Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9002 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9002 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/04/2025
Accertamento sinteticoanti-economicità dell’attività di impresa
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24215/2016 R.G. proposto da:
COGNOME nella dichiarata qualità di «ultimo legale rappresentante» della RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita, di socio illimitatamente responsabile della medesima ed in proprio, e COGNOME NOME COGNOME nella dichiarata qualità di socio illimitatamente responsabile della medesima società ed in proprio, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrenti –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. PUGLIA, n. 705/2016, depositata il 22/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle Entrate, con un primo avviso di accertamento, notificato il 20 ottobre 2011, accertava nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (trasformatasi in s.r.lRAGIONE_SOCIALE dal 28 aprile 2009) esercente l’attività di «commercio al dettaglio di confezioni per adulti », per l’anno di imposta 2006, un maggior reddito di impresa di euro 57.957,00 ed un maggior volume di affari di euro 119.923,00, determinati ex art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973. Nella stessa data notificava ai due soci, NOME COGNOME e NOME COGNOME, separati avvisi di accertamento con i quali imputava loro per trasparenza, ex art. 5 .t.u.i.r., un maggior reddito di partecipazione di euro 26.432,00.
In particolare, l’ Ufficio contestava l’ antieconomicità dell’attività di impresa in ragione della quale riteneva inattendibili le scritture contabili. Inoltre, dall’esame del «conto di mastro ‘ cassa ‘» rilevava che quest’ultimo presentava un saldo di apertura avere al 1° gennaio 2006 pari ad euro 174.000,00, derivante in gran parte da apporti dei soci effettuati nell’anno 2005 ; che, nel corso del 2006, il conto era stato incrementato con ulteriori apporti dei soci, in contanti, per importi consistenti, per un totale di euro 103.000,00, e decrementato di euro 18.000,00 per restituzione ai soci e di euro 91.008,22 per copertura di perdite pregresse, chiudendosi al 31 dicembre 2006 con un saldo avere di euro 167.991,78 . L’U fficio, verificava, ancora, che gli unici due soci della società, i quali prestavano la loro attività esclusivamente in detta
ultima, negli anni 2005 e 2006, avevano dichiarato redditi praticamente pari a zero, in contrasto con gli apporti consistenti nella società. Giungeva, per l’effetto , alla conclusione che detti ultimi erano meramente figurativi e che la perdita d’impresa realizzata nel 2006 non era veritiera. Per l’effetto, avendo riscontrato anomalie , sintomatiche di scelte imprenditoriali palesemente contrarie al più elementari principi di economia, rideterminava i ricavi derivanti dall’esercizio di attività d’impresa ipot izzando una percentuale di ricarico del 30 per cento, applicata al costo del venduto e rilevata dalle liste interattive relative alle società operanti nello stesso settore e per lo stesso ambito territoriale.
La società ed i due soci, con separati ricorsi, impugnavano, ciascuno per quanto di competenza, i tre atti impositivi innanzi alla C.t.p. di Bari che, previa riunione, li rigettava con sentenza depositata il 27 dicembre 2013.
Con sentenza n. 28 del 2014, depositata ii 10 marzo 2014 la società veniva dichiarata fallita.
Avverso la sentenza di primo grado spiegavano appello NOME COGNOME quale ultimo rappresentante legale della società fallita, quale socio della medesima ed in proprio, sia NOME COGNOME nella qualità di socio della società ed in proprio.
La C.t.r., con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello.
Avversa detta ultima ricorrono NOME COGNOME nelle già spiegate qualità. L ‘Agenzia delle Entrate resiste a mezzo controricorso .
Considerato che:
Con il primo motivo i contribuenti denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per motivazione apparente.
Assumono che la C.t.r. non ha esposto le ragioni per le quali ha ritenuto non meritevoli di considerazione le argomentazioni con le quali si era evidenziato come le presunte anomalie gestionali e la pretesa anti-economicità della gestione, poste a base della rideterminazione del reddito, fossero inidonee a costituire presunzioni gravi precise e concordanti ai fini dell’accertamento ex art. 39, comma 1, lett d), d.P.R. n. 600 del 1973.
