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Accertamento sintetico: la prova contraria del Fisco

Un contribuente ha contestato un avviso di accertamento IRPEF basato su un “accertamento sintetico” a seguito dell’acquisto di quote societarie, sostenendo che l’operazione fosse simulata. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, riaffermando che in caso di accertamento sintetico, spetta al contribuente l’onere di provare che le somme impiegate non costituivano reddito imponibile. La Corte ha inoltre specificato che il “divieto di doppia presunzione” non è un principio assoluto nel nostro ordinamento.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Accertamento Sintetico: a chi spetta la prova contraria?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16341/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: l’accertamento sintetico. Questo strumento, noto anche come “redditometro”, consente al Fisco di determinare il reddito di un contribuente sulla base delle spese sostenute, qualora queste appaiano sproporzionate rispetto a quanto dichiarato. La sentenza chiarisce in modo definitivo i confini dell’onere della prova, stabilendo che spetta al cittadino dimostrare la legittimità della propria posizione finanziaria.

I fatti di causa: l’acquisto di quote societarie

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente per l’anno d’imposta 2011. L’Agenzia delle Entrate aveva rideterminato il suo reddito in via sintetica, basandosi sull’acquisto di quote societarie per un valore di oltre 570.000 euro. Secondo l’Ufficio, una spesa così ingente era un chiaro indice di una capacità contributiva superiore a quella dichiarata.

Il contribuente ha impugnato l’atto, sostenendo che l’operazione di acquisto fosse in realtà simulata e di natura fiduciaria, e che quindi non vi fosse stato alcun esborso di denaro. A supporto della sua tesi, ha prodotto una scrittura privata. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno respinto le sue ragioni, confermando la legittimità dell’accertamento.

I motivi del ricorso e la difesa del contribuente

Giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, il contribuente ha articolato la sua difesa su diversi punti, tra cui:

1. La violazione delle norme sull’accertamento induttivo e il presunto ricorso a una doppia presunzione da parte del Fisco (dall’atto di acquisto all’esborso di denaro, e da questo al maggior reddito).
2. Un vizio procedurale (ultrapetizione), poiché i giudici di merito avrebbero basato la loro decisione su un’eccezione non presente nell’avviso di accertamento iniziale.
3. Un’errata applicazione delle regole sull’onere della prova.
4. L’illegittimità delle sanzioni, in quanto basate su una mera presunzione di colpevolezza.

La decisione della Cassazione sull’accertamento sintetico

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato. La decisione si fonda su principi consolidati in materia di accertamento sintetico.

La presunzione legale e l’inversione dell’onere della prova

I giudici hanno ribadito che l’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 introduce una presunzione legale relativa. In pratica, la legge presume che chi sostiene determinate spese (come l’acquisto di beni o servizi) possieda un reddito adeguato. Questa presunzione dispensa l’Amministrazione finanziaria dal fornire ulteriori prove.

Di conseguenza, si verifica un’inversione dell’onere della prova: non è il Fisco a dover dimostrare l’esistenza del reddito non dichiarato, ma è il contribuente a dover fornire la prova contraria. Egli deve dimostrare, con documentazione idonea, che:
– Il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
– Le somme utilizzate per la spesa provengono da redditi esenti, già sottoposti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o comunque non imponibili.

Il divieto di doppia presunzione: un falso mito

La Corte ha inoltre demolito uno degli argomenti principali del ricorrente, chiarendo che il cosiddetto “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena” è inesistente nel nostro ordinamento. Un fatto noto, seppur accertato attraverso presunzioni (purché gravi, precise e concordanti), può legittimamente costituire la premessa per un’ulteriore inferenza logica. Pertanto, l’argomentazione del contribuente sulla doppia presunzione è stata giudicata infondata.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si concentrano sulla natura del giudizio di legittimità, che non può trasformarsi in una terza istanza di merito per rivalutare i fatti. La C.t.r. aveva adeguatamente valutato le prove fornite dal contribuente (in particolare la scrittura privata), ritenendole insufficienti a superare la presunzione legale su cui si fondava l’accertamento. La Corte di Cassazione ha ritenuto questa valutazione logica e coerente, e quindi non sindacabile in sede di legittimità. Anche il motivo relativo alle sanzioni è stato respinto, poiché la motivazione dell’atto di accertamento, quando definisce la pretesa fiscale nei suoi elementi essenziali, è sufficiente a giustificare anche la sanzione irrogata contestualmente per la dichiarazione infedele.

Le conclusioni

L’ordinanza n. 16341/2024 rafforza un principio fondamentale: di fronte a un accertamento sintetico, il contribuente non può limitarsi a negare, ma deve attivarsi per fornire prove concrete e documentate che giustifichino la discrepanza tra il tenore di vita e il reddito dichiarato. La decisione conferma la solidità dello strumento del redditometro come mezzo di contrasto all’evasione fiscale e chiarisce che la difesa del contribuente deve essere costruita su elementi probatori solidi, capaci di smontare la presunzione legale posta a fondamento dell’atto impositivo.

In caso di accertamento sintetico, chi deve provare la provenienza del denaro?
Spetta al contribuente. Egli ha l’onere di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che le somme utilizzate per la spesa contestata derivano da redditi esenti, già tassati alla fonte, o che il reddito presunto dall’Amministrazione finanziaria non esiste o è inferiore a quello accertato.

È valido un accertamento fiscale basato su una “doppia presunzione”?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il cosiddetto “divieto di doppia presunzione” o “praesumptum de praesumpto non admittitur” non è un principio vigente nell’ordinamento italiano. Un fatto accertato tramite presunzioni, purché gravi, precise e concordanti, può legittimamente costituire la base per un’ulteriore deduzione logica.

Come può il contribuente difendersi se l’acquisto di un bene è solo apparente o simulato?
Il contribuente deve fornire la prova contraria necessaria a superare la presunzione. In particolare, deve dimostrare che il fatto su cui si basa l’accertamento (l’acquisto oneroso) non corrisponde alla realtà, provando ad esempio che il pagamento del prezzo non è mai avvenuto e che l’operazione non rifletteva una reale capacità economica, ma aveva una causa diversa, come quella gratuita o fiduciaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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