Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4795 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4795 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/02/2024
Avv. Acc. IRPEF 2007
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22182/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in INDIRIZZO, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE.
-ricorrente – contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME sito in INDIRIZZO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. CAMPANIA n. 1705/49/2015, depositata in data 19 febbraio 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale, nella persona della dr.ssa NOME COGNOME, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Rilevato che:
La contribuente riceveva notifica dall’RAGIONE_SOCIALE Provinciale I Napoli -dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo ad IRPEF ed altro per l’anno di imposta 2007. La contribuente, per l’anno di imposta oggetto di contestazione, risultava possedere beni indice di capacità contributiva non dichiarati, ossia disponibilità finanziarie per la concessione di finanziamenti infruttiferi a n. 3 società di cui deteneva quote di partecipazione, collaboratrice domestica per 1300 ore annue nonché il possesso di quattro unità abitative. In particolare, la contribuente era socia: della RAGIONE_SOCIALE, per una quota pari al 10% del capitale sociale mentre la restante quota del 90% era di titolarità di NOME COGNOME; della RAGIONE_SOCIALE per una quota pari al 90% del capitale sociale, mentre la restante quota del 10% era di titolarità di NOME COGNOME, della RAGIONE_SOCIALE con una partecipazione sociale del 95%, mentre la restante quota del 5% era di titolarità di NOME COGNOME. L’ufficio, ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertava che i redditi dichiarati erano palesemente incongruenti rispetto al reddito attribuibile al contribuente sulla base degli elementi indice di capacità contributiva nonché che l’incongruità riscontrata comportava un maggior reddito accertabile per diverse annualità atteso che lo scostamento tra reddito dichiarato e reddito accertato sinteticamente sussisteva per diversi anni. L’ufficio, ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, rideterminava il reddito in € 1.833.426,00 (oltre addizionali), con maggiore imposta pari ad € 810.604,00, avverso cui la ricorrente aveva presentato istanza di accertamento con adesione, conclusosi negativamente.
Avverso l’avviso di accertamento, la contribuente proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Napoli; resisteva l’Ufficio con controdeduzioni.
La C.t.p. di Napoli, con sentenza n. 777/09/2013, rigettava le ragioni della contribuente sul presupposto che l’accertamento
avesse correttamente motivato e che non fosse fondata l’eccezione circa le riserve patrimoniali accumulate negli anni antecedenti, stante la ridotta capacità contributiva dichiarata per gli anni dal 2005 al 2008, avendo l’ufficio altresì dimostrato l’irrisoria redditualità per gli anni dal 1999 al 2008.
Contro la sentenza proponeva appello la contribuente dinanzi la C.t.r. della Campania; resisteva l’Ufficio con controdeduzioni.
Tale Commissione, con sentenza n. 1705/49/2015, depositata in data 19 febbraio 2015, accoglieva il gravame compensando le spese di lite.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Campania, l’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
La contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 09 gennaio 2024 in prossimità della quale il P.G. ha depositato memoria concludendo per l’accoglimento del ricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che la C.t.p. avesse violato l’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sul thema decidendum , di fatto ignorando tutte le prove documentali prodotte dalla contribuente appellante nella prima fase del giudizio.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione degli art. 112, 329 e 346 cod. proc. civ., nonché dell’art. 53 e 56 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha dichiarato la inammissibilità dei motivi di appello proposti dalla contribuente con i quali veniva impugnata la sentenza sotto il
profilo della carenza strutturale della motivazione, accogliendo l’impugnativa della contribuente basata su censure non proposte nell’atto di appello.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione, sotto diverso profilo, dell’art. 53, 56 e 59 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha dichiarato l’inammissibilità dei motivi d’appello proposti dalla contribuente con i quali la sentenza veniva impugnata sotto il profilo della carenza strutturale della motivazione.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che la percezione della somma pari a € 950.000,00 da parte della contribuente, a titolo di restituzione di un importo conseguente all’avvenuta risoluzione di un contratto di compravendita, fosse giustificativa dell’esborso pari ad € 6.538.942,00, omettendo di considerare l’obiettiva differenza tra l’entrata asseritamente giustificativa e l’importo sborsato, essendo la prima circa un ottavo del secondo. 1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che l’ufficio non avesse tenuto conto, in relazione agli anni 2005-2008, dei disinvestimenti che la contribuente aveva operato in detto periodo, suscettibili di creare una notevole patrimonialità atta a giustificare le operazioni per le quali l’ufficio aveva accertato presuntivamente il reddito.