Con il secondo motivo denunciano , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.
Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha concluso per la legittimità dell’accertamento in ragione della rilevata anti -economicità dell’attività commerciale reiterata nel tempo. Assumono che il giudice di secondo grado ha erroneamente ritenuto non assolto l’onere della prova contraria , idonea a vincere le presunzioni poste fondamento della ricostruzione induttiva dei maggiori ricavi, nonostante fossero stati offerti plurimi elementi fattuali e documentali. Aggiungono che tali plurime circostanze non erano nemmeno state oggetto di specifica contestazion e da parte dell’U fficio.
Con il terzo motivo denunciano , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Censurano la sentenza impugnata per aver omesso di considerare che la determinazione della percentuale di ricarico in ragione della quale erano stati accertati maggiori ricavi era erronea in quanto non rappresentativa della realtà economica e reddituale della società. Aggiungono, in particolare, che l’Amministrazione aveva ignorato la decurtazione dei prezzi di listino dovuta agli sconti praticati dai
venditori all’interno dei propri punti vendita , in ragione dei particolari periodi in regime di ultra sconti e per i saldi di fine stagione.
Con il quarto motivo denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Assumono che il giudice di appello ha omesso di pronunciarsi sullo specifico motivo di impugnazione con il quale avevano rilevato l’illegittimità dell’avviso di accertamento societario perché emanato in data 17 ottobre 2011, ovvero prima dello scadere del termine di sessanta giorni dalla dat a del 10 ottobre 2011 in cui l’A mministrazione aveva dichiarato conclusa l’attività istruttoria.
Con il quinto motivo denunciano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell ‘art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 115 cod. proc. civ.
Censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto che gli avvisi di accertamento fossero adeguatamente motivati, nonostante gli stessi fossero carenti degli elementi formali e sostanziali fondanti la pretesa tributaria, non essendo state né allegate né riportate nel contenuto essenziale le «liste interattive» dalle quali era stata ricavata la percentuale di ricarico medio in ragione della quale era stata operata la ricostruzione del reddito.
Preliminarmente deve evidenziarsi la legittimazione della società dichiarata fallita in persona del rappresentante legale in quanto il curatore, per ciò che risulta, si è astenuto dall’impugnazione, restando inerte (Cass. Sez. U. 28/04/2023, n. 11287).
Il quarto motivo va esaminato in via preliminare in quanto con il medesimo i ricorrenti assumono che la C.t.r. non si sarebbe pronunciata su un vizio dell’atto impositivo , emesso in violazione del
termine dilatorio di cui all’art. 7 legge n. 212 del 2000, astrattamente idoneo a determinarne, di per sé, la nullità.
Il motivo è inammissibile.
7.1. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. ex plurimis Cass. 29/01/2021, n. 2151; Cass. 02/04/2020, n. 7662; Cass. 30/01/2020, n. 2153).
7.2. La sentenza impugnata, non solo si è pronunciata nel merito dell’accertamento, ma ha anche espressamente escluso la lesione del diritto di difesa nella fase endo-procedimentale, rilevando che gli avvisi di accertamento erano stati preceduti da una fase interlocutoria caratterizzata da numerosi incontri in contraddittorio nella quale la società era stata invitata a fornire le giustificazioni.
7.3. Per altro, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che l’applicabilità dei diritti e delle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali di cui all’articolo 12 legge n. 212 del 2000 postula lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali del contribuente ( ex plurimis Cass. 10/05/2024, n. 12840, Cass. 05/11/2020, n. 24793, Cass. 04/04/2014, n. 7957). La ragione va ravvisata nel fatto che, in questi casi, lo statuto di diritti e garanzie è di contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza, dando corpo ad una specifica esigenza di contraddittorio, al fine di conformare ed adeguare l’interesse dell’Amministrazione alla situazione del contribuente.
A conferma, le stesse Sezioni Unite, pronunciatesi sulle conseguenze della violazione del termine dilatorio in questione, hanno espressamente correlato il dies a quo di decorrenza del termine al rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni (Cass. Sez. U. 20/07/2013, n. 18184)
Differente è, invece, il caso, come quello in esame, in cui la pretesa impositiva sia scaturita dal vaglio degli atti sottoposti all’Amministrazione dallo stesso contribuente o esaminati in ufficio.
