Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16143 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16143 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12101/2024 R.G. proposto da :
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura allegata al ricorso, p.e.c. EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 6395/2023 depositata il 14/11/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con apposito invito (n. I00476/2010) l’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Latina convocava il contribuente in epigrafe per fornire delucidazioni in merito ad alcuni indici di capacità
contributiva che, in forza dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, evidenziavano una incoerenza rispetto al reddito dichiarato con riferimento all’anno di imposta 2005.
Sulla scorta del questionario compilato unitamente alla documentazione atta a dimostrare la provenienza delle somme utilizzate per gli investimenti patrimoniali effettuati, non ritenuti esaustivi, l’Agenzia delle Entrate notificava al contribuente l’avviso di accertamento n. RC4010202107/2010 con il quale venivano contestate maggiore Irpef, maggiore Addizionale regionale e maggiore Addizionale comunale, oltre a sanzioni e interessi.
NOME COGNOME proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Latina, che lo accoglieva parzialmente.
Per la parte di relativa soccombenza, il contribuente proponeva appello davanti alla Commissione tributaria regionale del Lazio, che tuttavia lo dichiarava inammissibile.
Proponeva ricorso per cassazione NOME COGNOME ricorso che la Corte, con ordinanza n. 21616/2022, accoglieva, rinviando alla Commissione tributaria regionale per nuovo esame.
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, adita in sede di riassunzione, rigettava l’appello.
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandosi a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Con provvedimento emesso in data 15 ottobre 2024 il Consigliere delegato ha proposto la definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., cui il contribuente si è opposto, in data 20 novembre 2024, chiedendo la decisione nelle modalità e forme ordinarie di cui all’art. 380bis. 1 c.p.c.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 14 aprile 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art . 115 c.p.c., in relazione all’art. 360,
n. 4, c.p.c.; il contribuente lamenta l’errore della Corte di Giustizia Tributaria di II grado che, nel valutare le disponibilità economiche del nucleo familiare nel decennio 1997-2007, avrebbe travisato, ignorandole, le informazioni probatorie, sebbene lo stesso giudice (CTR del Lazio, in altra composizione) sulla base della stessa documentazione avesse ritenuto invece che il contribuente aveva dimostrato documentalmente la capacità di sostenere le spese per gli investimenti patrimoniali.
1.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, la CTR ha ritenuto che non fosse possibile estendere l’indagine valutativa oltre il quinquennio, come richiesto dalla parte riassumente, e tale ratio decidendi non è attinta dal ricorso.
In secondo luogo, con riferimento alla ulteriore valutazione espressa dai giudici di appello secondo cui, comunque, l’esame dei redditi per l’intero e più ampio periodo non sarebbe utile per considerare giustificati gli investimenti, deve evidenziarsi che, sotto la rubrica della violazione dell’art. 115 c.p.c., la censura attiene invece alla valutazione delle risultanze istruttorie in ordine al reddito netto complessivo residuo utilizzabile, tenuto conto degli investimenti (del contribuente e della moglie) e delle esigenze ordinarie di vita, mentre non emerge affatto il preteso travisamento della prova che deve intendersi quale assoluto travisamento della informazione probatoria ( ex plurimis cfr. Cass. n. 26769/2018) e non come verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio (Cass. n. 5792/2024).
E’ del tutto estranea al perimetro della norma che si assume violata l’esistenza di una diversa decisione della CTR del Lazio relativa al medesimo contribuente.
Con il secondo motivo il contribuente deduce «Nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art . 132 c.p.c. in relazione all’art 360, primo comma, n. 4 c.p.c.. »,
dolendosi della indecifrabilità della sentenza impugnata laddove conferma la statuizione dei giudici di prime cure, in modo acritico e laddove limita al quinquennio la possibilità di provare la formazione della provvista.
2.1. Il secondo motivo è infondato.
La parte motivazionale della sentenza impugnata, invero, risulta essere ben superiore al c.d. «minimo costituzionale», non presentando alcuna delle anomalie rilevanti ai sensi di Cass., Sez. U, n. 8053/2014.
Secondo il consolidato orientamento di questa Suprema Corte di legittimità, infatti, la mancanza censurata si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione ovvero essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum , il che non sussiste evidentemente nel caso di specie, dove la CTR in primo luogo ha escluso di poter dare rilevanza ai redditi nel decennio 1997-2007 e poi ha comunque ritenuto, con motivazione congrua, che tali redditi, al netto delle esigenze di vita, non giustificassero gli incrementi patrimoniali.
Con il terzo motivo si deduce «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 del codice civile. Violazione e falsa applicazione degli artt. 210 e 213 del c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del D.P.R.600/73. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in elazione all’art 360, primo comma, nn. 3 e n. 5 c .p.c.».