Il primo motivo, ossia quello con cui ci si duole, sotto il profilo dell’error in procedendo , che la C.t.r. ha erroneamente ritenuto che la C.t.p. avesse omesso la pronuncia sul thema decidendum , è inammissibile.
2.1. Questa Corte ha espressamente affermato (Cass. 18/09/2015, n. 18448) che non può venire in soccorso alla parte ricorrente la qualificazione giuridica del vizio di legittimità come ” error in judicando de jure procedendi” -in relazione al quale la Corte è anche “giudice del fatto”, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito – dovendo distinguersi, anche nell’ambito del vizio di legittimità attinente all’attività processuale ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., la fase di ammissibilità da quella -cronologicamente successiva- relativa alla fondatezza della censura: ed infatti, se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un vizio per ” errores in procedendo ” è anche giudice del fatto ed ha il “potere-dovere” di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale “potere-dovere” è necessario -non essendo il predetto vizio rilevabile ” ex officio “- che la parte ricorrente indichi puntualmente gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, è indispensabile che il corrispondente motivo presenti tutti i requisiti di ammissibilità e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 9275 del 04/05/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 16245 del 03/08/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 1221 del 23/01/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 20405 del 20/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 21621 del 16/10/2007; id. Sez,. L, Sentenza n. 488 del 14/01/2010; id. Sez. L, Sentenza n. 23420 del 10/11/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 86 del 10/01/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5036 del 28/03/2012; id. Sez. U,
Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 896 del 17/01/2014). Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione che rigetta la eccezione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello o a darne una propria soggettiva lettura riassuntiva, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziare la pretesa carenza di specificità (analogamente, nel caso in cui la parte ricorrente si dolga della errata pronuncia di inammissibilità per difetto di specificità di un proprio motivo di gravame : cfr. Cass. 20/09/2006, n. 20405; Cass. 10/11/2011, n. 23420; Cass. 10/01/2012 n. 86).
2.2. Nella fattispecie in esame, la censura, alla luce RAGIONE_SOCIALE riflessioni svolte sub 2.1., difetta di specificità ed è smentita dalle argomentazioni che si leggono nella sentenza impugnata laddove si afferma che vengono ignorate in primo grado tutte le prove documentali prodotte dalla ricorrente appellante basandosi la decisione solo sulla ridotta capacità reddituale della contribuente negli anni dal 2005 al 2008 omettendo di pronunciarsi sui disinvestimenti avvenuti in detto periodo che hanno creato una notevole patrimonialità che giustificava le operazioni in base alle quali l’ufficio aveva accertato presuntivamente il reddito indicato nell’atto impositivo.
3. Il secondo motivo ed il terzo motivo, con i quali ci si duole, sotto il profilo dell’ error in procedendo che la RAGIONE_SOCIALE.t.rRAGIONE_SOCIALE non ha dichiarato la inammissibilità dei motivi di appello proposti dalla contribuente con i quali veniva impugnata la sentenza sotto il profilo della carenza strutturale della motivazione, accogliendo l’impugnativa della contribuente basata su censure non proposte nell’atto di appello, sono infondati.
3.1. Costituisce principio giurisprudenziale pacifico e reiterato, nonché di recente ribadito (Cass. 20/02/2023, n. 5204), quello secondo cui, in tema di processo tributario, nel ricorso per cassazione non è utilmente censurabile ai sensi degli artt. 360, comma 1, n. 4 e 112 cod. proc. civ. la mancata pronuncia da parte del giudice sull’eccezione di inammissibilità di un motivo di appello, perché nuovo, in quanto trattasi di questione rilevabile ” ex officio “, che sfugge pertanto alla preclusione di cui all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, la quale investe le sole eccezioni in senso stretto e non anche le eccezioni improprie o le mere difese.
3.2. Nel caso di specie, si evince ex actis che la questione della provenienza dei fondi utilizzati per i finanziamenti alle società della contribuente da dismissioni patrimoniali di beni di famiglia accumulati fino al 2003 era stata riproposta nell’atto di appello vince anche dallo stralcio trascritto dalla medesima ricorrente.