Da ciò discende che le fattispecie del controllo eseguito presso la sede del contribuente e del controllo c.d. a tavolino non possono essere assimilate, giacché la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra Fisco e contribuente non giunge fino al punto da imporre termini dilatori all’azione di accertamento che derivi da controlli fatti dall’Amministrazione nella propria sede, in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente (Cass. 06//06/2016, n. 11539).
Va ribadito che l’art. 12 comma 7, legge n. 212 del 2000, non trova applicazione in caso di atto impositivo basato solo sulle risultanze dell’art.32 d.P.R. n.600 del 1973. Del resto, questa Corte ha pure chiarito che, anche nell’ipotesi di accertamento misto, cioè nell’ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività e di successiva autorizzazione all’espletamento di indagini bancarie, trattandosi di procedimenti distinti, ove l’atto impositivo si fondi solo sulle risultanze di queste ultime, non trova ugualmente applicazione il termine dilatorio (Cass. 30/06/2021, n. 18413).
8. Il quinto motivo, anch’esso preliminare in quanto prospetta un vizio di motivazione dell’atto impositivo, è infondato.
8.1. Parte ricorrente si duole del fatto che l’Ufficio ha desunto una percentuale di ricarico pari al 30 per cento pur non avendo allegato né riportato le «liste interattive» dalla quale era stata ricavata.
Dal testo dell’avviso di accertamento riprodotto in ricorso emerge che la percentuale di ricarico è stata determinata facendo riferimento a quella applicata nello stesso settore, nesso stesso anno e nello stesso ambito territoriale.
8.2. Ciò posto, in primo luogo va rammentato che la motivazione dell’avviso di accertamento o di rettifica, presidiata dall’art. 7 legge n. 212 del 2002, ha la funzione di delimitare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel successivo giudizio di merito e di mettere il contribuente in grado di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria. Si pone, pertanto, su un piano diverso rispetto alla prova della pretesa tributaria ed al suo accertamento in giudizio in presenza di specifiche contestazioni dello stesso (Cass. 20/09/2024, n. 25321).
Il contribuente, invece, con il motivo in esame, sembra dolersi più dell’applicazione di una percentuale di ricarico non condivisa che della mancata allegazione degli studi di settore di quali era stata tratta.
8.3. In linea generale, poi, ai sensi dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, l’Amministrazione non ha l’obbligo di allegare all’atto impositivo i documenti richiamati, potendo limitarsi a riprodurne il contenuto essenziale (Cass. 30/12/2024, n. 34906).
Più nello specifico, si è già chiarito che anche nel caso di avviso di accertamento sia fondato su studi di settore l’Amministrazione finanziaria non è tenuta ad allegare all’atto notificato il decreto ministeriale di approvazione del detto studio, in quanto il contribuente è reso edotto degli indici elaborati per la determinazione in via presuntiva del reddito nel corso del necessario contraddittorio procedimentale preventivo all’emissione dell’atto impositivo (Cass. 06/06/2018, n. 14552).
Detto principio vale ancora più nella fattispecie in esame in cui l’accertamento trova fondamento su ulteriori elementi giustificativi, come la reiterata anti-economicità dell’attività, desumibile da irregolarità contabili o anomale gestioni aziendali, sicché non si è in presenza di un accertamento operato sulla base della sola applicazione degli studi di settore (cfr. Cass. 09/04/2024, n. 9554).
Il primo motivo, con il quale si prospetta il vizio di motivazione della sentenza, è infondato.
9.1. La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando questa manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; successivamente, tra le tante, Cass. 01/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598).
