Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 600 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 600 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
Avv. Acc. IRPEF
2006-07
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10875/2015 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente e controricorrente incidentale -contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in 00145 Roma, INDIRIZZO C/D rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente e ricorrente incidentale -n.
Avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. VENETO 1432/06/2014, depositata in data 22 settembre 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La contribuente riceveva notifica dall’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Vicenza -degli avvisi di accertamento n. T6501SV02568 e n. T6501SV02571, relativi ad IRPEF per gli anni di imposta 2006 e 2007; la rettifica era operata ai sensi dell’art. 38, comma quarto, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in virtù dell’accertata incongruenza del reddito dichiarato rispetto agli indici di capacità contributiva posseduti (anche dal coniuge NOME COGNOME. All’esito dell’accertamento, l’ufficio rideterminava il reddito della contribuente in € 53.144,00 per l’anno 2006 e in € 70.675,00 per l’anno 2007, in ragione del reddito di partecipazione al 95% della società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME NOME e C. La contribuente proponeva istanza di accertamento con adesione,
senza tuttavia addivenire ad un compromesso con l’ufficio.
Avverso gli avvisi di accertamento, la contribuente proponeva distinti ricorsi dinanzi la C.t.p. di Vicenza e resisteva l’Ufficio con controdeduzioni.
La C.t.p. di Vicenza, con sentenza n. 124/04/2013, accoglieva parzialmente i ricorsi riuniti della contribuente, riconoscendo lo scomputo di alcuni componenti del maggior reddito accertato.
Contro la sentenza proponeva appello la contribuente dinanzi la C.t.r. del Veneto e resisteva l’Ufficio con controdeduzioni, spiegando altresì appello incidentale.
Con sentenza n. 1432/06/2014, depositata in data 22 settembre 2014, la C.t.r. adita accoglieva parzialmente il gravame principale, riconoscendo in detrazione per la determinazione sintetica del reddito, oltre ai valori riconosciuti con la sentenza appellata, anche il disinvestimento derivante dal realizzo dei buoni postali per € 39.329,68, e respingeva l’appello incidentale dell’Ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Veneto la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, spiegando altresì un motivo di ricorso incidentale.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 26 ottobre 2023.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 e del D.M. 10.09.1992. Omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Illegittimità della sentenza impugnata. Effetto di presunzione semplice da attribuire ai parametri previsti dal c.d. redditometro. Insussistenza delle condizioni legittimanti l’accertamento sintetico del reddito c.d. ‘redditometro’. Vizio di ultra -petizione da parte del giudice di secondo grado. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.)» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha confermato la legittimità degli avvisi di accertamento mediante mera applicazione del coefficiente stabilito dal D.M. 10.09.1992; tuttavia, trattandosi di mere presunzioni semplici, dall’applicazione delle stesse non può derivare alcuna conseguenza pregiudizievole per la contribuente che, peraltro, all’esito del contraddittorio aveva dato ampia e completa dimostrazione in ordine alla adeguatezza ed inidoneità del reddito dichiarato.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973 e del D.M. 10.09.1992. Omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Illegittimità della sentenza impugnata. Vizio di motivazione degli avvisi di accertamento impugnati. Omessa pronuncia. Mancanza degli elementi per il calcolo del reddito sintetico. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.)» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omessa
valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto globalmente legittimi gli avvisi di accertamento malgrado l’ufficio si fosse limitato a riportare il possesso di alcuni beni e l’esistenza di alcuni contratti senza tuttavia fornire i conteggi e la metodologia di calcolo adoperata per addivenire al reddito sintetico attribuito in entrambe le annualità alla contribuente.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600 del 1973. Omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Illegittimità della sentenza impugnata. Partecipazione dei genitori NOME COGNOME e NOME NOME al sostenimento delle spese di utilizzo dei beni intestati al ricorrente. Insussistenza delle condizioni legittimanti l’accertamento sintetico del reddito c.d. ‘redditometro’. Vizio di omessa motivazione da parte del giudice di secondo grado. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.)» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’omessa valutazione di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha omesso di porre a fondamento della decisione la circostanza che, come dimostrato dalla contribuente in sede di contraddittorio con l’ufficio, i costi per l’utilizzo dei beni erano stati effettuati anche con i proventi dei genitori del coniuge, che destinavano al figlio invalido € 6.000,00 annui.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38, comma quarto, d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Agenzia lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha decurtato dal reddito imponibile la somma di € 39.329,68 derivante dal rimborso di buoni fruttiferi postali (ritenuto collegato alla spesa sostenuta dalla
parte per l’acquisto immobiliare) e l’importo di € 15.000,00 di cui all’assegno circolare emesso dalla sig.ra NOME NOME a favore del figlio NOME (coniuge della contribuente).
