Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1769 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1769 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 417/2016 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-resistente- avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana n. 773/2015 depositata il 27/04/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorreva avverso l’ avviso di accertamento relativo al periodo di imposta per l’ anno 2007, emesso dall’Agenzia delle Entrate, con il quale l’Ufficio accertava con metodo sintetico maggiori redditi ex art. 38 DPR 600/73 per euro 26.969,87 in relazione al possesso di beni (cinque immobili e tre beni mobili registrati), per euro 185.354,00 come quota parte di incrementi patrimoniali (tre immobili, di cui due acquistati nell’anno 2010 ed uno acquistato nell’anno 2011 dalla moglie del contribuente, NOME COGNOME che risultava priva di reddito imponibile).
Il ricorso veniva accolto dalla CTP di Massa Carrara. Quindi, la CTR della Toscana, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva l’appello dell’Amministrazione .
Avverso la predetta sentenza ricorre NOME COGNOME con tre motivi.
L’Agenzia delle entrate ha depositato foglio di costituzione per l’eventuale discussione in pubblica udienza.
Infine, il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380.bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento per «1. Violazione dell’art. 33, comma 1, d.lgs. n. 546/1992 applicabile al processo di appello ai sensi dell’art. 61 dello stesso d.lgs.; e/o 2. violazione dell’art. 354 c.p.c. applicabile anche al processo tributario».
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Questa Suprema Corte ha chiarito che «l’omessa fissazione, nel giudizio d’appello, dell’udienza di discussione orale, pur ritualmente richiesta dalla parte ex art. 352 c.p.c., non comporta necessariamente la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa, giacché l’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato “error in procedendo”; sicché, avendo la discussione della causa nel giudizio d’appello una funzione meramente illustrativa delle posizioni già assunte e delle tesi già svolte nei precedenti atti difensivi e non sostitutiva delle difese scritte ex art. 190 c.p.c., per configurare una lesione del diritto di difesa non basta affermare, genericamente, che la mancata discussione ha
impedito al ricorrente di esporre meglio la propria linea difensiva, essendo al contrario necessario indicare quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi» (Cass. sez. 2, 27.11.2017, n. 28229; conf. Cass. sez. I, 10.12.2020, n. 28188; per l’applicazione del richiamato principio al processo tributario, v. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2948 del 10/02/2006; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7108 del 17/03/2008 e, da ultimo, Cass. Sez. T, 18 aprile 2024, n. 10574).
1.3. Nel caso di specie, il ricorrente non ha provveduto ad indicare quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o approfondire.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza o del procedimento, per «Omessa pronuncia e/o mancanza di motivazione sul primo motivo di ricorso, rimasto assorbito nella sentenza di primo grado e riproposto ai Giudici di secondo grado», avente ad oggetto la violazione dell’obbligo di contraddittorio preventivo .
2.1. La CTR ha effettivamente pretermesso ogni determinazione al riguardo.
Tuttavia, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non
richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2313 del 01/02/2010; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16171 del 28/06/2017; Sez. 5, Ordinanza n. 9693 del 19/04/2018; di recente v. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 17416 del 16/06/2023).
2.2. Così è nel caso di specie. Invero, questa Corte regolatrice ha già avuto occasione di statuire che «in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata esclusivamente per i tributi “armonizzati” di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, mentre, per quelli “non armonizzati”, non essendo rinvenibile, nella legislazione nazionale, una prescrizione generale, analoga a quella comunitaria, solo ove risulti specificamente sancito, come avviene per l’accertamento sintetico in virtù dell’art. 38, comma 7, del d.P.R. n. 600 del 1973, nella formulazione introdotta dall’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale» (Cass. sez. 4-5, 31/05/2016, n. 11283, di recente richiamata da Cass. 04/07/2023, n. 18822).
Con il terzo strumento di impugnazione si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la « violazione o falsa applicazione dell’art. 38, 4° comma, d.P.R. n. 600/1973, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate con il d.l. n. 78/2010, in vigore dal 31/05/2010, convertito dalla l. n. 122/2010».
3.1. Lamenta il ricorrente che le spese per incrementi patrimoniali sostenute nel 2010 e 2011 sarebbero state erroneamente prese in considerazione dall’Ufficio ai fini dell’accertamento e dai giudici di appello per la decisione, mentre al contrario esse rileverebbero, ai fini della determinazione sintetica del reddito, esclusivamente nel medesimo anno in cui sono state sostenute, giuste le modifiche apportate dall’art. 22 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, all’art. 38 del
DPR n. 600/1973, il quale, nella versione riformata, prevede che la spesa per incrementi patrimoniali si presume sostenuta con redditi conseguiti solo nell’anno in cui è stata effettuata e, dunque, in ogni caso non sarebbe possibile imputare 1/5 del presunto reddito conseguito nel 2010 a ciascuno dei quattro precedenti anni.
3.2. Il motivo è infondato.
3.3. Questa Corte ha infatti già avuto modo di rilevare che il primo comma del predetto art. 22 d.l. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta a partire dall’anno 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice » ( ex plurimis Cass. 8/05/2023, n. 12153; Cass. 01/04/2022, n. 10578; Cass. 07/06/2021, n. 15760).
3.4. A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012, emesso in attuazione del novellato quinto comma dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973, conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le «disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
3.5. Al riguardo questa Corte ( ex plurimis Cass. 06/10/2014, n. 21041; Cass. 6/11/2015, n. 22744; Cass. 29.01.2016, n. 1772; Cass. 21.11.2019, n. 30355; Cass. 07/06/2021, n. 15760), nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che:
non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo, ex plurimis, Cass., 26/02/2019, n. 5566) si fonda piuttosto sulla
natura procedimentale delle norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento;
neppure è in questione il principio del favor rei, la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro;
comunque, l’individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale ed a fronte alle esplicite previsioni di diritto transitorio, già richiamate, che inequivocabilmente identificano la norma applicabile ratione temporis, è recessivo anche il principio tempus regit actum , altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali.
3.6. Pertanto, deve escludersi l’applicazione del “nuovo redditometro” (sia per quanto riguarda le modifiche dell’art. 38 d.p.r. n. 600 del 1973 apportate dal art. 22 d.l. n. 78 del 2010; sia per quanto attiene al d.m. 24 dicembre 2012, che ad esse ha dato attuazione).
3.7. Con specifico riguardo al computo degli incrementi patrimoniali realizzati dopo il 2008 in relazione ad accertamenti sintetici per gli anni di imposta anteriori al 2009, questa Corte ha affermato la legittimità della loro ‘spalmatura’ nel quinquennio precedente, secondo la previgente versione dell’art. 38, comma 5, DPR n. 600/1973, come conseguenza della applicazione della novella legislativa introdotta dal d.l. n. 78/2010 solo agli accertamenti relativi all’anno 2009 e successivi, rimanendone pertanto esclusi quelli antecedenti (Cass. 13/09/2022, n. 26916; Cass. 15/02/2022, n. 4818; Cass. 8/10/2021, n. 27433).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.