Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18729 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18729 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
Avv. Acc IRPEF 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2011/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore .
-resistente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 2398/45/2015, depositata in data 1giugno 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
In data 16 luglio 2013 NOME COGNOME riceveva notifica dell’avviso di accertamento ai fini NUMERO_DOCUMENTO n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno d’imposta 2008. L’RAGIONE_SOCIALE I – rideterminava sinteticamente il reddito complessivo del detto contribuente ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un maggior reddito di €
264.970,43 per l’anno d’imposta 2008; la rettifica originava dal riscontro, operato dall’ufficio, della disponibilità del contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: imbarcazione a motore, residenza principale e incrementi patrimoniali.
Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di RAGIONE_SOCIALE; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, contestando i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 3464/41/2014, accoglieva parzialmente il ricorso del contribuente, rideterminando il reddito imponibile in € 134.000,00.
Contro tale decisione proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. della Lombardia; si costituiva in giudizio anche l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado, salvo che per il capo avente ad oggetto le spese relative alla restituzione del mutuo finanziario, avverso il quale avanzava domanda di riforma in via di appello incidentale.
Con sentenza n. 2398/45/2015, depositata in data 1° giugno 2015, la C.t.r. adita rigettava sia il gravame principale del contribuente che quello incidentale dell’ufficio, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE non ha notificato nè depositato controricorso, ma ha prodotto mera nota di costituzione al dichiarato solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza pubblica.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 20 giugno 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: « V iolazione dell’art. 42, primo comma, d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 7 L. 27 luglio 2000, n. 212. Inesistenza giuridica dell’atto impositivo per carenza del potere del soggetto che ha sottoscritto l’avviso di accertamento in carenza della sua qualifica di dirigente. Onere probatorio a carico dell’Ufficio» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha dichiarato nullo l’avviso di accertamento per assenza in capo al soggetto «delegato» della qualifica di dirigente, nonché per inesistenza e omessa produzione della delega alla firma dello stesso da parte dell’ufficio.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata per vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. Illegittima inversione dell’onere della prova a carico del contribuente» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha attuato un’inversione dell’onere probatorio a suo carico fondata sulla tesi per cui la disponibilità dei cc.dd. beni indice costituisce una presunzione legale di capacità contributiva e non, invece, una presunzione semplice.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata per vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Omessa e/o insufficiente valutazione RAGIONE_SOCIALE prove fornite dal contribuente. Difetto di motivazione dell’accertamento ai sensi dell’art. 7 della L. n. 212/2000 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973» il contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha affermato che il contribuente non aveva assolto in modo idoneo al proprio onere di prova contraria rispetto alle evidenze dell’Anagrafe Tributaria dell’ufficio, in questo modo mostrando di aver acriticamente accettato le mere presunzioni
dell’ufficio senza alcuna valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze documentali prodotte dal contribuente.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata per vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sui punti decisivi della controversia» il contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha omesso di pronunciarsi su specifiche eccezioni dedotte dal contribuente, limitandosi nella propria motivazione ad esporre rilievi del tutto generici, vaghi e insufficienti, oltre che contrastanti con le risultanze documentali prodotte.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata per vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha dichiarato inapplicabile al caso di specie il c.d. nuovo redditometro, poiché farebbe riferimento a periodi di imposta successivi al 2009, quanto, in realtà, esso è suscettibile di applicazione retroattiva per via della sua natura di disciplina procedimentale.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso, così rubricato: «Illegittimità ed erroneità della sentenza impugnata per vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, settimo comma, d.P.R. n. 600/1973 come modificato dal D.L. n. 78/2010» il contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha rigettato l’eccezione di violazione del contraddittorio endoprocedimentale previsto dalla disciplina del nuovo redditometro, disciplina applicabile retroattivamente per via della sua natura procedimentale.
Il primo motivo di ricorso, riguardante la mancata rilevazione ex officio del c.d. vizio di delega di firma riguardante l’avviso di accertamento in oggetto, è infondato.
