Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 35089 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 35089 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11145/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 5/2020 depositata l’ 8/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con l’avviso di accertamento n. TVM010200048/2011, notificato in data 1° febbraio 2011, la Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate di Lecce rettificava la dichiarazione presentata da NOME COGNOME per l’anno d’imposta 2006, accertando una maggiore Irpef per euro 24.391,00, nonché maggiori addizionali regionale, per euro 596,00, e comunale, per euro 332,00.
L’Ufficio determinava, ai sensi dell’art. 38, quarto e quinto comma del DPR n. 600/1973, l’imponibile attribuibile alla contribuente, nel periodo d’imposta 2006, sulla base degli incrementi patrimoniali realizzati nell’anno 2009 e specificamente indicati nell’atto impositivo.
2.1. In particolare, gli incrementi patrimoniali erano così indicati:
atto di compravendita stipulato in data 12 novembre 2009 e registrato il 4 dicembre 2009 presso l’Ufficio di Maglie al n. 166 della serie 1T, con il quale la società RAGIONE_SOCIALE cedeva ad NOME COGNOME la piena proprietà di un opificio artigianale destinato alla lavorazione e conservazione di prodotti ittici;
atto di compravendita, stipulato in data 25 giugno 2009 e registrato presso l’Ufficio di Maglie in data 8 luglio 2009 al n. 36 della serie 1T, con il quale il NOME COGNOME cedeva alla contribuente porzioni di immobili e terreni, analiticamente richiamati nell’avviso di accertamento;
atto di cessione di quota sociale, registrato preso l’Ufficio di Maglie in data 10 luglio 2009, al n. 47 della serie 1T, con il quale il NOME COGNOME cedeva la sua quota di partecipazione al capitale sociale della società RAGIONE_SOCIALE alla signora COGNOME ed a NOME COGNOME
Trattandosi di incrementi patrimoniali conseguiti nell’anno 2009, in applicazione del criterio previsto dall’art. 38, quinto comma, del DPR n. 600 del 1973, nella versione in vigore ratione temporis , l’Ufficio accertatore imputava all’anno d’imposta 2006 la quota di un quinto del reddito determinato dagli incrementi patrimoniali suddetti.
NOME COGNOME impugnava l’avviso di accert amento avanti alla CTP di Lecce, contestando la rilevanza, ai fini della determinazione sintetica del reddito, dell’atto di acquisto dell’opificio, senza formulare alcuna contestazione in merito alle
altre due operazioni di acquisto, indicate ai punti b) e c), da cui era stata desunta la maggiore capacità di spesa evidenziata in sede di accertamento.
3.1. Va a tale riguardo evidenziato che, secondo le conformi allegazione delle parti, nell’atto di compravendita del 12 novembre 2009, le modalità di pagamento del prezzo erano descritte al punto 1) dell’articolo 2, laddove si rilevava che «il suddetto prezzo di vendita è stato così pagato dalla parte acquirente alla società venditrice: -quanto ad euro 287.955,95 (…) mediante compensazione del credito di pari importo vantato dalla socia NOME nei confronti della società venditrice a titolo di finanziamento infruttifero, il tutto così come risulta dai libri contabili della RAGIONE_SOCIALE; – quanto ad euro 322.044,05 (…) saranno pagati in un’unica soluzione entro e non oltre il 31.12.2009 senza corresponsione di interesse alcuno». Ed ancora, al seguente punto II) le parti davano atto che «giusta quanto sopra, la società venditrice a mezzo del costituito suo amministratore Unico e legale Rappresentante:- accetta le modalità di pagamento e della quota parte di prezzo con quest’atto compensato ne rende ampia quietanza e per la convenuta parziale rateizzazione del prezzo, rilascerà alla parte acquirente, dopo l’incasso della somma, la relativa quietanza».