4. Il primo motivo di ricorso principale è inammissibile oltre che infondato.
In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. 23/10/2018, n. 26874).
Non risultano quindi specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto. Si tratta quindi di censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, senza un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).
4.1. Il motivo è anche infondato perché in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2018, n. 27811). Ancora, In tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, la disponibilità di un alloggio e di un autoveicolo integra, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. citato, nella versione “ratione temporis” vigente, una presunzione di capacità contributiva “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine
alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 01/09/2016, n. 17487). Infine, In tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico, gli indici presuntivi di cui all’art. 1 del D.M. 10 settembre 1992, come stabilito dal successivo art. 2, sono superati se il contribuente dimostra che per lo specifico bene o servizio “sopporta” solo in parte le spese, dovendosi attribuire valenza, atteso il pregnante significato del verbo “sopportare”, non alla situazione formale del pagamento, bensì alla prova concreta della provenienza delle somme impiegate (Cass. 28/01/2022, n. 2631).
4.2. In generale, in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 31/10/2021, n. 27811). Il sistema del ‹‹redditometro›› collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione. L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la l. n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, convertito dalla l. n. 122 del 2010), prevede, da un lato
(quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. 29/01/2020, n. 1980; Cass. 11/04/2019, n. 10266; Cass. 26/02/2019, n. 5544; Cass. 11/04/2018, n. 8933; Cass. 31/03/2017, n. 8539; Cass. 01/09/2016, n. 17487; Cass. 20/01/2016, n. 930; Cass. 21/10/2015, n. 21335). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso
idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. 19/10/2016, n. 21142; Cass. 29/04/2012, n. 18604; Cass. 24/10/2005, n. 20588). Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha chiarito, altresì, i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente ‹‹sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere››; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Né la prova documentale richiesta
dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. 28/12/2022, 37985Cass. 14/06/2022, n. 19082; Cass. 20/04/2022, n. 12600; Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332; Cass. 18/04/2014, n. 8995).
5. Per le medesime ragioni è inammissibile il secondo motivo non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Vieppiù che il mezzo è anche infondato, non sussistendo il vizio di omessa pronuncia avendo la C.t.r. valutato correttamente l’adeguatezza della motivazione degli avvisi di accertamento idonei a consentire una difesa nel merito puntuale.
5.1. In tema di accertamento dell’imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – che consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali (art. 2727 cod. civ.) l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (nella specie, l’esborso di rilevanti somme di denaro per l’acquisto di beni) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva) -, la presunzione semplice genera l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà; in particolare, nella specie, che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l’effettuata acquisizione di beni non denota una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poiché il
contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita anziché quella onerosa apparente (Cass. 17/03/2006, n. 5991).
6.1. Parimenti è inammissibile il terzo motivo non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Vieppiù che rileva l’applicazione, nella fattispecie, della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143 che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso del contribuente, sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma cod. proc. civ. e quindi l’omesso esame del fatto; tale nuova norma è sicuramente applicabile alla fattispecie in oggetto atteso che l’atto di appello è stato depositato in data 6 giugno 2013 e, quindi, ben oltre il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione. Infine, contrastante si profila la contestuale denuncia del vizio di omessa pronuncia ed omessa motivazione (tra loro logicamente incompatibili), atteso che dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece
indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 08/10/2014, n. 21257).
Il motivo di ricorso incidentale è infondato.
Con riferimento alla doglianza secondo cui la C.t.r. ha decurtato dal reddito imponibile la somma di € 39.329,68 derivante dal rimborso di buoni fruttiferi postali (ritenuto collegato alla spesa sostenuta dalla parte per l’acquisto immobiliare) e l’importo di € 15.000,00 di cui all’assegno circolare emesso dalla sig.ra NOME NOME a favore del figlio NOME (coniuge della contribuente), è vero invece che nella sentenza impugnata, i giudici di seconde cure- attraverso il riferimento cronologico e la considerazione dello scopo delle relative dazioni- hanno fatto buon governo dei principi espressi in materia da questa Corte secondo cui,in tema di accertamento sintetico, ex art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è sufficiente la dimostrazione, da parte del contribuente, della disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che tali redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, deve essere fornita quella delle circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (Cass. 10/07/2018, n. 18097).
In conclusione, il ricorso principale della contribuente va dichiarato inammissibile e va rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate perché infondato.
In considerazione della reciproca soccombenza, si compensano le spese.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale.
Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 26 ottobre 2023.