2.1. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «l’Amministrazione finanziaria, in caso di contestazione, è tenuta, con onere della prova a suo carico (anche per il principio di vicinanza alla prova ex Cass., 2 dicembre 2015, n. 24492), a dimostrare la sussistenza della delega, potendo produrla anche nel secondo grado di giudizio, in quanto la presenza o meno della sottoscrizione dell’avviso di accertamento non attiene alla legittimazione processuale (Cass., 14626/2000; Cass., 14195/2000; Cass., 17044/2013; Cass., 12781/2016; Cass., 14942/2013; Cass. 18758/2014; Cass., 19742/2012; Cass., 332/2016; Cass., 12781/2016; Cass., 14877/2016; Cass., 15781/2017; Cass., 5200/2018; n. 19190/2019; n. 5177 del 2020). Quanto poi agli effetti della delega con riguardo ai requisiti dell’atto e ai requisiti del firmatario, si è pure chiarito che (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8814 del 29/03/2019) la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex all’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni; ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, ” ex post “, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto. Ancora, con riguardo specificamente della sorte degli atti tributari sottoscritti da soggetti capi di ufficio o delegati, la cui qualifica dirigenziale sia risultata conseguita illegittimamente in relazione alla sopravvenuta sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale -che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge
2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44 -questa Corte (Cass., sez. 5, 9/11/2015, n. 22810) ha, altresì, escluso che, ai fini della valida sottoscrizione di un atto impositivo, sia necessario in chi ha sottoscritto l’atto ovvero ha conferito la delega il possesso di una qualifica dirigenziale, rilevando che tale presupposto non è giustificato dal dato normativo. Alla stregua RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, dovendo, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, nessun effetto sulla validità dell’atto impositivo, in questa sede impugnato può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d. L. n. 16 del 2012, convertito dalla legge n. 44 del 2012 (in senso conforme, Cass., sez. 5, 26/02/2020, n. 5177)» (Cass. n. 33323/2023).
2.2. La RAGIONE_SOCIALE, pertanto, ha fatto buon governo dei principi pacifici in materia allorquando non ha ex officio rilevato un vizio di delega di firma relativo all’avviso di accertamento sottoscritto da funzionario privo RAGIONE_SOCIALE qualità dirigenziali.
Il secondo e il terzo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente stante la stretta connessione e l’affinità RAGIONE_SOCIALE critiche sollevate, sono infondati; essi, in particolare, attengono al valore di presunzione legale o meno dello strumento del redditometro (conseguentemente, al corretto riparto dell’onere probatorio tra ufficio e contribuente) e alla valutazione RAGIONE_SOCIALE prove compiuta dalla C.t.r.
3.1. Il metodo di accertamento fondato sul c.d. «redditometro» collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del
soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. 30 dicembre 1991, n. 413 e il D.L. n. 78 del 2010, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
3.2. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) RAGIONE_SOCIALE somme
necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 10266/2019, Cass. n. 5544/2019, Cass. n. 8933/2018, Cass. n. 8539/2017, Cass. n. 17487/2016, Cass. n. 930/2016 e Cass. n. 21335/2015). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 21142/2016, Cass. n. 18604/2012 e Cass. n. 20588/2005).
3.3. Si è chiarito, altresì, quanto ai confini della prova contraria, che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere»; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della
durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. n. 37985/2022, Cass. n. 19082/2022, Cass. n. 12600/2022, Cass. n. 12889/2018, Cass. n. 12207/2017, Cass. n. 1332/2016 e Cass. n. 8995/2014).
3.4. Ancora, con specifico riguardo al vizio motivazionale censurato con il terzo motivo, è da dire che la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando questa manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum ( ex multis , Cass. SS.UU. sent. n. 8053/2014, Cass. n. 22598/2018 e Cass. n. 6626/2022).
3.5. Pertanto, la decisione del Giudice di secondae curae è da ritenere corretta sia in ordine alla natura attribuita allo strumento del redditometro che in punto di sufficiente motivazione della valutazione probatoria compiuta; in essa, infatti, viene statuito che: «Il Collegio aderisce a quanto dedotto dall’Ufficio secondo cui,
la determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione del c.d. ‘redditometro” dispensa di fatto l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva. Ne’ il contribuente ha assolto in modo idoneo all’onere che gli incombe di dimostrare che gli elementi posti a fondamento dell’accertamento sintetico siano inesistenti o comunque tali da giustificare la rideterminazione del reddito. Quanto sopra, ad eccezione del dato riferito a tre imbarcazioni, posto che il contribuente ha dimostrato di averne vendite due nel 2007, denominate “Lupacchiotto 2” e “La Perla Nera’».