3.2. La contribuente deduceva, in particolare, che l’Ufficio aveva erroneamente ritenuto compensato con il prezzo di vendita solo l’importo di € 287.955,95 , che espressamente risultava dall’ atto di compravendita del 12 novembre 2009, affermando che anche l’importo residuo del prezzo, pari ad euro 322.044,05, ed il cui pagamento, come si è rilevato, era previsto «in un’unica soluzione entro e non oltre il 31.12.2009 senza corresponsione di interesse alcuno», sarebbe stato compensato con disponibilità finanziarie rinvenienti dal «conto di finanziamento infruttifero» alla relativa
voce del bilancio societario e alimentato dalla ricorrente negli anni precedenti all’acquisto.
La CTP di Lecce rigettava il ricorso.
La Commissione regionale della Puglia accoglieva quindi l’appello della contribuente, con la sentenza indicata in epigrafe.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’Agenzia delle entrate con unico motivo e la contribuente resiste con controricorso, illustrato con il deposito di memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria denuncia, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. la «Violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, quarto e quinto comma, del DPR n. 600 del 1973, nel testo vigente ratione temporis », nonché dell’art. 2697 c.c.
1.1. Afferma la ricorrente che la CTR avrebbe errato nell’applicare la disciplina richiamata in quanto, non costituendo oggetto di contestazione il sostenimento della spesa relativa all’incremento patrimoniale, il contribuente avrebbe dovuto soddisfare l’onere della prova contraria previsto dall’articolo 38 del DPR n. 600 del 1973, al fine di contrastare la presunzione legale che assiste l’accertamento sintetico , non incombendo all’Ufficio, come ritenuto dai giudici di merito, alcun ulteriore onere probatorio al riguardo.
Il motivo è ammissibile, poiché non si risolve, contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, in una richiesta di nuova valutazione del compendio probatorio, attingendo invece la critica della Difesa erariale la corretta applicazione del meccanismo presuntivo previsto dalle disposizioni di legge richiamate.
Il motivo è, inoltre, fondato, nei termini che seguono.
3.1. In tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro,
dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811).
3.2. Il sistema del ‘ redditometro ‘ collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente un certo importo che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
3.3. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335).
3.4. Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588).
3.5. Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della
disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi.
3.6. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, n. 37985; Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
3.7. Nella fattispecie in esame l’Ufficio ha assolto al proprio onere probatorio rilevando, da parte dalla contribuente e sulla base di una dichiarazione resa da quest’ultima nel relativo atto pubblico, l’acquisto di un opificio nel 2009 per il prezzo di euro 610,00, solo in parte compensato con il credito vantato dall ‘ acquirente nei
confronti della società venditrice, e per il residuo (euro 322.044,05), indice di un investimento che, anche unitamente agli altri incrementi patrimoniali rilevati, è risultato incongruo rispetto al reddito da essa dichiarato per l’anno di imposta in esame, pari ad euro 4.659,00.
3.8. Spettava quindi alla contribuente dimostrare che l’incremento patrimoniale non costituisse manifestazione di una reale capacità reddituale e contributiva maggiore di quella dichiarata, secondo le regole probatorie appena richiamate.
Nella specie, essendo in discussione solo la modalità di pagamento della parte residua del prezzo convenuto dalle parti contrattuali ed avendo la signora COGNOME allegato che ciò era avvenuto mediante compensazione con ulteriori partite di credito vantate verso la società, di tale assunto avrebbe dovuto offrire riscontro.
La CTR non si è conformata ai principi affermati da questa Corte e ora richiamati.
I giudici di appello, infatti, pur escludendo che nella specie si fosse verificata una ipotesi di compensazione, come allegato dalla contribuente, hanno tuttavia affermato, che ciò «non comporta poi come sua conseguenza che vi sia stato un effettivo esborso di denaro da parte della COGNOME. L’obbligo di versare una somma di denaro non significa erogazione di spesa, ma solo impegno di spesa. Era onere, allora, dell’Amministrazione Finanziaria provare l’effettivo esborso di denaro da parte della COGNOME, attraverso, anche a indagini sui movimenti bancari e finanziari della COGNOME che sono, però, del tutto mancati.»
In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel rispetto dei principi sopra illustrati, nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17/12/2024.