9 .2. La C.t.r. ha ritenuto che l’U fficio avesse legittimamente accertato il reddito secondo le moda lità di cui all’art. 39 comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973 in quanto aveva rilevato l’anti -economicità dell’attività commerciale , reiterata nel tempo; ha ricordato, per l’effetto, l’insegnamento di legittimità secondo il quale la circostanza che un’impresa dichiari , per più anni, rilevanti perdite costituisce condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare la rettifica della dichiarazione; infine, ha ritenuto non pertinente il rilievo secondo il quale l’accertamento si era fondato sull’ indebito sindacato
delle libere scelte imprenditoriali in quanto l’accertamento esu lava del tutto da dette ultime, basandosi, piuttosto, sulle risultanze abnormi dell’attività imprenditoriale .
9.3. Tale motivazione è esauriente in quanto in linea con l’orientamento di legittimità secondo il quale l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile stante l’anti-economicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, secondo e terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (Cass. 5/12/2022, n. 36713).
10. Anche il secondo motivo è infondato.
Il contribuente assume che la C.t.r., nel ritenere che non fosse stata offerta adeguata prova contraria a vincere la ricostruzione induttiva dei ricavi, non ha considerato i plurimi elementi offerti e la mancata contestazione delle circostanze fattuali.
10.1. In primo luogo, nel processo tributario, nell’ipotesi di ricorso contro l’avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio, (Cass. 23/07/2019, n. 19806). Pertanto, qualora l’Amministrazione finanziaria difenda l’atto impositivo avverso le critiche proposte dal contribuente, che domanda
di rigettare, per ciò solo devono ritenersi contestate le tesi difensive proposte dalla controparte (Cass. 03/09/2024, n. 23599).
10.2. In secondo luogo, per consolidato principio, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso. Inoltre, l’osservanza degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non richiede che egli dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. È, infatti, necessario e sufficiente che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. In altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo dato indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce, in base al giudizio effettuato, gli elementi essenziali ai fini del decidere, purché tale valutazione risulti logicamente coerente. Di conseguenza, il controllo di legittimità è incompatibile con un controllo sul punto, perché il significato delle prove lo deve stabilire il giudice di merito. La Corte, inevitabilmente, compirebbe un non consentito giudizio di merito, se, confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie, prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori rispetto a quelli assunti dal giudice di appello a fondamento della sua decisione (cfr. tra le tante, Cass. 20/02/2024, n. 4583, Cass. 15/09/2022, n. 27250, Cass. 11/12/2023, n. 34374 Cass. 21/01/2015, n. 961).
10.3. La C.t.r. ha puntualmente messo in evidenza gli elementi rilevanti ai fini della ricostruzione induttiva del reddito individuandoli nel saldo negativo di cassa, nei consistenti finanziamenti in contanti ad
opera dei soci i quali, tuttavia, dichiaravano redditi inadeguati, nella grave sproporzione tra i ricavi ed i costi, nell’abnorme aumento de l valore delle rimanenze finali, nel rapporto reddito ricavi decisamente basso o di segno negativo.
A fronte di tale ricostruzione, i ricorrenti nemmeno indicano nel ricorso per cassazione quale sarebbe la specifica circostanza fattuale pretermessa dalla C.t.r., limitandosi a riproporre tutte le argomentazioni spese nelle fasi di merito per contestare la gestione antieconomica dell’impresa. Così facendo, tuttavia , pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. 04/07/2017, n. 8758). Oggetto del giudizio che si vorrebbe demandare a questa Corte non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/ 2019, n. 3340; Cass. 14/01/2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315).
11. Il terzo motivo è inammissibile.
11.1. Nell’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , comma 5, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione -per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma. n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello,
dimostrando che esse sono tra loro diverse. (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. Sez. U. 21/09/2018, n. 22430).
11.2. Nella specie, posto che il giudizio d’appello è iniziato nel 201 4, la doglianza è inammissibile poiché le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (c.d. doppia conforme), si fondano sulle medesime ragioni di fatto; del resto, parte ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario. La sentenza di secondo grado, infatti, non ha fatto altro che esplicitare, per altro in maniera congrua e logica, il percorso motivazionale seguito dalla sentenza di primo grado per giungere, dai maggiori compensi accertati rispetto a quelli dichiarati, alla determinazione del maggiori reddito.
Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Alla soccombenza segue la condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio, oltre quelle prenotate a debito
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00 a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2025.