La sentenza sarebbe viziata nella parte in cui, con riguardo agli asseriti investimenti della moglie del Sig. COGNOME non avrebbe motivato le proprie affermazioni ma riportato quanto addotto
dall’ Amministrazione finanziaria che a sua volta non avrebbe adeguatamente comprovato quanto dichiarato.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, infatti, espone censure in fatto contemporaneamente a quelle relative alla pretesa violazione di legge, dando luogo ad una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di esse , con l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. n. 26874/2018), non relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed ai profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. n. 8915/2018).
Si tratta di censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, senza un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte .
Sotto altro profilo, il motivo è altresì inammissibile perché, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni; in buona sostanza, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 n. 5 c.p.c., che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 21397/2023; Cass. n. 15684/2023; Cass. n. 27270/2021).
Inoltre, occorre rammentare quanto più volte ribadito da questa Corte di legittimità, secondo la quale per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla «valutazione delle prove» (Cass. Sez. U. n. 20867/2020; Cass. n. 27769/2018; Cass. n. 11892/2016).
Il terzo motivo sconta ulteriore ragione di inammissibilità, in quanto la sufficienza o meno della disponibilità finanziaria della coniuge, tenuto conto del reddito e degli investimenti di quest’ultima, rispetto al contributo alle spese del contribuente, non è un fatto storico n aturalistico denunciabile ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ma il frutto di un giudizio complessivo di relazione e valutazione, non sindacabile peraltro in questa sede.
Occorre appena precisare, concludendo l’esame del motivo, che esso è anche infondato, laddove, sotto il profilo della violazione di legge, deduce che la CTR non avrebbe dato rilievo al reddito complessivo della famiglia, in quanto, invece, il giudice a quo ha
espressamente dato atto della valutazione del possibile apporto della moglie, considerati il reddito e gli investimenti della medesima.
P ure inammissibile (in quanto del tutto generica nell’oggetto ed esplorativa), e comunque infondata, è la censura, sempre contenuta nel terzo motivo, circa la pretesa violazione consistente nel mancato esercizio dei poteri di cui agli artt. 210 e 213 c.p.c. nei confronti dell’ufficio, poteri esercitabili dal giudice tributario alla luce di quanto evidenziato da Corte Cost. n. 109 del 2007.
In primo luogo, con riferimento all’art. 210 c.p.c., non è censurabile in sede di legittimità la mancata adozione di un ordine di esibizione all’Ufficio, trattandosi di mancato esercizio di un potere solo discrezionale del giudicante, che presuppone comunque che il singolo documento sia sufficientemente individuato, non potendosi mai sopperire all’inerzia delle parti nel dedurre i mezzi istruttori e nel produrre documenti, nel possesso di una parte o di un terzo, di cui l’interessato è in grado, di propria iniziativa, di acquisire una copia e di produrla in causa ( ex plurimis Cass. n. 38062/2021).
In secondo luogo, con riferimento all’art. 213 c.p.c., il mancato esercizio del relativo potere è censurabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., soltanto se vi è stata una sollecitazione di parte, se il rifiuto è stato motivato e se l’ordine giudiziale è l’unico mezzo per ottenere le informazioni in possesso della pubblica amministrazione (Cass. n. 525/2025).
Nessuno di tali presupposti risulta allegato nel motivo in esame.
4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art 92, secondo comma, c .p.c. in relazione all’art . 360, primo comma, n. 3 c.p.c., denunciando la illegittima condanna alle spese della parte soccombente, nel pronunciare la quale la CTR non avrebbe tenuto conto del parziale accoglimento del ricorso introduttivo, del rinvio operato alla dalla Corte di Cassazione di cui all’ordinanza n. 21611/2022, favorevole al riesame della fattispecie innanzi al Giudice del gravame in diversa composizione, nonché della
sussistenza della sentenza della medesima CTR n. 910/2022 favorevole al contribuente e concernente l’anno di imposta 2007.
4.1. Il motivo è inammissibile e infondato.
Premessa l’irrilevanza dell’esito di altro giudizio tra le stesse parti per altro anno di imposta, ai fini della regolazione delle spese, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte (Cass. Sez. U. n. 32906/2022).
Deve infine evidenziarsi l ‘ infondatezza del motivo laddove assume essere questione giuridica nuova quella oggetto di lite, mentre le disposizioni attinenti agli accertamenti originati dal cd. Redditometro sono oggetto di consolidata giurisprudenza di legittimità.
5. Il ricorso va quindi respinto.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.
Poiché il giudizio è definito in conformità alla proposta, ai sensi dell’art. 380 -bis u.c. c.p.c. il ricorrente va condannato al pagamento in favore dell ‘Agenzia delle entrate della somma di cui all’art. 96, terzo comma, c.p.c., nell’importo di 2.700,00 €, nonché, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al versamento in favore della cassa ammende della somma di 1.000 ,00 €.
Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte del
ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
c ondanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito, nonché al pagamento della ulteriore somma di euro 2.700,00, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna, inoltre, il ricorrente al versamento di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater, del d.P.R. n. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/04/2025.