 -le quali, in forza della disciplina transitoria dettata dall’art. 22, comma 1, del citato D.L., devono ritenersi efficaci soltanto a partire dagli accertamenti relativi all’anno d’imposta 2009 (cfr. Cass. n. 10578/2022, Cass. n. 7269/2022, Cass. n. 8721/2021)-, così recita ai commi 4, 5 e 6:
«(4)L’ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’art. 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito
dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi di imposta.
(5)Qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti.
(6)Il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione».
1.10 Ciò posto, occorre tener presente che, in base a un più risalente orientamento di legittimità (cfr. Cass. n. 6813/2009, Cass. n. 3111/2014), ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova su di lui gravante ai sensi del comma 6 del citato articolo, il contribuente era tenuto a dimostrare «per tabulas» non soltanto di aver avuto la disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta nel periodo di riferimento, ma anche di aver sostenuto proprio con quei redditi, e non già con qualsiasi altro, la spesa per incrementi patrimoniali posta a base dell’accertamento sintetico operato dall’Ufficio.
1.11 In seguito, però, si è andato affermando nella giurisprudenza di questa Corte un diverso indirizzo interpretativo, più aderente al dato letterale della norma, secondo cui la prova documentale contraria che il contribuente deve fornire in virtù della previsione in commento ha ad oggetto la disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, la loro entità e la durata del relativo possesso.
1.12 Si è così chiarito che, pur non risultando necessario dimostrare in modo specifico che detti ulteriori redditi siano stati
utilizzati allo scopo di coprire la spesa per incrementi patrimoniali, è però espressamente richiesta una prova documentale da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (cfr. Cass. n. 8995/2014, Cass. n. 25283/2015, Cass. n. 14853/2016, Cass. n. 26321/2017, Cass. n. 29067/2018, Cass. n. 29761/2019, Cass. n. 18633/2020, Cass. n. 24444/2021, Cass. n. 31901/2022, Cass. n. 31579/2023).
1.13 La finalità della norma è pertanto quella di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di tali redditi, onde consentire di ricollegare proprio ad essi la maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico e di escluderne l’avvenuto utilizzo per l’effettuazione di altre spese non considerate dall’Ufficio (cfr. Cass n. 13707/2016, Cass. n. 25996/2017, Cass. n. 25630/2018, Cass. n. 11800/2019).
1.14 Tanto premesso, nel caso di specie la Corte regionale ha ritenuto che l’onere probatorio posto a carico del Pastura fosse stato adempiuto mediante la produzione di documenti atti a dimostrare che alla fine dell’anno 2005 egli disponeva di titoli depositati presso banche per un importo potenzialmente idoneo a giustificare i maggiori redditi contestati.
1.15 Essa ha, però, mancato di verificare se le dette disponibilità finanziarie fossero state dal contribuente mantenute per un tempo tale da farne apparire verosimile l’avvenuto impiego per le spese in discussione, essendosi genericamente limitata a riportare quanto «sostenuto» in proposito dallo stesso contribuente -il quale asseriva di «avere effettuato negli anni dei disinvestimenti per l’acquisto di beni immobili e rimborso dei mutui» -, senza dare conto di aver compiuto al riguardo i necessari riscontri documentali.
1.16 Alla luce dei rilievi che precedono, appare dunque sussistente la denunciata violazione dell’art. 38, comma 6, del D.P.R. n. 600 del 1973, nella versione che qui viene in rilievo, avendo i giudici di
appello disatteso l’indirizzo interpretativo espresso sul tema da questo Supremo Collegio.
Va, conseguentemente, disposta, ai sensi degli artt. 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla CGT -2 della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai princìpi di diritto dianzi richiamati.
2.1 Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, ai sensi degli artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. cit..
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione