Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31779 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31779 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
Avv. Acc. IRPEF 2007
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16938/2016 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 63/24/2016, depositata in data 12 gennaio 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del primo e del terzo motivo ed il rigetto dei restanti motivi perché inammissibili.
Rilevato che
NOME COGNOME COGNOME riceveva notifica dell’avviso di accertamento ai fini IRPEF n. T9D013C07439 per l’anno d’imposta 2007. L’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Milano II rideterminava sinteticamente il reddito complessivo del contribuente ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un maggior reddito di € 1.643.936,33 per l’anno 2007. La rettifica originava dal riscontro, operato dall’ufficio, della disponibilità del prefato contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: abitazione principale, abitazione secondaria, canoni di leasing, imbarcazione da diporto, premi assicurativi, mutuo e relativi interessi, e spese per incrementi patrimoniali.
Avverso l’avviso il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Milano; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 2814/09/2015, rigettava il ricorso del contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. della Lombardia; si costituiva in giudizio anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 63/24/2016, depositata in data 12 gennaio 2016, la C.t.r. adita rigettava l’appello del contribuente, condannandolo al pagamento delle spese di lite.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 17 ottobre 2024 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità -sotto due distinti profili -della sentenza d’appello nella parte in cui la C.t.r. dichiara che, ai fini dell’accertamento sintetico, rileva come spesa per incrementi patrimoniali l’importo della somma il cui obbligo di pagamento è scaduto: A) Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, quarto e quinto comma, d.P.R. n. 600/1973, degli artt. 2727 e 2729, primo comma, cod. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; B) Omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (inadempimento della obbligazione di pagamento)» il contribuente lamenta l’error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha considerato, ai fini dell’accertamento sintetico, come spesa per incrementi patrimoniali un importo che, in realtà, non era stato mai pagato.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità della sentenza – sotto due distinti profili – nella parte in cui la C.t.r. conferma la pretesa basata su asserite spese gestionali (premi relativi a due polizze assicurative) che l’Agenzia ascrive al 2007 ma che invece sono rilevanti, ai fini dell’accertamento sintetico, in anni precedenti: A) Omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (pagamento dei premi avvenuto nel 2005 e nel 2006); B) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2735, primo comma, cod. civ. e di conseguenza dell’art. 38, quarto comma, d.P.R. n. 600/1973» il contribuente lamenta l’error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha mancato di rilevare che i premi relativi a due polizze assicurative, che hanno inciso sulla determinazione del reddito accertato, erano stati pagati nel 2005 e nel 2006, e dunque non avevano rilevanza ai fini dell’accertamento
anno 2007; la C.t.r. ha poi ritenuto che la quietanza apposta sulle polizze non avesse valenza di prova della data di pagamento del relativo premio.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 1199, secondo comma, cod. civ., dell’art. 2735, primo comma, cod. civ. e dell’art. 13, commi 8sexies e 8septies , D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, e di conseguenza per falsa applicazione dell’art. 38, quarto comma, d.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui la C.T.R. afferma la legittimità dell’accertamento sintetico di un maggior reddito basato su un’asserita “spesa gestionale” per interessi su mutuo (pari a € 11.658,00), che in realtà non è stata sostenuta nel 2007 in quanto riferita a mutuo (con Meliorbanca S.p.A.) già estinto» il contribuente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha affermato la legittimità dell’accertamento sintetico di un maggior reddito basato su una spesa gestionale mai verificatasi, in quanto afferente ad interessi su mutuo già estinto.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., laddove la C.t.r. ha affermato come non documentato (e dunque non provato) un fatto (superficie delle abitazioni) che, già in primo grado, è divenuto certo per non essere stato contestato dall’Agenzia delle Entrate» il contribuente lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha affermato come non documentato un fatto (superficie delle abitazioni) già certo per mancata contestazione.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per falsa applicazione dell’art. 2, ultimo comma, allegato
A., D.M. 10 settembre 1992 (nella versione applicabile al periodo di imposta 2007) laddove la C.t.r. ha dichiarato che con riguardo alla disponibilità di un’imbarcazione la cui vetustà risale al 1966 è legittimo ridurre del solo 5% il valore determinato in base ai coefficienti» il contribuente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha dichiarato legittima la determinazione di un reddito che, accertato con riferimento alla disponibilità di un’imbarcazione, è stato determinato con l’applicazione di un erroneo coefficiente di vetustà, cioè quello del 5% invece che del 40%.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso, così rubricato: «illegittimità della sentenza, in relazione all’art. 360. primo comma, n. 5, cod. proc. civ. per omesso esame del fatto decisivo che uno dei “movimenti di capitale’ che l’Agenzia ha ritenuto costituire spesa per incrementi patrimoniali, costituisce in realtà un’operazione di accredito, come tale non rilevante ai fini dell’accertamento sintetico del reddito» il contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha mancato di rilevare che uno dei movimenti di capitale, ricompresi tra le spese per incrementi patrimoniali alla base dell’accertamento del reddito, costituiva in realtà un’operazione di accredito, come tale non rilevante.
1.7. Con il settimo motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità della sentenza d’appello, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 38, sesto comma, d.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui la C.t.r. dichiara che il contribuente non ha assolto l’onere della prova contraria» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha dichiarato che il contribuente non ha assolto l’onere di prova contraria, in quanto non ha prodotto in giudizio documentazione bancaria dalla quale si possa rilevare il nesso tra le spese sostenute e i redditi esenti/disponibilità finanziarie
redditualmente non rilevanti, che sarebbero state impiegate per dette spese, mentre in realtà al contribuente spettava provare sola l’esistenza delle suddette disponibilità.
1.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità della sentenza d’appello, per violazione e falsa applicazione dell’art. 38, sesto comma, d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 2697, primo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la C.t.r. afferma che il contribuente non ha assolto l’onere di prova contraria» il ricorrente, specificando ulteriormente il precedente motivo, lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha affermato che il contribuente sarebbe onerato della dimostrazione che al momento del sostenimento della spesa presunta in base alla disponibilità di determinati beni e servizi, esso aveva disponibilità di redditi esenti di importo pari a quello del reddito presunto.
Il primo motivo di ricorso proposto è fondato; con esso, in particolare, il ricorrente si duole, ex art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., della considerazione nel maggior reddito accertato di un importo (obbligazione pecuniaria) mai sostenuto.
2.1. In effetti, come dedotto dal ricorrente, sarebbe stato onere dell’amministrazione finanziaria dare dimostrazione dell’effettivo esborso della spesa de qua . Invero, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata in ordine al pagamento di tre milioni a saldo appare motivata più con riferimento all’obbligo di adempimento che non all’effettivo esborso per l’incremento patrimoniale , dato che l’Agenzia delle Entrate doveva provare.
2.2. Sull’argomento la Corte ha, infatti, di recente ribadito «che ai fini dell’accertamento del reddito con il metodo sintetico di cui all’art. 38, quarto e quinto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo, vigente ratione temporis, tra la l. n. 413 del 1991 ed il d.l. n. 78 del 2010, conv., con modif., dalla l. n. 122 del 2010), non è sufficiente l’acquisto di un bene attraverso il mero accollo di un
debito o con emissione di cambiali, atteso che tale pattuizione non integra un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, ma solo una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio dal lato passivo, sicché non comporta un’attuale erogazione di spesa per incrementi patrimoniali e, dunque, non costituisce effettiva ed attuale espressione di capacità economica (Cass. 10/09/2014, n. 19030, con specifico riferimento all’accollo del debito che non costituisce un modo di estinzione delle obbligazioni, diverso dall’adempimento, a differenza, ad esempio, della compensazione, che invece è idonea a rivelare una corrispondente capacità economica: cfr. Cass. 11/09/2009, n. 19647); essa configura solo una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio nel lato passivo e non comporta cioè l’attuale erogazione di spesa e non è dunque effettiva ed attuale espressione di capacità economica nella prospettiva dell’art. 38, quinto comma, cit.; espressione di tale capacità ai detti fini è, invece, costituita dai singoli atti di estinzione dell’obbligazione accollata.
Successivamente in senso analogo Cass. 18/12/2015, n. 25473 e Cass. 23/02/2017, n. 4748. Il principio risulta affermato anche da Cass. 21/07/2015, n. 15289 (non massimata sul punto), laddove è affermato che ‘Ai fini dell’accertamento del reddito con il metodo sintetico di cui all’art 38, quarto e quinto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ‘ ratione temporis vigente’, non è sufficiente l’acquisto di un bene, ove lo stesso sia stato pagato in parte in contanti ed in parte con emissione di cambiali; siffatto acquisto, invero, per la detta parte (e cioè per la parte del corrispettivo pagata con cambiali), non comporta un’attuale erogazione di spesa per incrementi patrimoniali e, dunque, non costituisce effettiva ed attuale espressione di capacità economica; il pagamento di un corrispettivo con cambiali non può infatti essere assimilato ad un pagamento in contanti, in quanto le cambiali
costituiscono una promessa di pagamento futuro di una somma di denaro di cui il soggetto al momento dell’emissione non dispone (in senso conforme, sia pure per diversa ipotesi’ Occorre, in definitiva, dimostrare l’effettivo sostenimento di una spesa» (Cass. n. 12932/2023).
2.3. Inoltre, anche a voler ritenere implicita nella motivazione della sentenza impugnata una presunzione semplice -e cioè che l’esborso si presumeva avvenuto alla scadenza del termine per adempimento – il ragionamento presuntivo sarebbe censurabile per non aver dato conto di considerare, ai fini della verifica della tenuta del ragionamento inferenziale, gli elementi potenziali a discarico offerti nel merito dal contribuente, in ossequio al principio di autosufficienza, nelle pagg. da 22 a 28 del ricorso.
2.4. Così impostata la questione, la seconda censura nel primo motivo va propriamente intesa – non tanto come omessa decisione di un fatto decisivo per il giudizio, ma- come parte integrante la prima censura, rilevante ai sensi della denuncia sulla violazione di legge in materia di presunzioni semplici.
Invero, ‘In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 16/11/2018, n. 29635; Cass. 02/03/2017, n. 5374).
2.5. Peraltro, la censura in esame comunque sfuggirebbe all’ipotetica inammissibilità per la cd. doppia conforme, che non
trova applicazione quando, sullo specifico fatto (nel caso di specie la prova dell’inadempimento quale fatto a discarico) è mancata del tutto l’informazione probatoria, avendo il giudice di primo grado la cui sentenza è stata integralmente riprodotta nel ricorso ritenuto (erroneamente) di non valorizzare la documentazione in lingua inglese ossia la lettera indicata, in ossequio al principio di autosufficienza, a pag 27 del ricorso, non tradotta dal contribuente, mentre il giudice di appello ha ritenuto meramente che il contribuente non avesse dimostrato che il debito gli fosse stato ‘abbuonato’. È evidente che le due decisioni di merito non si fondano sulla medesima ragione/informazione probatoria, con la logica conseguenza che non si è proprio in presenza di doppia conformità preclusiva.
Infatti, ‘La disposizione di cui all’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in base alla quale non sono impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado in ipotesi di c.d. doppia conforme, presuppone che nei due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in base alle “stesse ragioni”, sicché la preclusione non opera nel caso in cui l’istruzione probatoria sia del tutto mancata’ (Cass. 12/11/2019, n. 29222).
Il secondo motivo di ricorso proposto è inammissibile; con esso il contribuente si duole, ex art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., della presa in considerazione, da parte della C.t.r., di premi relativi a due polizze assicurative, che hanno inciso sulla determinazione del reddito accertato, pagati nel 2005 e nel 2006, dunque non rilevanti ai fini dell’accertamento anno 2007.
3.1. Riguardo alla prima questione, la C.t.p. e la C.t.r. hanno esaminato la documentazione invocata dal ricorrente e non la hanno ritenuta dirimente. Vertendosi, pertanto, in una ipotesi di ‘doppia conforme’, è inammissibile la censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., stante il disposto dell’art. 348 ter , quinto comma, cod. proc. civ. (Cass.,
Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053, Cass. n. 29222/2019, Cass. n. 7724/2022 e Cass. n. 5947/2023).
3.2. Privo di pregio è, inoltre, il secondo profilo di censura, non venendo in rilievo la disciplina della confessione stragiudiziale di cui all’art. 2735 cod. civ., in quanto gli atti aventi asseritamente valenza confessoria provengono dai broker assicurativi e non da una delle parti del giudizio, donde l’insussistenza della pretesa violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 cod. civ.
Il terzo motivo di ricorso è fondato; con esso, in particolare, il ricorrente censura la sentenza della C.t.r. nella parte in cui ha affermato la legittimità dell’accertamento sintetico di un maggior reddito basato su una spesa gestionale mai verificatasi, in quanto afferente ad interessi su mutuo già estinto.
4.1. Il rilascio della quietanza contenente l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca per intervenuta estinzione del mutuo fa presumere il pagamento degli interessi sul capitale in applicazione del disposto di cui al secondo comma dell’art. 1199 cod. civ. e alla stregua del principio secondo cui: «L’art. 1199 cod. civ. (diritto del debitore alla quietanza) col precisare, nel capoverso, che il rilascio di una quietanza per il capitale fa presumere il pagamento degli interessi, enuncia un principio che, da una parte, trova la sua conferma nella regola dell’art. 1194 stesso codice, secondo cui il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi dev’essere imputato prima agli interessi e, dall’altra, realizza una presunzione legale, l’effetto della quale è di dispensare da ogni prova il debitore, a favore del quale essa è stabilita (art. 2729 cod. civ.). Trattasi, peraltro, di una presunzione non assoluta ma ‘ iuris tantum ‘, che può perciò, essere vinta dall’accertamento del fatto contrario a quello meramente presunto» (Cass. n. 2007/1964, Cass. n. 2245/1978 e Cass. n. 3280/1994).
4.2. Sussistendo, pertanto, la dedotta violazione dell’art. 1199 cod. civ., il motivo di ricorso in esame merita accoglimento, rimanendo assorbiti gli ulteriori profili di censura ivi svolti.
Il quarto motivo di ricorso proposto è infondato; con esso il contribuente si duole della considerazione, da parte della C.t.r., di un fatto come non documentato, nonostante esso dovesse già darsi per certo stante la mancata contestazione.
5.1. Sulla questione riguardante l’applicabilità del principio di non contestazione nel processo tributario la Corte ha affermato: «Questa Corte ha già avuto modo di precisare (Cass. n. 2196 del 6/02/2015) che la non contestazione, assurta dopo la novellazione dell’art. 115 cod. proc. civ., a principio generale del processo, e come tale suscettibile di essere applicato anche nel giudizio tributario, seppure al netto della specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti controversi nel processo de quo, concerne esclusivamente il piano (probatorio) dell’acquisizione del fatto non contestato, ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo; – va altresì considerato che il principio di non contestazione trova nel processo tributario comunque un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo quanto piuttosto l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata, sicché la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso, e anche laddove, in base all’art. 23 del decreto legislativo n. 546 del 1992, l’attenzione sia rivolta (come nella specie) alle difese dell’Amministrazione pubblica resistente, e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre ‘le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente’, indicando ‘le prove di cui intende valersi’ e proponendo ‘altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio’, non per questo può trascurarsi
che l’Amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto dal contribuente ritenuto (Cass. n. 19806 del 23/07/2019)» (da ultimo, Cass. n. 25184/2023).
5.2. Orbene, nel caso di specie le deduzioni del ricorrente contenute nel ricorso introduttivo sono state già contrastate dall’Ufficio mediante l’atto impositivo, sicché a nessun onere aggiuntivo di allegazione o di contestazione avrebbe dovuto adempiere l’amministrazione finanziaria riguardo alla superficie degli immobili del contribuente, che ha inciso sulla determinazione delle spese gestionali presunte come riconducibili al loro godimento. Vieppiù che le difese dell’Agenzia delle Entrate, nei vari gradi di merito, riportate nel ricorso (pag. 44), ribadendo sempre la superficie di 165 mq per ogni immobile, non sono compatibili con l’assunta non contestazione.
Il quinto motivo di ricorso è fondato; con esso il contribuente si duole della sentenza della C.t.r. nella parte in cui ha dichiarato la legittimità dell’avviso con riferimento alla disponibilità di un’imbarcazione, nonostante per la stessa si fosse proceduto all’utilizzo di un erroneo coefficiente di vetustà.
Dal punto 2.2. dei DD.MM. 10/09/1992 e 24/12/2012, con riferimento agli indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacita contributiva e, più in particolare, alle imbarcazioni, può desumersi che, con riferimento ad una imbarcazione assai vetusta (anno di immatricolazione 1966, non contestato dalle parti) il coefficiente di vetustà da utilizzare non era quello del 5%, ma quello massimo consentito.
Il sesto motivo di ricorso è inammissibile; con esso, in particolare, parte ricorrente censura la sentenza della C.t.r. nella parte in cui non ha ritenuto che uno dei movimenti di capitale, ricompresi tra le spese per incrementi patrimoniali alla base
dell’accertamento del reddito, costituisse in realtà un’operazione di accredito, come tale non rilevante.
Anche questo motivo, come il secondo (a cui, dunque, si rinvia), è da dichiararsi inammissibile per ‘doppia conforme’. Inoltre, si evince dalla lettura del ricorso di primo grado che tale questione non è stata proposta già innanzi alla C.t.p., essendo pertanto nuova ed inammissibile già in appello.
Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione stante l’affinità delle critiche sollevate, sono fondati nei termini che seguono.
Con essi il contribuente si duole dell’affermazione della C.t.r. secondo la quale esso avrebbe dovuto provare la specifica correlazione tra disponibilità finanziarie bancarie e spese valutate dall’ufficio, anziché la sola esistenza delle dette disponibilità . Inoltre il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha affermato che il contribuente sarebbe onerato della dimostrazione che, al momento del sostenimento della spesa presunta in base alla disponibilità di determinati beni e servizi, egli avesse disponibilità di redditi esenti di importo pari a quello del reddito presunto.
8.1. Secondo il costante orientamento, questa Corte (Cass. 8995/2014) ha ulteriormente chiarito i confini della prova contraria a carico del contribuente, a fronte di un accertamento induttivo sintetico D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, specificando che ‘a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, l’accertamento del reddito con metodo sintetico non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, tuttavia la citata disposizione prevede anche che ‘l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione’. La norma chiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di
ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), e, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere). In tal senso va letto lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) della entità di tali eventuali ulteriori redditi e della ‘durata’ del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi, escludendo quindi che i suddetti siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertato, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati’ Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la ‘durata’ del possesso dei redditi in esame; quindi non il loro semplice ‘transito’ nella disponibilità del contribuente’ (Cass. ord. n. 1455/16, 25104/14)» ( ex multis , Cass. n. 25997/2017).
8.2. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. fa malgoverno dei principi testè illustrati allorquando da un lato (correttamente) valorizza l’elemento della durata del possesso dei primi, ma dall’altro pare voler richiedere che vi sia una diretta e specifica corrispondenza puntuale tra ‘pagamenti’ ( rectius disponibilità di redditi esenti) e spese imputate.
Rimane assorbita dalle precedenti considerazioni la censura inerente a quelle componenti del reddito sintetico rispetto ai quali sono stati già accolti i relativi motivi.
9. In conclusione, vanno accolti il primo, il terzo, il quinto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso (questi ultimi due per quanto di ragione), mentre deve essere rigettato il quarto motivo e vanno dichiarati inammissibili il secondo ed il sesto motivo; la sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata ed il giudizio va rinviato innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il terzo, il quinto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso (questi ultimi due per quanto di ragione), rigetta il quarto motivo e dichiara inammissibili il secondo ed il sesto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, nonché provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2024.