Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1720 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1720 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
Avv. Acc. IRPEF 2005
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20804/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma presso il suo studio sito in INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in INDIRIZZO, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LAZIO n. 1148/20/2016, depositata in data 29 febbraio 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale nella persona del AVV_NOTAIO. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Rilevato che:
La contribuente NOME COGNOME riceveva notifica dall’RAGIONE_SOCIALEdirezione RAGIONE_SOCIALE Roma I -dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo ad IRPEF ed altro per l’anno di imposta 2005; la verifica recuperava a tassazione la maggiore imposta relativa al reddito IRPEF dichiarato. La contribuente, medio tempore defunta, per l’anno di imposta 2005 risultava inclusa nella lista selettiva ‘incrementi patrimoniali’, avendo dichiarato un imponibile ritenuto dall’ufficio non congruente rispetto agli altri esborsi risultanti dagli atti aventi ad oggetto investimenti patrimoniali stipulati nel periodo compreso tra il 2005 e il 2009; la rettifica era operata ai sensi dell’articolo 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Avverso l’avviso di accertamento, la contribuente proponeva allora ricorso dinanzi la C.t.p. di Roma; resisteva l’Ufficio con controdeduzioni.
La C.t.p. di Roma, con sentenza n. 8088/62/2014, depositata in data 14.04.2014, in parziale accoglimento del ricorso rideterminava in diminuzione il maggior reddito accertato.
Contro la sentenza proponevano appello gli eredi della contribuente, sigg. COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME dinanzi la C.t.r. del Lazio; resisteva l’ufficio con controdeduzioni.
Tale Commissione, con sentenza n. 1148/20/2016, depositata in data 29 febbraio 2016, dopo aver estromesso dal giudizio i sigg. COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, disponendo la prosecuzione nei soli confronti dell’erede universale COGNOME NOME, rigettava il gravame.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 30 novembre 2023.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, art. 7 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 2697 e 2727. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di contestazione tra le parti nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha omesso di valutare (esaminando apparentemente) la prova documentale offerta a sostegno della disponibilità dell’importo di €1.000.000,00 (differenza tra il prezzo effettivamente realizzato per la vendita dell’appartamento in Roma, INDIRIZZO, da parte della sig.ra COGNOME e quello risultante dall’atto pubblico) o, almeno, del minore importo di €560.000,00.
Il ricorso è inammissibile oltre che infondato.
Il motivo viene articolato in due censure, ossia la violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 e la motivazione parvente con cui la C.t.r. avrebbe esaminato la questione relativa al computo del ricavo asseritamente tratto dalla vendita dell’appartamento in INDIRIZZO INDIRIZZO, prospettando l’assunto secondo cui l’Ufficio erariale avrebbe omesso di valutare le risultanze di un documento acquisito agli atti di causa, ossia il Decreto Direttoriale n. 129337/A, notificato il 5/4/12, comprovante che il prezzo di vendita di € 470.000,00, esposto nell’atto notarile di trasferimento, non corrispondeva alla cifra realmente incassata dalla SigNOME COGNOME per il trasferimento. L’importo percepito, in realtà superiore, avrebbe integrato quella provvista idonea a fornire la prova di mantenimento della capacità reddituale per il periodo oggetto di accertamento.
2.1. Nella fattispecie in esame il RAGIONE_SOCIALE non è incorso in una non corretta applicazione dell’art. 38 cit. , né ha sussunto la fattispecie nell’ambito di una normativa non pertinente .
Infatti, la sentenza impugnata ha considerato che sso che il prezzo indicato nell’atto preliminare di vendita non registrato, non potesse avere valore poziore, ai fini della controversia, rispetto a quello risultante dall’atto pubblico di vendita , in quanto il decreto direttoriale n. 129337/A richiamato dall’appellante e concernente esclusivamente l’applicazione di una sanzione per violazione dell’art. 49, comma 1, del d.lgs. 231/2007 a carico di COGNOME NOME per avere versato sul proprio conto corrente la somma di euro 560.000,00 in contanti -non contiene alcun accertamento o indagine sulla fonte del provento, limitandosi a riportare le dichiarazioni del contribuente sanzionato per antiriciclaggio. Pertanto, l’indicata provvista non poteva collegarsi univocamente alla dismissione immobiliare de qua , ai fini della prova contraria necessaria in tema di accertamento sintetico.
Tato premesso, sufficiente al rigetto del mezzo, deve peraltro considerarsi anche che il maggior importo in questione – ove per mera ipotesi fosse entrato nel patrimonio del contribuente, secondo la versione di quest’ultimo – sarebbe stato a sua volta sottratto all’imposizione correlata alla vendita e, comunque, non sarebbe dimostrata la sua natura di reddito esente o soggetto a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, come richiesto dall’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973.
2.2. La valutazione si profila conforme al dettato normativo ed ai principi giurisprudenziali in materia posto che l’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza
induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in RAGIONE_SOCIALE, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Di poi, costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) RAGIONE_SOCIALE somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335).
2.3. Di poi, sotto l’egida della violazione e falsa applicazione di legge, quanto alla facoltà di provare con idonea documentazione l’erroneità RAGIONE_SOCIALE risultanze del compendio indiziario deAVV_NOTAIOo dall’Erario, in realtà ci si duole di come sia stato valutato il dato
probatorio attraverso la censura della motivazione parvente. Tuttavia, quanto già esposto ai punti 2.1. e 2.2. evidenzia l’infondatezza della censura in argomento in quanto la C.t.r. evidenzia dai dati offerti dallo stesso contribuente e cioè l’aver versato in data 30/04/2003 sul proprio conto corrente la somma di €. 560.000,00 in contanti; si invoca la motivazione apparente per ottenere una valutazione diversa in fatto con conseguente inammissibilità del motivo.
2.4. Quanto alla doglianza che richiama il n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., con riferimento alla specifica questione della denunzia per riciclaggio, r ileva l’applicazione della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143 che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado di rigetto , in parte qua , del ricorso del contribuente, sulla base RAGIONE_SOCIALE medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma cod. proc. civ. Tale nuova norma è sicuramente applicabile alla fattispecie in oggetto atteso che l’atto di appello è stato depositato in data 9 ottobre 2014 e, quindi, ben oltre il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.
Peraltro, la sentenza impugnata, come si è già rilevato, non ha neppure omesso di esaminare il decreto direttoriale in questione, sicché il motivo è comunque infondato.
2.5. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053/2014, hanno chiarito che in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi circoscritto al cosiddetto ‘minimo costituzionale’; ne deriva la possibilità di denunciare le sole anomalie motivazionali che si traducano nella
‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione. Nel caso di specie, la ricorrente non tratteggia alcuna RAGIONE_SOCIALE ipotesi denunziate; la censura, infatti, appare volta a riproporre l’assunto della prospettata violazione attraverso un percorso ermeneutico diverso da quello aAVV_NOTAIOato dai giudici di appello.
2.6. Con riferimento a tale profilo del vizio di motivazione, infatti, la richiamata pronunzia RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite ha rilevato che esso sussiste quando alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue «l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione» ovvero una decisione che «formalmente esiste come parte del documento, ma le cui argomentazioni sono svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum ». Nel caso di specie, la sentenza d’appello ha chiaramente evidenziato le ragioni per le quali ha ritenuto che il decreto direttoriale non conteneva in sé un accertamento o un’indagine sulla fonte del provento e, quindi, l’indicata provvista non poteva collegarsi necessariamente, alla dismissione immobiliare.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese processuali che si liquidano in € 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 30 novembre 2023.