Il quarto ed il quinto motivo, con i quali ci si duole, sotto il profilo della omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di contestazione tra le parti, che la CTR ha omesso di valutare la sproporzione tra gli esborsi accertati ed i redditi dichiarati, sono fondati.
4.1. Va premesso che in tema di accertamento in rettifica RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi RAGIONE_SOCIALE persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e
servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in RAGIONE_SOCIALE, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad
imposta o perché esente) RAGIONE_SOCIALE somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in RAGIONE_SOCIALE, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588). Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia
potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Nè la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
4.2. I giudici di seconde cure, nel decidere, hanno fatto mal governo dei superiori principi obliterando la valutazione di quella che era la ratio dell’accertamento emesso dall’Ufficio ossia, soprattutto, la contrapposizione, incontestata, tra una potenzialità reddituale irrisoria accertata in capo alla contribuente e i versamenti dalla stessa effettuati nelle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Come evidenziato in fatto, NOME COGNOME, ai fini della determinazione della quota dell’anno relativa alle spese per incrementi patrimoniali, era socia RAGIONE_SOCIALE società: “RAGIONE_SOCIALE“, per una quota del 10%, mentre il restante era di NOME COGNOME; RAGIONE_SOCIALE, nella misura del 90% (insieme al socio NOME NOME, per il restante 10%), nonché della società RAGIONE_SOCIALE in cui la sig. NOME era socia nella misura del 95% mentre la restante quota del 5% era di titolarità di NOME COGNOME . L’avviso di accertamento ha messo in risalto una contrapposizione notevole tra una potenzialità reddituale irrisoria in capo alla contribuente e i versamenti dalla stessa effettuati nelle
prefate società ammontanti ad € 6.538.942,00. Inoltre, determinanti quali elementi utilizzati ai fini dell’accertamento sintetico, sono stati le ingenti consistenti immobiliari quali un’abitazione di mq 140 sita a Capri, un’altra di mq 175, sita a Napoli a INDIRIZZO, un’altra ancora di mq. 224 sita a Napoli a INDIRIZZO e, infine, un’altra di mq 45, sita a Napoli a INDIRIZZO. Il tutto a fronte di un reddito dichiarato oscillante, per la prima tra € 150 ed € 5.345,00 annui e, per il coniuge NOME COGNOME, tra € zero ed € 3.903,00.
4.3. In definitiva, la C.t.r. si è limitata a rilevare apoditticamente che ‘poiché l’accertamento sintetico operato dall’ufficio rappresenta una presunzione legale relativa con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente ed avendo quest’ultima assolto a tale onere fornendo idonea documentazione atta a giustificare la disponibilità economica di cui si è servita nell’annualità 2008 derivante da annualità anteriori a quell’oggetto di accertamento l’appello proposto dalla contribuente va accolto’. E’ evidente che, così opinando, non ha motivato su una ben precisa circostanza dedotta in lite dall’Ufficio erariale ossia la enorme discrasia tra l’entità dell’esborso, si ripete, pari ad € 10.564.356,00, avvenuto tra il 2006 ed il 2008 e l’entrata asserita come giustificativa (€ 370.000,00 per la vendita di due appartamenti e l’incremento patrimoniale registrato per l’anno di riferimento in € 1.701.770) unitamente alla circostanza fattuale dell’irrisorietà dei redditi dichiarati dal coniuge medesimo per l’anno di riferimento e quelli immediatamente precedenti e successivi, stando che le c.d. riserve erano maturate anni addietro e non è stata nemmeno dedotta prova della loro perdurante disponibilità , donde palesemente non giustificata si profila la sproporzione.
4.4. La motivazione non solo si profila priva di un iter logico argomentativo ma si scontra contro il minimo costituzionale censurabile in questa sede di legittimità. Le Sezioni Unite di questa
Corte hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n.8053/2014).
5. In conclusione, vanno accolti il quarto ed il quinto motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo e, rigettati i restanti, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo affinché, in diversa composizione, proceda al nuovo e motivato esame nonché provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto e del quinto motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo e, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2024.
La Presidente NOME COGNOME