3.6. Di poi, il vizio di motivazione censurato con il terzo motivo di ricorso non fa che risolversi, in definitiva, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal Giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata , quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al Giudice di legittimità (Cass., SS.UU., sent. n. 34476/2019).
Il quarto motivo di ricorso, con cui si censura l’omessa pronuncia su motivi di appello ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., è inammissibile.
4.1. Difatti, questa Corte ha affermato il principio per cui «L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’ omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un
difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. o del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5. cod. proc. civ., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo ” error in procedendo ” – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ” ex actis ” dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo Cass. n. 1755/2006; conf. Cass. n. 22759/2014; Cass. n. 25259/2017)» (Cass. n. 29952/2022).
Il quinto e il sesto motivo di ricorso, da trattare congiuntamente stante la stretta connessione e l’affinità RAGIONE_SOCIALE critiche sollevate, sono anch’essi infondati; essi, in particolare, attengono all’applicazione della nuova disciplina del redditometro di cui all’art. 22 del D.L. n. 78/2010, la quale prevede l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, anche agli accertamenti ante 2009.
L’applicabilità al caso di specie della disciplina del c.d. nuovo redditometro è esclusa dallo stesso legislatore.
5.1. In conformità a quanto già chiarito nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 7269/2022), al caso di specie si applica, ratione temporis , l’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 nella versione
antecedente le modifiche introdotte dall’art. 22 D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, poiché tale novella si applica solo a far data dall’anno d’imposta 2009. Infatti, il primo comma del predetto art. 22 D.L. n. 78 del 2010 espressamente prevede che le modifiche che esso reca al testo dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 abbiano «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto», vale a dire per gli accertamenti del reddito relativi ai periodi d’imposta successivi al 2009, tra i quali non sono compresi quelli sub iudice . A sua volta, l’art. 5 d.m. 24 dicembre 2012, conformemente alla citata disposizione di legge, statuisce che le «disposizioni contenute nel presente decreto si rendono applicabili alla determinazione dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009».
5.2. Al riguardo questa Corte, nell’escludere l’applicazione retroattiva della novella in questione, ha già avuto modo di chiarire che: a) non sono in questione i principi sulla retroattività, atteso che la giurisprudenza che afferma l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione (da ultimo, ex plurimis , Cass. n. 556/2019) si fonda piuttosto sulla natura procedimentale RAGIONE_SOCIALE norme dei decreti, dalla quale soltanto (e non dalla retroattività) consegue la loro applicazione con riferimento al momento dell’accertamento; b) neppure è in questione il principio del favor rei , la cui applicazione è predicabile unicamente rispetto a norme sanzionatorie, non invece in materia di poteri di accertamento o di formazione della prova, rilevanti in materia di redditometro; c) comunque, l’individuazione della norma applicabile è questione di diritto intertemporale e a fronte alla esplicita previsione di diritto transitorio, già richiamata, che inequivocabilmente identifica la norma applicabile, è recessivo
anche il principio tempus regit actum , altrimenti applicabile alle norme che dovessero qualificarsi come procedimentali (Cass. n. 21041/2014, Cass. n. 22744/2015, Cass. n. 1772/2016 e Cass. n. 30355/2019).
5.3. Nella fattispecie in esame, dunque, la RAGIONE_SOCIALE ha fatto buon governo dei principi normativi e giurisprudenziali allorquando ha ritenuto che: «Mentre, per la presunta violazione del contraddittorio nonché, per l’applicazione del nuovo redditometro, la Commissione rileva che l’art. 38, come modificato dal D.L n. 78/2010, fa riferimento ai periodi d’imposta dal 2009 in poi. Quindi, non applicabile nella fattispecie».
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese non avendo l’RAGIONE_SOCIALE svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 20 giugno 2024.